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    Il traduttore e l’autore

    • di Massimo Citi
    • Gennaio 9, 2012 a 11:54 am

    Depeche Mode di S. Zhadan tradotto e presentato da

    Lorenzo Pompeo

    Il lavoro del traduttore…


    Tradurre Depeche Mode ha significato prima di tutto immergersi in un preciso contesto geo-storico: una periferia del mondo conosciuto che vive un’infinita transizione da un periodo storico non del tutto concluso a un altro periodo storico non ancora cominciato. In questo guado insidioso vivono i personaggi di questo romanzo insieme al protagonista, voce narrante che guida il lettore nelle viscere di questo grande agglomerato urbano fatto di stazioni ferroviarie maleodoranti, di enormi campi nomadi, di fabbriche abbandonate.

    Depeche Mode, romanzo del giovane ucraino Serhij Zhadan, classe 1974, in Italia edito per la prima volta dalla Castelvecchi, ci porta a Charkiv, dove lo scrittore e poeta vive, la seconda città dell’Ucraina, un tempo importante centro industriale. Non può vantare la storia millenaria della capitale, dove venne celebrato il battesimo della Rus’ nel 988, e nemmeno l’incredibile avvicendarsi di dominazioni del XX secolo della Galizia e di Leopoli (che può vantare una lunga appartenenza all’Impero asburgico fino al 1914), entrate a far parte stabilmente dell’Unione sovietica solo dall’inizio del 1944. Charkiv fu la prima capitale dell’Ucraina sovietica, prima che nel il trattato di Riga del 1921 stabilizzasse la linea di confine tra Polonia e Unione Sovietica (la capitale allora venne spostata a Kyjiv). 

    Charkiv

    Questa lunga premessa storica è indispensabile per inquadrare l’opera di Zhadan, perché il vero protagonista del romanzo sembra essere proprio la città, che, proprio negli anni in cui è ambientato il romanzo, stava attraversando uno dei periodi più oscuri e grigi della sua non lunga storia.
    L’ambientazione di Depeche Mode è cronologicamente molto dettagliata: il romanzo è ambientato nel 1993 e racconta gli eventi di poco meno di 48 ore a partire da giovedì 17 giugno alle ore 16,50. I primi anni Novanta in Ucraina furono, per chi li ha conosciuti, sicuramente un periodo da dimenticare, ma forse non è così per chi, come l’autore, aveva 19 anni allora. Difficilmente il lettore italiano potrebbe immaginare il degrado, la tristezza e la miseria degli anni che seguirono la proclamazione dell’Indipendenza dell’Ucraina nel 1991. Nel 1993 in Ucraina era nel pieno marasma: l’economia andava a rotoli, le fabbriche venivano saccheggiate e poi cadevano a pezzi, gli stipendi non venivano pagati regolarmente, la corrente elettrica veniva frequentemente a mancare, nei negozi cominciavano a comparire le merci ma a prezzi proibitivi per la maggior parte dei cittadini.
    Anche la lingua dei personaggi risente ovviamente di questo contesto di degrado, nel quale tutto appare contaminato, dal territorio urbano, disseminato di carcasse industriali, fino alla lingua, che inevitabilmente rispecchia quel peculiare gergo parlato nelle periferie delle grandi città dell’Ucraina orientale, il cosiddetto «Suržik», ovvero il Sovremennik ukrainsko-russkyj žargon («gergo contemporaneo ucraino-russo»), che i puristi e i filologi ucraini stigmatizzano con tute le loro forze.

    Una buona parte del libro è un resoconto puntuale, quasi stenografico, dei dialoghi del gruppo di ragazzi che trascorrono le loro giornate tra bevute e fumate di marijuana, disquisiscono sui massimi sistemi, sulle surreali utopie di lontana, quanto improbabile, derivazione socialista e si raccontano le loro incredibili avventure erotiche. Quello di Zhadan è stato definito «un furioso disordine espositivo con pochi precedenti», «un ossessivo flusso di coscienza, spezzato e poi di nuovo tracimante» che però è supportato da una cronologia esasperatamente precisa (una parte fondamentale del libro sono le esatte indicazioni cronologiche, con le ore e i minuti, dei vari dialoghi ed episodi).
    Tradurre Depeche Mode è stato utile anche per me per comprendere un po’ meglio un paese pieno di contraddizioni e di stratificazioni come l’Ucraina e, in particolare, per conoscere meglio l’Ucraina orientale, ovvero quella parte del paese nella quale la collettivizzazione forzata e il holodomor (la carestia pianificata da Stalin tra il 1932 e il 1933) hanno modificato in modo sostanziale il paesaggio umano e urbano. Per lo stesso motivo lo consiglio anche al lettore.

    …e il lavoro dell’autore

    La recente uscita del romanzo di Serhij Zhadan Depeche mode, edito dalla Castelvecchi, offre lo spunto per questa breve intervista con l’autore, un giovane scrittore dell’Ucraina orientale (nato nei pressi di Luhansk nel 1974, estrema periferia orientale dell’Ucraina, ma vissuto da sempre a Charkiv).

    L.P.: Sono stato in Ucraina nella prima metà degli anni Novanta e mi sono sembrati anni molto grigi e tristi. Perché hai scelto di ambientare il tuo romanzo nel 1993? Ha una sorta di nostalgia o rimpianto verso quegli anni?

    Serhij Zhadan

    S.Z.: È vero, erano gli anni della «grande depressione» – il sistema comunista crollava e quello nuovo, quello capitalista, appariva ancora più orribile. In effetti era un crollo che colpì proprio la mia generazione: noi allora avevamo 18-20 anni, noi eravamo nati in un paese e ci eravamo trovati in un altro. Per me quel periodo 1992-1994 fu straordinariamente importante e doloroso, fu un processo di maturazione in condizioni di guerra. Inoltre fu un periodo quando ho cominciato a scrivere, scrissi il primo libro di poesie. Quindi quando ho cominciato a scrivere il romanzo Depeche Mode, nel 2004, in effetti si era manifestata un vera nostalgia. Non era una nostalgia per quegli anni, quanto per i miei amici, per quegli ambienti nei quali avevo vissuto e dai quali non tutti riuscirono a sopravvivere fino al 2004.

    L.P.: Dal momento che hai deciso di prendere il titolo del tuo romanzo da uno dei più noti gruppi pop, quanto è importante nella tua scrittura la musica pop e la cultura pop in generale?

    S.Z.: Mi interessa lavorare con i simboli pop, ma non posso dire che nella mia vita la musica pop abbia un ruolo particolare. Ascolto musica molto diversa – dall’etnica al jazz. Dalla vecchia psichedelica degli anni Sessanta al post-rock. Ma diciamo che la musica pop italiana non la ascolto. Anche se mi piace Celentano,
    Per quanto riguarda la pop-cultura è un campo di esperimenti, quello strato culturale-mediatico del quale i fruitori sono la stragrande maggioranza degli abitanti, sia in Ucraina che in altri paesi. È straordinariamente interessante lavorare con questo contesto, anche se io forse non sono un consumatore di questi prodotti pop. In sostanza è una sorta di soc-art – l’utilizzo dei discorsi della massa per progettare le proprie idee.

    L.P. Il tuo stile personale e originale sembra un mix della cultura pop degli anni Ottanta con scorie di realismo socialista, tu pensi che ciò sia in qualche modo legato alla specificità dell’Ucraina orientale? E se sì, in che modo?


    S.Z.: Come ho già detto non sono certo che sia così importante la cultura pop. Forse noi consideriamo diversamente questo termine. Per quanto riguarda il realismo socialista, di nuovo, in generale nel contesto ucraino post-sovietico questo termine è gravato fin troppo da diversi significati e associazioni per essere applicato in modo semplice e senza restrizioni alle opere della letteratura contemporanea. Senza dubbio per me è importante l’idea socialista in quanto tale e senza dubbio per me è importante il modello realista di scrittura. Ma affermare che in Depeche Mode vi siano elementi di realismo socialista, su questo punto non sarei d’accordo. In realtà ci sono elementi di parodia del socialismo reale. In generale vi è molto materiale parodistico, molta ironia.

    L.P.: Il tuo romanzo Depeche Modesembra profondamente radicato nella realtà della tua città Charkiv, potresti descriverla in poche parole per un lettore italiano che difficilmente conosce dove si trova.

    S.Z.: Charkiv fu la prima capitale dell’Ucraina Sovietica. Oggi è una delle maggiori città industriali dell’Ucraina – qui vivono circa 2.000.000 di persone (quanti siano veramente è difficile dirlo, perché a Charkiv vive un gran numero di clandestini dal Caucaso e dall’Oriente). Inoltre Charkiv è una grande città studentesca, circa il 10% degli abitanti sono studenti, per questo nascono e si sviluppano molte sub-culture e culture giovanili. Ai tempi dell’Unione Sovietica Charkiv era diventata un grande centro industriale con enormi fabbriche-mostri. Oggi qui vi sorgono intere colonie di emigrati dall’Africa, dalla Cina e dal Vietnam. In parole povere una sorta di Chicago ucraina che si sviluppa impetuosamente.

    L.P.: Cosa significa secondo te essere uno scrittore ucraino all’inizio del terzo millennio?

    S.Z.: Probabilmente la stessa cosa rispetto a uno scrittore italiano. Non penso che vi sia una rilevante differenza civile o sociale. La letteratura sta perdendo il suo ruolo nella società, per questo occorre trovare nuove vie di comunicazione e di contatto col lettore, attraverso presentazioni e festival, internet e ancora altri. L’unica differenza è che in Ucraina la nuova letteratura scopre solo per sé nuovi strati stilistici, tematici e lessicali, da noi nella letteratura la maggior parte delle nicchie non sono state occupate. Per questo essere scrittori ucraini oggi è estremamente interessante – lavori praticamente nel vuoto, riempiendo quel vuoto con le lettere. È un processo psichedelico straordinariamente interessante.

    L.P.: Senti di nutrire qualche debito nei confronti di qualche scrittore ucraino delle generazioni passate? Quali sono i tuoi scrittori ucraini e non-ucraini preferiti?


    S.Z.: Debito? No, non sento alcun debito. Per molti nutro affetto e interesse. Tra i preferiti scrittori ucraini potrei citare gli scrittori degli anni Venti, i futuristi ucraini, i quali, in effetti, hanno imparato molto dai futuristi italiani. Il mio poeta preferito è Mychajl Semenkò. Fu un carismatico futurista ucraino che fu fucilato nel 1937. In generale gli anni ’20 sono stati un periodo straordinariamente interessante nella storia della letteratura ucraina. Quando in dieci anni nella «rossa» Charkiv, dal momento che era la capitale dell’Ucraina Sovietica, vi era una letteratura straordinariamente interessante. Fu uno strano esperimento comunista, quando centinaia di scrittori, giornalisti, critici ed editori lavoravano per un idea di sinistra. A dire il vero la maggior parte di loro fu liquidata dal regime staliniano.

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