di Mario Prisco
Tra i tanti anniversari di questo periodo, mi preme mettere in evidenza i centocinquanta anni della nascita di Roberto Bracco, uno dei più grandi commediografi e drammaturghi napoletani, che non solo ebbe un enorme successo in tutta la nuova Italia, ma riuscì a conquistare le più prestigiose platee mondiali.
All’insigne drammaturgo ho dedicato il mio recente saggio L’alfiere della scena (1) e mi sembra opportuno sintetizzare per i lettori di LN il significato e l’importanza da lui avuti nella storia del teatro.
Roberto Bracco nacque a Napoli il 19 settembre del 1861. Suo padre Achille era un gentiluomo di campagna, figliastro del naturalista Michele Tenore, fondatore dell’Orto Botanico di Napoli.
Il futuro commediografo frequentò l’Istituto Tecnico insieme ad Armando Diaz e Onorato Fava, con i quali diede anche vita a un giornalino scolastico. Tuttavia, la scarsa propensione per gli studi regolari lo indusse a interrompere la scuola senza conseguire il diploma e ad appena sedici anni trovò un impiego come contabile presso un’agenzia di spedizioni. Per una pura casualità, un anno dopo, entrò in contatto con Martino Cafiero, in quel momento direttore de
Martino Cafiero |
Il Corriere del Mattino(2), il quale senza esitazione lo assunse imponendogli lo pseudonimo di Baby affermando: «avete diciassette anni ed io vi assumo al mio giornale con uno stipendio di diciassette lire mensili: una lira per ogni vostro anno.» Così Bracco cominciò a prendere confidenza con la scrittura alternando pezzi discreti, con altri molto più mediocri. Fu, però, una palestra importante, giacché gli permise di passare dalla critica al racconto delle notizie mondane, alle polemiche anche di basso profilo che imperversavano in città.
Con le stesse modalità con le quali aveva cominciato la sua attività di cronista, intraprese quella di novelliere. Sempre Martino Cafiero, come racconta Raimondo Cristaldi, «un pomeriggio, in tipografia gli impose a bruciapelo: “mi occorre una novellina per la pagina letteraria di domenica. Scrivila subito e domani me la porterai.” Il direttore del Corrierenon tollerava discussioni. Il suo giovane reporter si dovette perciò adattare a improvvisarsi durante la notte narratore e così Cafiero l’indomani mattina ebbe la novella che gli aveva tanto sbrigativamente commissionata.» (3)
Del resto Cafiero fu un personaggio particolare del giornalismo napoletano del periodo. Si narra che alcune puntate di un suo romanzo d’appendice, intitolato Volere, potere, spesso erano scritte poco prima di andare in stampa dal primo redattore che gli capitava a tiro, al quale in maniera energica si rivolgeva senza dargli alcuna possibilità di scelta. Inutile dire che questa sorte toccò anche a Roberto Bracco.
Negli anni successivi, il giovane cronista collaborò al Napolie contemporaneamente al Piccolodiretto da Rocco de Zerbi, poi fu assunto come corrispondente del Capitan Fracassae infine passò a Il Corriere di Napoli.
Pur essendo decisamente autodidatta, ebbe l’opportunità di rimediare alla sua carente formazione culturale frequentando tante redazioni di quotidiani e di riviste, dove entrò in contatto con grandi personaggi presenti a Napoli verso la fine dell’800. Era, infatti un periodo d’oro per la città che poteva contare della contemporanea presenza di intellettuali e scrittori del calibro di Benedetto Croce, Vittorio Pica, Federigo Verdinois, Gabriele D’Annunzio, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Edoardo Scarfoglio.
Sulle colonne de Il Corriere di Napoli, cominciò ad occuparsi prevalentemente di critica teatrale e si fece paladino delle opere di Ibsen cercando di contribuire a rompere ogni diffidenza nei confronti del norvegese. Allo stesso modo portò avanti battaglie a favore di Wagner, Puccini, Mascagni e di
tutte le forze vive del teatro italiano che in quei tempi erano in fermento. Gallina, Giacosa, Rovetta, Praga, i due Antona-Traversi trovarono in Bracco critico drammatico una penna entusiasta e intelligente come dovevano pure trovarla Eleonora Duse, Ermete Zacconi, Ermete Novelli e tanti altri. Il suo lavoro di critico che doveva poi protrarsi per quindici anni, portandolo a frequentare assiduamente i teatri e gli attori, aveva intanto preparato presto il terreno favorevole al suo debutto come autore drammatico(4)
che avvenne, anch’esso, in maniera casuale e in circostanze alquanto ridicole. Essendosi bruciato i baffi di cui era particolarmente orgoglioso, Bracco si rinchiuse in casa per qualche giorno. Approfittando dell’occasione, Ermete Novelli pensò di chiedergli di scrivere una commedia per la sua serata d’onore. Così, un po’ per la sua indole spregiudicata, un po’ per gioco Bracco compose il suo primo lavoro dal titolo Non fare ad altri. Il successo ottenuto dalla rappresentazione di quest’atto unico, presentato il 22 dicembre 1886 fu l’inizio della sua nuova carriera. Infatti, poco dopo scrisse un altro atto unico comico intitolato Lui lei lui, avviandosi a divenire l’alfiere incontrastato della scena italiana a cavallo dei due secoli.
In effetti, anche se nella sua vita fu giornalista, novelliere, critico, poeta,
fu essenzialmente uomo di teatro, per una vocazione irresistibile come un fatto di natura. Il teatro, e cioè quel sentimento della vita che su un palcoscenico immagina, per finzioni realistiche o favolose, i contrasti delle passioni umane incarnandoli in azioni di attori: diciamo pure il “genere teatro”, era un modo della sensibilità di Roberto Bracco, una tecnica della sua concezione vitale: il mezzo espressivo dei suoi problemi morali, della sua partecipazione al consorzio civile.(5)
Non a caso realizzò tra drammi, commedie e scherzi, trentasei lavori teatrali che costituiscono senza dubbio la misura del suo enorme impegno per la scena, anche se il suo valore non può essere valutato solo dal punto di vista quantitativo. Uno dei suoi meriti fu quello di contribuire all’affermazione di una cultura nazionale, problema ampiamente avvertito dall’unificazione in poi. Tra l’altro, riferito al teatro, questo impegno ebbe una sua specifica importanza, giacché la produzione italiana della seconda metà dell’Ottocento risentiva eccessivamente della componente regionalistica che aveva inevitabilmente ridotto la sua importanza, se confrontata con quella di altri paesi europei. Infatti,
il teatro italiano all’estero quasi non esisteva e fu proprio Bracco il primo, o tra i primi (riconosceva egli stesso a Rovetta il merito di aver aperto la strada), ad affermarsi come autore contemporaneo oltre i confini. Il successo da lui ottenuto sulle maggiori piazze d’Europa (Vienna, Budapest, Stoccolma, Londra e persino la mitica Parigi) e nelle due Americhe, negli anni tra i due secoli, fu eccezionale e per qualcuno, ancora oggi, inspiegabile.(6)
Ma il segreto del suo successo fu forse semplicemente quello di mettere insieme le tante correnti teatrali europee del periodo. Bracco, in effetti, era anche un grande fruitore di teatro, e come critico sondò i lavori altrui e l’interesse suscitato nel pubblico.
Infine, queste ragioni furono accentuate anche dalla grande professionalità degli attori che interpretarono i suoi drammi, dando ai personaggi un ulteriore spessore scenico. Del resto, fino agli anni della prima guerra mondiale la figura dell’attore era considerata fondamentale per il marcato ruolo che essi occupavano. Solo nel dopoguerra, infatti, si introdusse il regista teatrale sul quale confluirono tutti i problemi della messa in scena. Fino a quel momento molti autori arrivavano a scrivere i loro lavori sulla base delle particolari caratteristiche degli attori che intendevano utilizzare.
Il successo che la sua opera teatrale ottenne in campo internazionale gli consentì di collaborare con prestigiosi giornali stranieri, da La Nacióndi Buenos Aires, allo Zeitdi Vienna e al già affermatissimo New York Times. Ciò contribuì a fare di Bracco
un intellettuale di mestiere e personaggio egli stesso. Sempre presente sulla stampa, ad ogni prima importante, nei salotti mondani e nelle innumerevoli occasioni che riempivano le giornate, e soprattutto le serate, della buona società di allora. Era cioè un tipico esponente di successo di quella che è stata definita la Belle époque, fiorita anche in Italia alla fine secolo e che rimase viva e operante sino alla Grande Guerra. Bracco vi aderì in maniera completa e istintiva e aveva tutte le qualità per affermarsi: fascino, estro, versatilità, una vena artistica pressoché inesauribile e – cosa altrettanto indispensabile – era un uomo di mondo.(7)
Fino all’avvento del fascismo, quindi, Bracco era all’apice del successo, a tal punto da essere considerato il più conosciuto drammaturgo italiano. Ma nel 1924 la sua carriera subì un’improvvisa inversione. Quell’anno, accettò di assumere una parte attiva a fianco di Giovanni Amendola e di entrare in Parlamento. Dopo il delitto Matteotti e la forte sterzata autoritaria del Fascismo, Bracco fu dichiarato insieme agli altri decaduto da parlamentare e per la sua irriducibile ostilità al regime perseguitato da esso. Anche perché egli
fu un raro, rarissimo esempio di coerenza intellettuale e di tensione etica che gli consentirono di non avere mai nessun dubbio, nessun ripensamento o in qualsiasi altro modo vogliamo chiamare una delle tante vie, più o meno traverse, che permisero a tanti uomini di cultura sotto il Fascismo di continuare indisturbati a svolgere la propria professione.(8)
Giovanni Amendola |
Sulla scelta politica di Roberto Bracco incise non poco la frequentazione con Giovanni Amendola, con cui ebbe rapporti amicali molto prima del suo impegno politico. Certo, la figura carismatica dell’importante esponente liberale, la sua schietta avversione morale oltre che politica al regime condizionò Roberto Bracco. Tuttavia, l’antifascismo del drammaturgo napoletano fu di natura istintiva, e solo successivamente si aggiunse la consapevolezza del grave pericolo rappresentato per il Paese dal partito capeggiato da Mussolini. A differenza dei tanti intellettuali, compreso Benedetto Croce, che ritenevano il Fascismo un fenomeno provvisorio, Bracco fu subito convinto dell’estrema pericolosità del movimento.
Ma la sua opposizione decisa al regime inevitabilmente lo destinò a una rapida decadenza artistica e umana. L’ostinata e violenta oppressione fascista vietò ogni rappresentazione delle sue commedie e dei suoi drammi costringendolo a un silenzio anticipato. Sul piano artistico ciò ebbe conseguenze devastanti, giacché la mancanza di un contatto con il pubblico, come più volte segnalò Bracco, finì per annullare ogni entusiasmo e gli impedì una pronta verifica del suo lavoro. L’ostracismo fascista condizionò anche i giudizi dei critici, riducendo ulteriormente le già scarse possibilità di riemergere dal grave anonimato nel quale era caduto. Tra l’altro Bracco, più volte candidato nelle liste dei possibili premi Nobel, fu molto vicino alla vittoria nel 1926, ma anche in quel caso il Fascismo riuscì a intervenire con un categorico veto, per cui i membri dell’Accademia dirottarono la loro scelta su Grazia Deledda.
Emma Gramatica |
Tuttavia, grazie all’intervento di Emma Gramatica (della quale Mussolini aveva una grande stima artistica, ricambiata almeno sul piano formale dall’attrice che non mostrò alcuna ostilità nei confronti del regime), il 19 giugno del 1929 al Teatro Fiorentini di Napoli fu messo in scena I pazzi. Il dramma si rivelò, a giudizio unanime della stampa, un vero trionfo per l’interprete e per l’autore.
Un mese dopo, la replica dello spettacolo al Teatro Eliseo di Roma ebbe un esito totalmente diverso. Infatti, il grande tributo di Napoli aveva irritato profondamente gli ambienti fascisti romani che attesero l’evento dell’Eliseo con ben altre intenzioni. Così, la commedia fu interrotta dopo il primo atto dal commissario a causa delle gravi intemperanze del pubblico fascista giunto apposta nella sala. Tutto ciò fu accompagnato dal veto alla rappresentazione di ogni lavoro dell’autore napoletano che sparirà definitivamente dalla scena italiana. Rimase solo un certo interesse all’estero e nel 1931 I pazzifu rappresentato in Argentina, mentre in diversi paesi europei molti si adoperarono per far espatriare l’autore con l’intento di proteggerlo dal Fascismo. Ma le condizioni di salute precarie, unitamente al crollo psicologico e alle difficoltà finanziarie, convinsero Bracco dell’impossibilità di dar seguito ad ogni progetto di fuga. Ormai era e si sentiva un uomo stanco e solo. Al di là dell’affetto di Laura e di pochi amici rimastigli fedeli, intorno a lui c’era il vuoto. Inoltre, la pochezza dell’ambiente intellettuale, che si era così drammaticamente piegato alla volontà del regime, lo convinse che non c’era più possibilità di risalita.
Gli anni che anticiperanno la morte, avvenuta il 20 aprile del 1943, Bracco li trascorrerà con la fedele Laura di lui più giovane di quarant’anni. Aurelia Del Vecchio (9) era infatti nata nel 1900 e fu l’unica donna alla quale si legò profondamente fino a sposarla.
Un inconcepibile silenzio intorno alla sua opera continuerà a persistere anche dopo il crollo del Fascismo e la fine della guerra, ma non cancellerà la grande dignità che Bracco mostrò nell’opporsi al regime in maniera inflessibile.
Del resto,
la sua opera di scrittore e la sua vita si corrispondono. Quel vigoroso senso etico che è nel fondo delle creature […] spiega anche la coerenza dell’uomo. Poiché anche i fatti della vita sociale si commisurano naturalmente a quel nucleo morale che gli imponeva la dignità di partecipare alla vita civile come cittadino e non come servo. Lo scrittore e l’uomo appaiono così nella loro umanità. Per non piegarsi alla servitù, Roberto Bracco accettò che il suo teatro, quello che chiudeva la sua vocazione, gli affetti suoi più profondi, fosse sacrificato. Accettò che la stampa vile si ricordasse di lui soltanto per oltraggiarlo. Negli anni in cui lo scrittore raccoglie il frutto del suo lavoro e della sua fama, preferì vivere in una sua fiera solitudine, vigilata dalle spie di un regime che un giorno aveva osato pretendere che un uomo della sua altezza morale lasciasse per gli archivi delle questure le impronte digitali. (10)
Non potendo, per ovvi motivi di spazio, approfondire singolarmente le opere di Bracco, proviamo, però, a indicare brevemente le caratteristiche e i temi fondamentali del suo teatro.
L’elemento centrale è senz’altro la sua grande abilità a scandagliare l’universo psicologico dei personaggi. Prima ancora dell’avvento della psicoanalisi, la cui nascita ufficiale, come si sa risale al 1901 – data di pubblicazione de L’interpretazione dei sognidi Sigmund Freud, a cui seguì il primo Convegno internazionale di psicoanalisi tenuto a Salisburgo nel 1908 –, Bracco si fece interprete di questo nuovo modo di esplorare la psiche e l’interiorità umana. In effetti, volendo per un istante allargare il discorso alla filosofia della seconda metà dell’Ottocento, vasto fu in quel periodo l’interesse espresso dal pensiero europeo, in particolare quello tedesco, nei confronti delle categorie del subconscio. A tale proposito basta ricordare che sia Nietzsche, sia il meno conosciuto Eduard Von Hartmann – autore di tre volumi sull’inconscio – si erano interessati agli aspetti sottostanti la coscienza.
Bracco, come del resto farà qualche anno dopo Pirandello, sarà decisamente influenzato da questo vento nuovo. Per cui i suoi drammi saranno caratterizzati da una costante ricerca delle ragioni nascoste che alimentano i comportamenti umani.
Da questo punto di vista, la polemica sollevata da un critico pur attento del periodo, come Adriano Tilgher, contro il teatro di Bracco, che riterrà vecchio, è assolutamente errata alla luce delle grandi novità introdotte dal commediografo napoletano sulla scena italiana e internazionale.
Un altro tema che fa di Bracco un autore innovativo è la sua attenzione alla condizione della donna. Nelle sue opere, egoismo e fragilità maschile si oppongono alla determinazione femminile. Il drammaturgo fu affascinato dall’universo interiore delle donne. Tuttavia non accettò mai la logica femminista nel senso che, pur essendo assolutamente favorevole alla piena parità giuridica e morale tra i due sessi, era convinto dell’importanza della loro diversità interiore.
Non voleva in pratica la mascolinizzazione femminile. Perdere i connotati maschili e femminili per Bracco significava smarrire un patrimonio fondamentale dell’esistenza. Per lui l’universo femminile era imprevedibile e il rapporto tra i due sessi non doveva perdere la necessaria combattività. Non a caso, ripeteva spesso che «tra un marito e una moglie lo stato coniugale è una pace armata», mentre «la separazione è una guerra disarmata.»
Don Pietro Caruso in ungherese |
Importante è anche la questione sociale affrontata da Bracco in diverse commedie e drammi. Don Pietro Caruso, Il diritto di vivere, Sperduti nel buio, Notte di neve, Gli occhi consacrati(di questi due ultimi compose anche una edizione in dialetto) sono tutte opere nelle quali le gravi condizioni di disagio dei protagonisti finiscono per provocare i drammi da loro vissuti. Bracco, quindi, al di là del tema centrale dei rapporti uomo-donna, della maternità e dell’egoismo maschile, riesce anche a tracciare un profilo esemplare della condizione umana vista dal punto di vista dell’assenza di risorse economiche e culturali.
Infine, il drammaturgo non poteva essere insensibile a un altro tema centrale del suo tempo: la prima guerra mondiale. Ma scelse di farlo alla sua maniera cercando di soffermarsi sugli esiti esistenziali da essa prodotta sugli individui, al di là delle devastazioni materiali e della morte che porta con sé. Piuttosto che riportare un’immagine fotografica del dramma della guerra Bracco intese soffermarsi sulla sua assurdità e sulle sue conseguenze.
Tra tutti basta ricordare un personaggio, Mignon Floris l’attrice protagonista dell’Internazionale. Il dramma ruota tutto sull’angoscia di Mignon incapace di accettare l’idea che i suoi amanti passati, sparsi per l’Europa, e dei quali conserva uno splendido ricordo, sono schierati l’uno contro l’altro rischiando di ammazzarsi loro malgrado. Raramente il teatro, ma anche la letteratura ha toccato punte di così straordinaria delicatezza e sensibilità come in questo piccolo e dimentico dramma di Bracco.
Uno dei tratti più dibattuti del teatro di Bracco fu il suo ibsenismo, a lungo considerato dai detrattori più una riduzione del valore letterario della sua opera che un suo indiscutibile pregio.
Ibsenè infatti riconosciuto come uno dei massimi interpreti del teatro mondiale, colui che ha cambiato non solo l’approccio ai personaggi, ma la stessa tecnica di esplorazione della loro interiorità. Bracco fu tra i primi a utilizzare la sua tecnica: dal dramma a tesi, al rifiuto dei modelli preesistenti e alla pretesa di costruire un teatro dai contenuti universali. Inoltre, l’aspetto più importante fu la tecnica della composizione e scomposizione dei personaggi che costituirà un punto centrale di buona parte della grande drammaturgia del Novecento.
A Ibsen lo lega anche la predilezione per le figure femminili. Infatti nel teatro di Bracco, come del resto quello del norvegese, le donne occupano uno spazio di straordinaria importanza rispetto alle figure maschili.
Non c’è, invece, in Bracco l’oscurità nordica di Ibsen. La religione, l’ambiente di riferimento inevitabilmente sono diversi, per cui muta con essi anche il livello di luminosità che in Bracco diventa più ampio accostandolo maggiormente agli autori mediterranei.
Fjodor Dostojevskj |
Naturalmente le pur forti suggestioni ibseniane non sono le uniche ad animare il teatro del commediografo napoletano. In lui infatti si notano chiare ascendenze con il lavoro di Cechov e di Dostojevskj a cui lo uniscono la maggiore rassegnazione fatalistica dei personaggi, e l’accentuazione del conflitto tra bene e male, considerate categorie ineludibili dell’esistenza umana. Anche la presenza del rimorso, molto forte in Dostojevskj (basti ricordare Delitto e castigoo I fratelli Karamazov) compare in diversi drammi bracchiani.
Infine, la ricerca quasi spasmodica dell’identità individuale unisce ancora Bracco ai grandi drammaturghi del XIX secolo, che già sentivano gli esiti devastanti della modernità sull’equilibrio psichico dell’uomo-massa che di lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa prorompente nel panorama esistenziale e culturale del nuovo secolo.
Note
1) Cfr., M. Prisco, L’alfiere della scena. Il teatro di Roberto Bracco, Oèdipus, Salerno/Milano 2011
2)Racconta Mario Venditti, nipote di Roberto Bracco, che Cafiero aveva per caso letto un epistolario scritto da Bracco a «una esotica adolescente: e in quelle scorie ardenti il suo occhio clinico aveva identificato il filone d’oro della prosa d’un giornalista di razza.» (M. Venditti, Roberto Bracco, Alberto Marotta Editore, Napoli 1962, p. 18)
3) R. Cristaldi, E forse verrà un giorno…confidenze di Roberto Bracco, Airoldi, Milano 1948, p. 19
4) Ibidem, p. 29
5)F. Flora, «Roberto Bracco», in Letteratura italiana. Novecento. I contemporanei, a cura di G. Grana, vol. III, Marzorati,. Milano1979, p. 2859
6)P. Iaccio, L’intellettuale intransigente. Il fascismo e Roberto Bracco, Guida Editori, Napoli 1992, p. 38
7)Ibidem, p. 35
8) P. Iaccio, Introduzione a R. Bracco, Lettere a Laura, Franco Di Mauro Editore, Napoli 1994, p. 9
9) Era questo il nome reale della donna che il commediografo preferiva chiamare Laura.
10)F. Flora, op. cit., p. 2865