André Schiffrin
Il controllo della parola
Bollati Boringhieri
€ 12,00
trad. N. Negro
Sono passati sei anni da quando André Schiffrin pubblicò il suo The business of books, tradotto in Italia da Bollati Boringhieri – a cura di Alfredo Salsano – con il titolo Editoria senza editori.
In questi sei anni la tendenza allora denunciata da Schiffrin – acquisizione delle imprese editoriali da parte di grandi holding della comunicazione con susseguente caduta della qualità media della produzione editoriale – è inesorabilmente proseguita non soltanto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ma anche nell’Europa continentale, dove nel 2000 la situazione si presentava ancora fluida e aperta.
Ma come ormai sappiamo non c’è limite al peggio e quindi André Schiffrin ritorna con questo Il controllo della parola, un saggio breve che presenta nei capitoli iniziali i movimenti di capitale – acquisizioni, cessioni, speculazioni e cordate – che hanno determinato anche in Francia una situazione non troppo dissimile da quella americana, per poi allineare elementi di riflessione sulla situazione attuale in Gran Bretagna e USA.
Negli Stati Uniti il problema del possesso dei mezzi di comunicazione è divenuto tout-court un problema di democrazia. La creazione di monopoli dell’informazione in campo televisivo, radiofonico ed editoriale e gli inevitabili rapporti di contiguità / complicità con il mondo politico possono determinare ciò che è avvenuto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel periodo immediatamente precedente e successivo all’invasione dell’Iraq.
Scrive Schiffrin:
Come si può spiegare l’ondata di autocensura che sommerse i media americani? I motivi erano evidentemente molti. Il primo fu il rigurgito di patriottismo seguito all’11 settembre […]. Ma questo non spiega il rifiuto di indagare sulle tante affermazioni false del governo, né il silenzio sulla forte opposizione alla guerra che si era manifestata sin dall’inizio negli Stati Uniti e all’estero. […] Ma certi critici dei media ritengono che anche altri fattori abbiano giocato un ruolo nell’accettazione dell’autocensura. […] L’amministrazione Bush aveva preparato un programma di deregolamentazione che avrebbe procurato profitti addizionali per miliardi di dollari ai principali media.
In sostanza ciò che Alfredo Salsano definiva «perdita di biodiversità del settore editoriale librario», ovvero la riduzione del mercato a poche sigle e la standardizzazione dell’offerta non è altro che un sintomo di una silenziosa e opprimente restrizione della libertà di informare ed essere informati. I poteri politico ed economico, uniti da intrecci sempre più saldi e complessi, possono determinare la sostanziale marginalizzazione di qualsiasi punto di vista o approccio al reale ritenuto non conforme agli interessi del sistema. Ciò che è avvenuto negli Stati Uniti, ma anche ciò che accade quotidianamente in Italia, dove il conflitto di interessi cessa di essere tale nel momento in cui il maggiore esponente dell’industria della comunicazione diventa massima carica dello stato.
Ciò che emerge con preoccupante chiarezza dalla lettura de Il controllo della parola è che esiste un’evidente continuità tra la difesa di un’editoria e di un commercio librario indipendenti e i diritti basilari di stampa e opinione.
La «censura del mercato», della quale Schiffrin aveva parlato nel suo precedente saggio si dimostra qui non un paranoico delirio no-global ma qualcosa di estremamente concreto.
La libertà di parola è divenuta un’emergenza, scrive Schiffrin. Ciò che ancora qualche anno fa poteva apparire come una pur sacrosanta difesa del diritto di leggere libri decenti e non infiniti cloni di pochi modelli di best-seller è divenuta ora difesa del diritto di parola, di espressione e di comunicazione. L’aspetto interessante della cosa – ma bastava pensarci, tutto sommato – è che ciò che nel 2000 potevamo presentare come il diritto di non leggere soltanto Grisham o Stephen King è finito col diventare il diritto di leggere anche Chomsky, Ziegler o Michael Moore. E di avere giornalisti indipendenti e quotidiani, televisioni e radio – fatta salva internet, al momento strutturalmente l’unica zona franca per la libertà di opinione e d’informazione – che non abbiano come unico scopo quello di favorire l’aumento di valore in borsa del titolo della proprietà di turno.
Sorge spontanea la domanda, a questo punto, su quale possa essere da un lato la situazione e dall’altra il ruolo delle librerie indipendenti in un contesto compiutamente globalizzato.
In apparenza la definizione del ruolo è facile: garantire la distribuzione e la disponibilità di opere e testi marginalizzati dalla produzione massificata. Ma la domanda successiva non può che essere: «Quanti lettori, nel prossimo futuro avvertiranno la necessità di questo genere di opere? E quale prezzo saranno disposti a pagare?»
Un numero molto probabilmente del tutto insufficiente a sostentare una rete estesa e vitale di librerie indipendenti.
A fronte di un ruolo definito vi è quindi una situazione insostenibile.
Ciò che è necessario comprendere – e che dovrebbe divenire elemento centrale di una politica culturale in Italia – è che senza una seria regolamentazione del mercato commerciale librario – ossia una legge sullo sconto sul modello francese – e senza una politica di sostegno alla lettura, la rete di librerie attualmente esistenti sarà condannata. Senza il ruolo di filtro e di animazione culturale condotto da molte librerie indipendenti il mercato resterà aperto soltanto a un’editoria definitivamente consegnata alla ricerca di un profitto irragionevole, sacrificata sull’altare di una crescita sganciata da qualsiasi valore aggiunto.