Un preciso filo rosso collega, a mio avviso, questi due libri che parlano del passato e del presente dell’Europa Orientale. Il primo è una raccolta di testimonianze di suicidi, dirette o di parenti, nella Russia a ridosso della fine dell’Unione Sovietica, mentre il secondo è un fotoreportage sui protagonisti degli storici scioperi di Danzica dell’agosto 1980 oggi, quando i cantieri sono chiusi e molti protagonisti di quella «epica» stagione sono stati licenziati e hanno dovuto trovarsi un altro lavoro, mentre alcuni dirigenti del primo sindacato libero che aveva guidato gli scioperi sono impegnati in politica, anche se non sempre con successo. Le voci, le testimonianze raccolte dagli autori di entrambi i libri compongono un quadro assai eloquente sui corsi e ricorsi della storia, sulle pesanti eredità dei regimi totalitari e sul coraggio di chi vi si oppone.
Autrice dei reportage Una preghiera per Černobil’ e Ragazzi di zinco, Svetlana Aleksievič è senza dubbio una delle più originali e interessanti autrici in lingua russa, che ha avuto il merito e il coraggio di occuparsi delle pagine più nere e tragiche della recentissima storia del suo paese. Il suoi libri sono una sorta di «romanzo corale» nei quali le voci dei testimoni compongono un disegno complessivo (l’autrice si limita a tessere le voci dei testimoni).
Forse leggermente «fuori tempo» quest’ultimo libro dedicato alle testimonianze dei parenti o dei sopravvissuti a suicidi legati quasi sempre al crollo del comunismo in Russia, è un libro probabilmente ancora più necessario adesso. Sono passati quasi quindici anni dalla fine dell’Unione Sovietica e nessuna delle repubbliche che componevano quel mosaico di paesi e popoli vuole assumersi l’onere di quella eredità morale. Dalle voci raccolte dall’autrice di questo libro emerge chiaramente un fatto: la sconfitta della Guerra Fredda rappresenta una vergogna incomprensibile, specialmente per la generazione che aveva vissuta la Seconda guerra mondiale, educata al culto della vittoria e del patriottismo.
L’ombra di Stalin si allunga minacciosa ed enigmatica in molte delle biografie raccolte in questo libro: l’impronta lasciata dal dittatore in queste drammatiche biografie sono stigmate, ferite sanguinanti che nemmeno il tempo, gli anni, i decenni, riescono a rimarginare. La vittoria si è trasformata in una sconfitta e i vincitori sono diventati le vittime di una società nella quale i valori si sono completamente rovesciati. Ma la cosa più triste è constatare che questa eredità «maledetta» non tocca solo le generazioni più lontane ma sembra trasmettersi dal padre al figlio (l’età minima delle vittime testimoniata in questo libro parte dai 14 anni).
Gli elementi comuni in queste testimonianze sembrano ricondurre a una crisi profonda del rapporto tra l’individuo e la società. Dall’utopia della società del socialismo realizzato si è passati all’incubo di una società spietata e crudele nella quale la vita rappresenta un valore relativo (praticamente in tutte le biografie dei suicidi c’è un momento in cui si rompe un equilibrio e il soggetto successivamente cade in una crisi senza ritorno). Le fredde statistiche ci informano su una percentuale marginale di suicidi in qualsiasi epoca o latitudine, ma se mettiamo insieme il dato sul considerevole aumento dei suicidi nella Russia nell’ultimo decennio con quello relativo al crollo della natalità, il quadro che ne viene fuori è piuttosto cupo.
Mentre nulla sembrava potere turbare i sonni della nomenklatura in Unione Sovietica e nei paesi del Patto di Varsavia, nell’agosto del 1980 a Danzica gli operai dei cantieri navali «Lenin» organizzano uno sciopero. Il malessere serpeggia da tempo. La crisi economica è sotto gli occhi di tutti. I negozi sono spesso vuoti e quando si trova qualcosa, è necessario stare in fila per ore. Il potere d’acquisto dei salari nel corso degli anni Settanta si è ridotto gradualmente e alcuni prodotti, come la carne e lo zucchero, sono razionati. Nel dicembre del 1970 l’esercito aveva aperto il fuoco su un corteo di operai in sciopero proprio davanti al cancello 2 dei cantieri «Lenin». Ma questa volta, nell’agosto Ottanta, è diverso: ora gli scioperi sono guidati da una leadership politica e sindacale consapevole e da un servizio d’ordine che riesce a tenere sotto controllo la situazione. Agli operai dei cantieri «Lenin» si uniscono anche quelli degli altri cantieri navali e anche l’azienda dei trasporti urbani. La città intera si ferma. Questa volta gli occhi dell’opinione pubblica internazionale seguono con apprensione gli eventi. Il governo è costretto a cedere e a firmare uno storico accordo il 31 agosto, nel quale deve accettare tutte le rivendicazioni sindacali e politiche proposte dagli scioperanti.
Il reportage fotografico-documentario di Giovanni Giovannetti e di Agnieszka Sowa ripercorre le biografie dei protagonisti di quei fatti venti anni dopo, quando i cantieri navali «Lenin» di Danzica sono chiusi e gran parte degli operai è stata licenziata. Attualmente sono al vaglio del comune progetti per riqualificare l’area dei cantieri, trasformandola in un polo turistico-ricreativo ma, a detta degli autori di questo reportage, la vera «posta in gioco» sono i terreni su cui sorgevano i cantieri navali.
Le storie dei protagonisti degli scioperi dell’agosto Ottanta raccolte in questo libro sono una testimonianza unica delle trasformazioni di tutto il paese. Molti degli operai che avevano scioperato sono stati licenziati negli anni Novanta. Un operaio, Marian Mocko, testimone dei fatti del 1970 e del 1980, ha fondato negli anni Novanta l’Arka, un’associazione nata per tutelare i lavoratori e gli ex lavoratori dei cantieri navali da quello che egli definisce «un criminale imbroglio» (gli operai furono convinti dall’allora ministro per il Lavoro Jacek Kuron ad accettare, al posto della loro liquidazione, azioni dei cantieri che si riveleranno «carta straccia») ed è morto in un incidente stradale nel 2000. Lavora ancora nei cantieri Stanislaw Dziedziul, un saldatore esperto che, nato a Vilnius, era stato deportato nel 1939, all’età di 9 anni, in Siberia e che nei cantieri navali lavora dal 1953. Altri, come Zbigniew Lis, allora responsabile del servizio d’ordine, licenziato nel 1997, ha avviato una ditta di consulenza nel campo della ristrutturazione industriale. Anna Walentynowicz, attivista dei sindacati liberi non ufficiali dal 1978 e licenziata nel 1980 (il suo licenziamento fu la scintilla degli scioperi e la sua biografia ha ispirato il celebre film L’uomo di marmo di Wajda) è una pensionata che nella Polonia contemporanea appare piuttosto smarrita.
Insomma, se in Russia si piange, in Polonia non si ride. In secondo luogo in Russia, dalla fine dell’Unione Sovietica a oggi sembra latitare una vera e propria «società civile». Probabilmente troppo debole e breve è stata la partecipazione popolare al crollo dell’Unione sovietica. Su tutto sembra prevalere una certa rassegnazione. Questa sensazione sembra essere confermata anche dall’attualità: mentre nelle ex repubbliche sovietiche (Ucraina e Georgia in testa) la società civile ha dato segni di vita, sembra avere generato quegli anticorpi necessari a combattere ogni forma di dittatura e di prevaricazione (cosa che in Italia non sembra essere ancora avvenuta), in Russia, al contrario, la rassegnazione fa il gioco di un’ambigua leadership che ha rivalutato e riabilitato anche il peggiore zarismo e che talvolta sembra accarezzare sogni proibiti da grande potenza mondiale dell’epoca staliniana.
dati confermati dal sito Suicidologia , 19/11/2008
«Negli stati dell’ex Unione Sovietica come Lituania, Estonia, Bielorussia e Federazione Russa si registra il più alto tasso di suicidi pro capite»
Incantati dalla morte
e/o 2005, pp. 256, € 16,00
trad. S. Rapetti
Ritorno a Danzica. Vent’anni dopo
Giovannetti Giovanni; Sowa Agnieszka
2004 77 pp. Effigie, € 15,00
da LN-LibriNuovi 35 – autunno 2005