Jonathan Lethe |
Che cosa si può ancora scrivere su P.K. Dick che non sia già stato scritto dai suoi innumerevoli tardi estimatori?
Ben poco, immagino. I convertiti della penultima ora hanno occupato quasi tutto il cielo, sforzandosi di dimostrare che Dick è un grande NONOSTANTE a0bbia scritto una paccata di storie di fantascienza, con il notevole risultato di sottovalutare in lui lo scrittore mainstream, o quanto meno di non vederne la continuità/contiguità con l’autore di sf. Molti lettori (e tra loro anche un certo numero di ottimi scrittori) hanno semplicemente amato tutto il pacchetto-Dick: pregi e difetti, profondità e ingenuità, estremismi e manie religiose, straniamento dalla realtà e lucida visionarietà, compresa la generosa umanità che trapela anche dai suoi scritti più angoscianti. Abbiamo letto Dick perché ci aiutava a volare e a tuffarci in acque profonde. Non l’abbiamo letto sempre e comunque, magari l’abbiamo pensionato per anni; poi, ripensandolo, ci siamo stupiti di quanto fosse ancora vero… Così, lui continua a restare sui nostri scaffali… Prima o poi lo rileggeremo.
Jonathan Lethem è uno di noi, anzi, è un vero fan, quasi ossessionato da Dick e dall’averlo mancato di un soffio. Del suo «amico» Lethem ha letto e riletto tutto più volte, ha scritto alcuni saggi e si è anche cimentato – con risultati almeno interessanti – in alcuni racconti dickiani. Tutto questo – racconto autobiografico di una passione letteraria, saggi e racconti – è raccolto in un volume pubblicato da minimum fax con il titolo Crazy friend. Io e Philip K. Dick, che l’autore presenta così:
Questa antologia, quindi, raccoglie una serie di dimostrazioni, di occasioni, di sfinimenti., un «crescere in pubblico» come interprete di Dick, e probabilmente non è il miglior libro che sia mai stato scritto du di lui, né il mio libro migliore […] è il mio libro su Dick.
Autore di quaranta romanzi di fantascienza e otto romanzi mainstream, Dick viene presentato in maniera stimolante: scrittore imperfetto, autore di fantascienza che soddisfa «solo pochi dei requisiti tradizionali di quel tipo di pubblico», un outsider, sofferente di questa condizione ma anche incapace di adattarsi ai percorsi consueti ormali della narrativa. Dopo un esordio negli anni Cinquanta come «scrittore scisso» tra narrativa alta – con alcuni romanzi che dicono molto sulla società statunitense dell’epoca e una particolare attenzione alla alla condizione frustrante delle donne di ceto medi – narrativa di genere ispirata dalla sua tendenza alla «satira della realtà quotidiana [che] trovava libero scopo nelle storie di fantascienza», scritte per pochi soldi ma anche, suggerisce Lethem, «per soddisfare un’esigenza insopprimibile del suo inconscio». Negli anni Sessanta Dick fece confluire i due filoni: «la scrupolosa capacità di osservazione e di introspezione presente nei romanzi “seri”, e le capricciose invenzioni e i morbosi sconquassi della sua fantascienza».
La produzione di Dick fu sempre discontinua, romanzi grandiosi accanto a narrativa commerciale (ma non di rado illuminata da grandi idee) e, talvolta a roba pessima come Vulcano 3, esecrato da Lethem e scivolato nella mia memoria come un non-Dick (impossibile che l’abbia scritto lui!). Negli ultimi anni Dick ebbe un’illuminazione religiosa che condizionò fortemente la sua scrittura. Secondo Lethem
Dick era un uomo strano e difficile, anche se, a detta di tutti, estremamente affascinante di persona, e a mano a mano che nel corso degli anni Ottanta la sua carriera postuma si allungava […] era quasi impossibile non immaginare quanto avrebbe potuto rovinarla se fosse rimasto un altro po’ sulla faccia della terra.
Condivido quasi in toto il giudizio di Lethem e il suo elenco di grandi opere di Dick, che include Un oscuro scrutare – per me uno dei più bei romanzi di Dick – che molti lettori di Dick ritengono scritto in uno stile sciatto, trascurato e confuso, ma che io mi ostino a considerare un grande affresco di menti devastate dalle droghe.Nei brevi saggi presentati, Lethem offre spunti e giudizi originali:
la grande conquista di Dick […] è stata prendere i materiali della fantascienza americana pulp e usarli per dare voce a una visione estremamente personale della paranoia e dello sradicamento.
[…]Per quante volte Dick possa smascherare o distruggere la Nera Prigione di Ferro della vita suburbana americana, non smette mai di tornarci [i suoi personaggi] continuano a lavorare per capi brontoloni, a portare valigette, a spedire promemoria interni ai colleghi dell’ufficio, ad armeggiare con le proprie automobili sul vialetto di casa, a sudarsi gli alimenti da pagare alla moglie, e a sognare di fuggire da tutto questo – anche quando sono già emigrati su Marte.
In sostanza, il mondo di Noi Marziani, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, … è lo stesso di Confessioni di un artista di merda e L’uomo dai denti tutti uguali. La nostra realtà tanto
inaffidabile ce la portiamo dentro, non possiamo sfuggirle, forse siamo condannati a vivere sempre lo stesso genere di vita (e di morte) come in Noi Temponauti, copertina un racconto terribile, che ho letto sulla gloriosa prima serie di Robot e amato prima ancora di aver ben capito chi era Dick.
Una parte consistente di Crazy friend rievoca l’adolescenza di Lethem e il suo primo incontro con le opere di Dick. Tra pellegrinaggi ai luoghi californiani in cui Dick viveva, letture e musica d’epoca, Lethem si affacciava alla narrativa anche cercando di aggiornare certi temi del suo autore. La seconda parte del testo offre invece due suoi racconti dickiani che evidenziano le potenzialità le le differenze di Lethem rispetto a Dick. Completano la raccolta una bibiliografia di Dick nella quale, inspiegabilmente non sono riuscita a trovare L’Uomo dei giochi a premi.
Crazy friend vale la lettura? Be’, durante la lettura ho apprezzato l’approccio originale di Lethem e la volontà di mettersi in gioco a fianco del suo scrittore. A libro chiuso ho pensato che il testo parla di Lethem almeno quanto parla di Dick. Scrivendo questa recensione mi sono resa conto che non è possibile parlare di Dick senza parlare di sé. E, si parva licet ho fatto come JL. Immagino che nell’insieme sia un giudizio positivo.
Grazie all’autore per aver suggerito due romanzi dickiani scritti da autori finalmente differenti dai vari Jeter, Powers, Rucker sempre in causa (insieme a Borroughs, Vonnegut, Ballard, perfino a Pynchon):
Flann O’Brien, Il terzo poliziotto (1940), Adelphi 1992, pp. 248, € 19,00)
Lawrence Shainberg, Memories of Amnesia (1988).
Jonathan Lethem
Crazy friend. Io e Philip K. Dick
minimum fax, 2011, pp. 155, € 14,00
Trad. M. Testa
scaricabile gratuitamente da minimumfax qui