di Massimo Citi
Questo è il titolo originale del romanzo pubblicato in Italia come Gli dei invisibili di Marte.
Un «Urania» relativamente smilzo – 222 pagine il romanzo + un racconto breve di Roberto Guarnieri + un breve profilo dell’autore – il tutto stampato su carta giallognola e porosa per i consueti (e pochi) € 4,50, fresco di edicola con data aprile 2012.
Il romanzo originale, per chi lo ignorasse, è datato 1977. Non soltanto un altro secolo ma addirittura un’altra epoca, non solo pre-caduta del muro, ma anche pre-Thatcher, pre-Due torri, pre-internet, pre-quasi, per farla breve, tutto ciò che di materiale o immateriale ci circonda.
Era il caso – importante, urgente, indifferibile – tradurre in italiano un romanzo tanto datato? The martian Inca lo meritava?
Facciamo come i recensori seri e andiamo con ordine. La trama, innanzitutto.
Una sonda spaziale sovietica (!) nel rientro sulla Terra dopo una missione su Marte e carica di terriccio rossastro si schianta clamorosamente fuori mira, abbattendosi in Bolivia piuttosto che scendere pacificamente a est del Mar Caspio.
Nel luogo dove è caduta la sonda sorge un villaggio di Indios che in breve verranno infettati e (quasi) tutti uccisi. A non morire saranno due indios, per loro fortuna nascosti alla medicina occidentale. Un maschio e una femmina. Il maschio, Julio, è un individuo semplicione e impulsivo, la donna, Angelina, una creatura più attenta ma incapace di arginare la follia che ha preso Julio, autoincoronatosi l’Inca del XX secolo e che, in breve, capeggerà una rivolta popolare contro il governo boliviano.
Particolare non secondario, la situazione politica del subcontinente sudamericano era quella degli anni ’70, ovvero una radicalmente diversa da quella odierna. Ma procediamo.
L’altra metà della vicenda si snoda a bordo di un’astronave spedita su Marte, «a cinque mesi di distanza dalla Terra». Qui i tre astronauti dovranno presto affrontare le inattese conseguenze della scoperta delle principale forma di vita esistente sul pianeta rosso. Conseguenze che possono avere riflessi del tutto inaspettati per la specie umana.
Come è condotta la trama?
Beh, un po’ a strattoni. Con lunghe parentesi dedicate alla vita, agli usi e costumi degli indios che mi hanno ricordato certi documentari anni ’70 firmati da Folco Quilici – probabilmente non a caso. Parentesi interessanti? Probabilmente necessarie per «ambientare» meglio la vicenda, anche se inevitabilmente lunghe, tanto più tenendo conto che la situazione degli Indios attuali non è più quella degli anni ’70, più o meno una quarantina di anni fa.
Non molto meglio il racconto del rapporto tra gli astronauti o la descrizione un po’ ovvia della politica USA in Sud America in quegli anni.
Il libro prende un po’ vita intorno a metà della sua lunghezza, quando l’Inca inizia la propria rivoluzione mentre hanno inizio le manovre di politica internazionale degli americani. Senonché il povero Inca viene ben presto catturato ed eliminato senza troppe cerimonie mentre il terrore per il fattore M, ovvero il misterioso virus marziano, corre sulle trasmissioni tra la Terra e l’astronave Frontiersman. Inevitabilmente il virus marziano colpirà anche uno degli astronauti facendo fallire la missione terrestre e con essa la politica spaziale americana.
…
La vera scommessa del libro consiste nell’immaginare una forma di intelligenza che risulti perfettamenta adattata alle difficili condizioni di sopravvivenza marziane – un’organismo capace di crescere fino a costituire una sorta di plasmodio conscio di sè – che sugli organismi umani abbia, fin dai gradi più bassi del proprio sviluppo, il risultato di creare un grado «ulteriore» di coscienza, un gradino ulteriore di evoluzione dell’intelligenza e della comprensione di sé e del mondo.
Per mettere in scena questa faticosa tour-de-force Watson deve necessariamente fare appello alla convinzione, allora ampiamente diffusa nella società, che una profonda mutazione delle cose fosse nell’aria. Una mutazione che apparisse come possibile e prossimo grado ulteriore di coscienza che avrebbe necessariamente cambiato lo stato delle cose. Il suo Inca marziano, come l’astronauta contagiato, finiscono così per provare esperienze inevitabilmente molto simili a quelle dell’inalazione di un potente psicoattivo. E i loro sogni – e la loro condotta – finiscono per essere altrettanto assurdamente simili alle affabulazioni e confabulazioni di un ubriaco o di un malato di mente, per quanto trascritte ed elaborate con indubbia abilità.
La scommessa, se di scommessa di trattava, fallisce senza speranza, condannando Inca e Astronauta a un mesto finale e (forse) l’umanità a un futuro di solitaria e fanatica autocontemplazione di un proprio pletorico, superbo e delirante sé. Un vero incubo, a pensarci bene.
Il tentativo della sf di misurarsi con un grado ulteriore di intelligenza non è mai stato premiato. Probabilmente perché non è affatto facile riuscire a immaginare un grado ulteriore di sviluppo evolutivo dalla nostra posizione. Un po’ come un gorilla o un orango che provino a immaginare un passo evolutivo ulteriore dei loro consimili verso la specie homo sapiens sapiens. Difficile che gorilla o orango immaginino un individuo più magro, più leggero, più debole nei confronti dei predatori e la cui femmina debba partorire a fatica. Una visione dell’evoluzione come meccanico aumento delle dotazioni di intelligenza, memoria e potenza fisica è probabilmente lo stesso genere di operazione mentale che condurrebbero i nostri «cugini» primati. Qualcosa, in sostanza, che non ha nulla a che vedere con l’evoluzione dei viventi.
…
Un romanzo confuso e pretenzioso, detto in breve. Un testo che sarebbe stato bene lasciare tra le prove meno riuscite di un autore per altri versi noto e capace. Ma d’altro canto la rivista «Urania» non naviga in buone acque e deve trovare testi a un prezzo davvero molto contenuto. E la sensazione è che ultimamente questa necessità sia diventata fin troppo pressante. Dopo aver abbandonato a buttato letteralmente nel bidone il romanzo di dicembre pubblicato da Urania, il tossico Retief ambasciatore galattico scritto nel 1989 da quel poveruomo di Keith Laumer, ho la netta sensazione che Urania stia andando di male in peggio.
Anche del romanzo di Laumer pensavo di scrivere una recensione, ma avendo perduto il libro, mi limiterò a riportare qui il commento scritto da Vincenzo Cammalleri e apparso sul blog di Urania:
« Che fosse un romanzo buono giusto per svagarsi lo si era capito già dalla quarta di copertina, e del resto questo non vuol certo dire che non si possa trattare di un buon libro. Il problema sorge quando le macchiette che dovrebbero essere i personaggi della nostra storia fanno, tra un cazzotto e l’altro, improbabili discussioni con periodi lunghi come la distanza di questo improbabile pianeta dalla terra. Se aggiungiamo la sicuramente poco interessante trama che si regge sul: tu provochi me, io provoco te, fra un cazzotto e l’altro cerchiamo di prenderci diplomaticamente in giro a vicenda….e poi ricominciamo da capo!!!!
beh….una solfa simile si può reggere giusto per 60 pagine, non certo per 330….ed infatti, dopo aver dato uno sguardo random alle pagine successive ed aver verificato la ricorrenza del sistema “provochi tu, provoco io, due cazzotti alla Bud Spencer, ma io non ho fatto nulla, io sono un diplomatico, tu sei un poliziotto e bla bla bal….” che ricorre con precisione svizzera, io decisamente passo….non mi va di sprecare altro tempo su questa robaccia….»
Beh, non è esattamente una recensione, ma credo che dia un’idea.
In ogni caso penso che finirò per caderci ancora e comprare un altro «Urania». Quindi a rileggerci per l’uscita di un prossimo possibile candidato al bidone.
Ian Watson
Gli dei invisibili di Marte
Mondadori Urania – Aprile 2012
pp. 222, € 4,50
trad. S. Proietti