LN | librinuovi.net

    Quello che vale la pena leggere. E qualcosa che no.

    • Home
    • In primo piano
    • Articoli
      • Recensioni
      • Interviste
      • Speciali
        • Retrofuturo
        • Alia Evo 5.0
    • Archivio
    • Chi siamo
    • LN Bookstore
    • Home
    • In primo piano
    • Articoli
      • Recensioni
      • Interviste
      • Speciali
        • Retrofuturo
        • Alia Evo 5.0
    • Archivio
    • Chi siamo
    • LN Bookstore

    0

    Interzona

    Il cinema tedesco ai tempi di Weimar Espressionismo, talento e business

    • di Silvia Treves
    • Marzo 25, 2012 a 6:02 pm

    di Silvia Treves

    Quando Wilhelm spariva dalla circolazione, il primo posto in cui cercarlo era il teatro. Se ne stava lì tranquillo e silenzioso, con gli occhi spalancati, e osservava ogni cosa. Aveva solo sette anni. (Robert Plumpe Murnau)


    A detta del fratello, il piccolo Friedrich Wilhelm Plumpe (1888-1931), era un predestinato. Gracile e malaticcio, votato alla lettura, affascinato dalle immagini, sensibile alle bizzarrie, a quella bellezza stravagante, singolare, che la maggior parte della gente non definirebbe tale, Friedrich crebbe nel culto della perfezione stilistica e dell’eleganza che coltivava non soltanto nel lavoro:

    Era il 1917 e il nostro reparto aereo era accampato in un castello abbandonato, bello e malinconico, nei pressi di Verdun. Murnau era un giovane attore […] alto, magro, un po’ curvo […] Era una strana combinazione tra un bohémien irrequieto e un gentleman scrupoloso e colto. La sua stanza al castello non solo era la più grande, ma anche quella arredata con maggior gusto. (Ricordo del Maggiore W. Schramm)



    Il ragazzino che spariva in teatro sarebbe diventato un regista di genio: Friedrich Wilhelm Murnau. A guidarci in un viaggio nella sua complessa personalità artistica e umana è Lotte Henriette Eisner [1] (1896-1983), critica cinematografica, scrittrice e poetessa tedesca naturalizzata francese, autrice di Murnau. Vita e opere di un genio del cinema tedesco. Di famiglia ebrea, Lotte collaborò fin dal 1927 alla rivista Film-Kurier come critica cinematografica e teatrale. Nel 1933 si stabilì a Parigi per evitare la persecuzione nazista ma venne catturata e rinchiusa nel campo di concentramento di Gurs in Aquitania. Dopo la guerra lavorò come capo archivista della Cinémathèque Française fino al 1975. È autrice, fra l’altro di un testo fondamentale sul cinema espressionista tedesco: Lo schermo demoniaco, purtroppo ormai quasi introvabile.

    In Murnau Eisner descrive le opere del regista come un perenne, riuscito ibrido tra lo stile espressionista (che nega i riferimenti alla psicologia dei personaggi) e l’approfondimento interiore del Kammerspiel [2]. Lo stesso Murnau dichiarò:

    Amo la realtà delle cose, ma sempre mescolata alla fantasia. Non capita così anche nella nostra vita, come le creazioni le emozioni umane? Esistono sia le azioni che i pensieri.

    Addentrandosi nei dettagli tecnici, senza mai farne l’aspetto principale del saggio, Eisner descrive la costante ricerca del regista di nuove tecnologie che gli consentissero di esprimere appieno le proprie visioni: macchina da presa in movimento, ricostruzioni in studio, riprese in esterno, un uso sapientissimo di luci e ombre, complessi marchingegni inventati sul set – insieme a collaboratori di grande professionalità e sensibilità – per riuscire, di volta in volta a rendere gli stati d’animo dei personaggi; questa concezione molto moderna della regia si accompagnava in lui al rifiuto di quella recitazione «esagerata» che siamo abituati ad associare al cinema muto: Murnau insegnava agli attori che il culmine della drammaticità deve essere raggiunto senza quasi recitare, alludendo, suggerendo, non ostentando. Il regista progettava ogni ripresa, ogni luce, ogni dettaglio, perfino i particolari dell’arredamento, con minuziosa accuratezza e nulla veniva lasciato al caso, come dimostrano le note di suo pugno in margine alle sceneggiature.


    Eisner non si sottrae al dovere/piacere di commentare un classico come l’indimenticabile Nosferatu, girato in location inconsuete per l’epoca, e ricorda come, fedele al proprio gusto per i contrasti tra luce e ombre, Murnau fece molte riprese in città gotiche baltiche combinando le immagini durante il montaggio; per annunciare l’arrivo del vampiro per mare il regista usò riprese di onde e rapidi primi piani di vele ondeggianti.

    Una parte del saggio è dedicato alle cosiddette «pellicole perdute», che Murnau girò tra il 1919 e il 1923 ma di cui sono state perse le tracce, e a due fortunosamente ritrovate; l’autrice però dedica particolare attenzione alle ultime opere tedesche del regista (opere che aveva già esaminato dettagliatamente in Lo schermo demoniaco): L’ultima risata, Tartufo e Faust.
    La prima narra la parabola discendente di un portiere d’albero di lusso, dapprima imponente e fiero della propria livrea e onorato dagli abitanti del quartiere come un generale, in seguito «degradato» perché ormai troppo anziano. La perdita della livrea e la costrizione a indossare una banale divisa bianca sono la metafora della «caduta»; Murnau rende il dramma piccoloborghese del portiere, la sua sofferenza, con soluzioni filmiche audaci ed efficacissime, basate, come in altri suoi film, sull’uso sapiente di «luce e movimento, pozzanghere su cui si riflette il bagliore dei lampioni, finestre che risplendono luminose […]». Nulla toglie al talento di Murnau il banale happy end, posticcio e commerciale, girato con maestria per andare incontro al gusto triviale del pubblico. In Tartufo (ispirato all’opera di Molière) il regista ricorre a primi piani impietosi sui visi non truccati degli interpreti, per scavarne rughe e imperfezioni, una vera novità per il cinema di allora.


    Grandiosa anche la regia di Faust, giocata su effetti di movimento innovatori e sui contrasti tra luce accecante (l’arcangelo) e tenebra, su un’atmosfera fiabesca evocata da uccelli fantastici, e sovrimpressioni. Nel 1927 Murnau lascia la Germania per Hollywood:

    Accettai l’invito a Holllywood perché c’è sempre da imparare. Inoltre l’America mi offriva l’opportunità di seguire nuovi progetti artistici.

    Firmando con la Fox, infatti, Murnau ebbe carta bianca e grandi somme per girare. Il primo risultato fu Aurora, la sua opera più matura. Scrive Eisner:

    La sottile sensibilità per le inquadrature, per i movimenti della macchina, l’illuminazione, i valori tonali, il ritmo delle immagine e la composizione visiva, la capacità di ricreare le atmosfere e le reazioni emotive dei personaggi… trovano espressione compiuta nel suo primo film americano.

    Sunrise (Aurora)

    Affrancandosi sempre più dallo sceneggiatore Carl Mayer, suo grande e visionario collaboratore, Murnau interviene più nettamente nello script. Il film è muto, ma il suono viene costantemente evocato dalle immagini. Nonostante il gran successo di critica, Aurora, troppo raffinato e moderno per i gusti del pubblico medio, non rientrò completamente dei costi e Murnau fu richiamato dalla Fox a produzioni meno costose e più popolari. Miglior accoglienza ricevette I quattro diavoli, un film sul mondo del circo, più gradito al pubblico grazie all’happy end richiesto da Hollywood. I dissapori e le imposizioni della Fox, che intervenne pesantemente sulla terza opera, Il nostro pane quotidiano, con inserti, tagli e gag che mai Murnau avrebbe girato, trasformarono ciò che Murnau aveva concepito come una «sinfonia del grano» in una pellicola «popolare» secondo il punto di vista hollywoodiano dell’epoca.

    Ma il cinema, ormai, era cambiato, il sonoro aveva sospinto ai margini i film muti e la concezione artistica rigorosa e scabra di Murnau. Alla fine del film Murnau ruppe il contratto con la Fox e si ritirò a vivere nelle isole dei Mari del Sud deciso a girare una serie di film in quella natura apparentemente ancor vergine.


    La sua ultima grande opera fu Tabù, girato alle isole Van Zanten e pervaso «da un senso di dolce ma anche dolorosa assenza», come scrisse Eisner in una recensione del 28 agosto 1931, due mesi dopo la morte del regista. Nemmeno quelle isole, infatti, erano più il paradiso incontaminato sognato dal regista:

    C’è qualcosa di tragico nel contrasto tra la sua isola vergine e l’isola dei pescatori di perle invasa dall’alcol, corrotta dall’industrializzazione e dalla nuova musica. Ma ormai da tempo sappiamo che quelle isole sembrano parchi di divertimento, che l’uomo bianco ha portato in regalo ai confratelli di pelle scura la sua civiltà, oltre alla Bibbia, l’alcol, la sifilide, la lebbra e la paccottiglia.

    Leggendo la recensione di Eisner non possiamo che sorprenderci di frasi tanto lucide, scritte ottant’anni fa.
    I ritardi accumulati durante le riprese e il costo complessivo dell’opera prosciugarono il conto in banca del regista lo costrinsero a indebitarsi. La prima di Tabù venne accolta freddamente; alla fine la Paramount venne in aiuto al regista offrendogli di rilevare parte delle spese e un contratto decennale.
    Ma il tempo di Murnau era quasi finito: morì l’11 marzo del 1931, in seguito a un grave incidente d’auto avvenuto in circostanze tuttora non completamente chiarite.
    Forse le parole più belle su di lui furono pronunciate da Emil Jannings, lontano dai riflettori:

    Anche se a qualcuno sembrava freddo, era in realtà attraversato nel profondo dal fuoco di una progettualità artistica incorruttibile. Aspra, gotica, assoluta. Era un pioniere, un fecondatore, un inventore, sempre in anticipo di anni. Un uomo privo di invidia, modesto. Sempre solo.

    Un epitaffio sincero che, probabilmente, Friedrich Wilhelm Plumpe avrebbe apprezzato.


    Il saggio di Eisner ha il grande merito di fornire al lettore curioso molte notizie e suggerimenti sull’opera complessiva di Murnau, spingendolo ad andare oltre le interpretazioni più note. Cercando in rete, ho trovato uno stimolante intervento di Geoffrey Nowell-Smith (Re-imagining German Film History) ispirato al saggio Weimar Cinema and After: Germany’s Historical Imaginary di Thomas Elsaesser, che offre un’interpretazione della storia del cinema tedesco alternativa e complementare alle tesi di Eisner (Lo schermo demoniaco, 1952) e di Siegrfried Kracauer (Da Caligari a Hitler, 1947). Kracauer ed Eisner correlano strettamente l’immaginario del cinema tedesco degli anni Venti, la cultura della Repubblica di Weimar (1919-33) e l’emergere del Nazismo. Entrambi ebrei ed esuli dalla Germania, si impegnarono per tutta la vita a comprendere come il loro paese avesse potuto infilare la spirale discendente che portò agli anni dal 1933 al 1945. La loro tesi, plasmò la visione della storia del cinema tedesco prenazista.

    Ma, secondo Elsaesser e Nowell-Smith, ci sono altri modi di interpretare il cinema tedesco di quegli anni, tenendo conto, ad esempio, che era l’unico in grado di competere con Hollywood sia sul piano industriale sia su quello creativo, pur rimanendone distinto e autonomo. I film tedeschi dell’epoca contribuirono profondamente a definire i canoni realistici, pur mirando a una descrizione interiore dei personaggi e non caddero nel miraggio dell’attrazione spettacolare che tanto imperò ad Hollywood. Quel cinema fu anche un business astuto e consapevole che strizzava l’occhio alla tradizione in patria e si presentava come opera d’arte all’estero, dando agli americani il frisson di assistere a prodotto artistico di qualità.

    Fritz Lang

    Sfortunatamente non è più possibile ricuperare una visione vergine della storia della cinematografia tedesco perché effettivamente il nazismo recise la pianta in due parti inducendo numerosissime figure di primo piano della cultura e della produzione cinematografica degli anni Venti a emigrare: (esattamente come fece in ambiente scientifico – e come fece il fascismo in ambiente scientifico italiano [3]). Lubitsch e Murnau, i più grandi, lasciarono prontamente la Germania negli anni Venti, stabilendosi negli Usa. Altri li seguirono negli anni successivi, diretti a Parigi o a Londra, basta pensare a Erich Pommer (produttore), ai registi Fritz Lang, Edgar Ulmer, Max Ophuls, Detlef Sierck (alias Douglas Sirk) e Robert Siodmak, agli sceneggiatori Curt Siodmak e Billy Wilder.

    Una sorte simile toccò anche a numerosi scrittori tedeschi e austriaci – Thomas ed Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Stefan Zweig e molti altri – ma essi poterono continuare a scrivere nella loro lingua, contribuendo alla letteratura tedesca, anche dall’estero e, dopo il 1945, poterono riprendere il loro posto in patria. Chi lavorava nel cinema, invece, no. Pensando alla cinematografia tedesca, viene subito alla mente un confronto con le scienze tedesche e italiane: entrambi questi mondi, apparentemente tanto lontani, furono decimati dei loro capiscuola che, dovendo utilizzare complessi strumenti e tecnologie, divennero parte integrante del mondo cinematografico o scientifico dei paesi che li ospitarono. Molti degli esuli, sia nel mondo cinematografico sia nel mondo scientifico, non poterono rientrare in patria nel 1945 perché l’industria tedesca era stata abbattuta e perché talvolta il loro posto era stato occupato da mezze figure ossequiose al regime. E tanti non tornarono più.


    Poi il cinema tedesco venne nuovamente separato in due tronconi dalla guerra fredda ed entrambe le parti restarono deboli e non riuscirono a trovare nuove vie, come il neorealismo italiano, o a ricollegarsi al passato, come la cinematografia francese.

    L’interpretazione offerta da Thomas Elsaesser e riesaminata da Geoffrey Nowell-Smith, senza nulla togliere al fondamentale e innegabile contributo di Eisner (e di Kracauer), getta nuova luce sul cinema tedesco prenazista e ne mette in evidenza altri aspetti vitali, nonché i contributi dati alla tecnologia cinematografica. E ci ricorda che – anche se il tessuto culturale di un paese può sopportare strappi e tagli – certe lacerazioni, troppo gravi per essere ricomposte, inevitabilmente conducono a un futuro collettivo molto diverso e più «povero» di quello che avrebbe potuto essere.

    Note
    1. A Lotte Eisner è dedicato il film Paris, Texas (1984) di Wim Wenders, uscito poco dopo la sua morte.
    2. Kammerspielfilm: all’incirca Cinema da camera. È, oltre all’espressionismo, la seconda grande corrente del cinema muto tedesco degli anni Venti. Mentre l’espressionismo manipola e deforma, rappresenta eroi del male, con scivolamenti nel mondo onirico e nell’irrealtà, il Kammerspiel intende ritornare alla realtà: storie di gente comune, proletari e piccoloborghesi, scenografie quotidiane, quasi sempre di interni, attenzione alla psicologia dei personaggi, uso del primo piano per renderne gli stati d’animo, recitazione misurata, macchina da presa mobile. Le due correnti sono accomunate da una visione pessimistica della realtà, da un senso ineluttabile di infelicità e disperazione, dall’uso della luce e dei contrasti chiaroscurali e da figure chiave di registi e sceneggiatori che le praticarono entrambe: Murnau, naturalmente, P. Leni, G.V. Pabst, Carl Mayer.

     3.Giorgio Israel, Politica della razza e persecuzione antiebraica nella comunità scientifica italiana– in Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali(Roma 17-18 ottobre 1988) – Camera dei Deputati Servizio Informazione parlamentare e relazioni esterne, Roma 1989. pp. VIII-356 – purtroppo esaurito.

    Lotte Eisner
    Murnau. Vita e opere di un genio del cinema tedesco
    Alet 2010, pp. 382,  € 18,00 
    trad. Roberto Menin

    Lotte Eisner 
    Lo schermo demoniaco 
    Editori Riuniti 1983 e 1991 
    fuori catalogo ma rintracciabile in rete.

    Lotte Eisner 
    Fritz Lang  
    Mazzotta 1978

    Siegfried Kracauer 
    Da Caligari a Hitler. Storia psicologica del cinema tedesco – Lindau, pp. 512,  € 35,00

    Thomas Elsaesser 
    Weimar Cinema and After: Germany’s Historical Imaginary
    e-book

    Condividi!

    • Facebook
    • LinkedIn
    • Tumblr
    • Pinterest
    • Stampa

    Correlati

    Tag: MappeMurnauCinema tedescoRecensioni

      Potresti trovare interessante anche...

    • La crisi non è finita, di Nouriel Roubini Maggio 8, 2013
    • Ossa nel deserto: un ventennio di massacri Giugno 2, 2013
    • Chaltron Hescon e Tommaso Labranca Dicembre 25, 2014
    • Lungo i sentieri neri, Sylvain Tesson Luglio 24, 2018
    • Articolo precedente Oscuro e mortalmente affascinante. Il metaverso di Egan
    • Articolo successivo In una notte d’autunno
    • Facebook

    • In primo piano

      • L’Era degli scarti di Marco Armiero02/08/2023
      • Torino Nouvelle Vague di Franco Ricciardiello01/12/2023
      • Un Drago per Ted Sturgeon12/07/2022
      • Silenziosa sfiorisce la pelle di Tlotlo Tsamaase09/18/2022
      • Specchi neri di Arno Schmidt05/11/2022
      • Le tre stigmate di Palmer Eldritch di P.K.Dick03/02/2022
      • Immaginari alterati di Aa.Vv.01/21/2022
      • Noi di Evgenij Zamjàtin10/17/2021
      • La distopia secondo Stanisław Lem: Ritorno dall’universo.10/08/2021
      • La città condannata di Arkadij e Boris Strugackij08/01/2021
    • Ultimi articoli

      • La pista di ghiaccio di Roberto Bolaño
      • L’Era degli scarti di Marco Armiero
      • Un giorno come un altro di Shirley Jackson
      • Una seconda natura di Michael Pollan
      • Epepe di Ferenc Karinthy
      • Torino Nouvelle Vague di Franco Ricciardiello
      • Il villaggio dei dannati di John Wyhdham
      • Un Drago per Ted Sturgeon
      • Mostrology di Licia Troisi
      • La città dell’Orca di Sam Miller
      • I fratelli di Serapione (tomo 1) di E.T.A. Hoffmann
      • La cartolina di Anne Berest
      • SS-GB, I Nazisti occupano Londra di Len Deighton
      • Fanta-Scienza 2, a cura di Marco Passarello
      • The Revelation di Bentley Little
      • 1793 di Niklas Natt Och Dag
      • Silenziosa sfiorisce la pelle di Tlotlo Tsamaase
      • Imprevisti e altre catastrofi di Glauco Maria Cantarella
      • La chiocciola su pendio di Arkadij e Boris Strugackij
      • RELAZIONI Amanti, amici e famiglie del futuro a cura di Sheila Williams
    • Tag

      Antologia biografia biologia Cina cinema cyberpunk distopia donne evoluzione Fantascienza fantastico fantasy Fascismo giappone gotico horror Istantanea istantanee J.G.Ballard Mappe Napoli narrativa americana narrativa cinese narrativa fantastica Narrativa francese narrativa giapponese narrativa inglese narrativa italiana Narrativa russa narrativa statunitense narrativa tedesca Nazismo P.K. Dick Poliziesco recensione Recensioni Redazionale Seconda guerra mondiale Speciali steampunk Storia della scienza Storia naturale letteratura fantastica Thriller ucronia Vampiri
    • Archivio

    • I nostri redattori

      • Andrea D'Urso
      • Claudia Cautillo
      • Consolata Lanza
      • Davide Mana
      • Emilio Patavini
      • Enrico Barbero
      • Franco Pezzini
      • Giulio Maria Artusi
      • Gordiano Lupi
      • Massimo Citi
      • Massimo Soumaré
      • Melania Gatto
      • Morgana Citi
      • Nicola Parisi
      • Sara Passannanti
      • Silvia Treves
    • Leggere altrove

      • Carmilla
      • Corriere della Fantascienza
      • CS_libri Torino, il catalogo
      • Flanerì. Rivista di cultura e narrativa
      • L'Indice dei libri
      • LIberi di scrivere
      • Rivista fralerighe
      • Sagarana
    • Letture raccomandabili in scienza e letteratura

      • Crack, dis/connessioni letterarie Crack, dis/connessioni letterarie
      • La natura delle cose La natura delle cose
      • MUFANT – Museolab del Fantastico e della Fantascienza di Torino MUFANT – Museolab del Fantastico e della Fantascienza di Torino
    • Home
    • In primo piano
    • Articoli
      • Recensioni
      • Interviste
      • Speciali
        • Retrofuturo
        • Alia Evo 5.0
    • Archivio
    • Chi siamo
    • LN Bookstore

    © Copyright 2023 LN | librinuovi.net. Newsroom Theme by WPBandit.