Biblioteca.
I libri ritrovati
di Massimo Citi
Da lungo tempo mi ripromettevo di dedicare spazio a uno dei più grandi autori giapponesi di questo secolo, Yasunari Kawabata, ma finora me ne è mancata l’occasione. Occasione che mi è stata offerta dalla pubblicazione di un testo inedito in Italia, Prima neve sul Fuji, pubblicato da Mondadori nell’ottima traduzione di Giorgio Amitrano, traduttore, tra l’altro di Banana Yoshimoto e di Haruki Murakami.
Kawabata è stato il primo autore nipponico a ricevere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1968. Il secondo è stato Kenzaburo Oe.
A chi si accosta alle sue pagine potrà sembrare poco appropriato, forse persino assurdo un premio tanto roboante per un autore così discreto. Kawabata narra infatti storie personali, riflessioni e smarrimenti, conflitti e contemplazioni. Come molti hanno detto e scritto è un autore che non si preoccupa di costruire intrecci e trame e, curiosamente per uno scrittore tanto universalmente stimato, quasi tutta la sua produzione presenta la consistenza breve e concentrata del racconto, anche quando, come è il caso de La Casa delle belle addormentate, il testo si presenta più lungo.
In realtà qui come in altri suoi libri, K. predilige le vicende fatte di episodi separati, muove la narrazione secondo il flusso del tempo, rendendone così più forte la coscienza nel lettore. Tempo dei fatti, degli eventi minimi, ma anche dell’attesa, della coscienza di ulteriori cicli più lenti che regolano le nostre brevi vite.
Uno degli elementi di maggior fascino di K. è, infatti, proprio nella capacità di costruire le proprie storie come frattura, incongruenza tra diversi cicli, il ciclo naturale della vita e delle età, il ciclo delle stagioni e degli anni che si ripetono e il Grande Tempo che governa la vita minerale e la bellezza.
La purezza, il candore, la leggerezza sono elementi costanti del narrare di Kawabata. Ma non si tratta della nostalgia di una giovinezza/purezza perdute che risulterebbe stucchevole, ma dell’esplorazione del mistero delle vite e dei corpi, del fascino insieme spirituale e animale dell’amore.
Le donne di K. sono ben vive e carnali, talvolta armate di una coscienza del proprio sé corporeo tanto costante e onnipresente (la geisha Komako de Il paese delle nevi) da scatenare passioni malate, nate insaziabili perché i corpi nella loro povertà non possono mai giungere a saziarle.
Il sesso in K. è quasi sempre rappresentato come potenza, possibilità che non riesce mai a giungere a compimento. Le donne dai corpi cristallini, dalla pelle candida, morbida e liscia sono il legame con il Grande Tempo, l’oggetto di un desiderio incongruo, che nel momento dell’appagamento denuncia tutta la sua impotenza.
Questo è il senso di un testo come La casa delle belle addormentate, dove il vecchio Eguchi che «non era ancora uno di quelli che la donna diceva “ospiti di cui si può essere tranquilli”», ottiene, pagando, di poter passare la notte accanto a una ragazza addormentata, con il vincolo di non poterla svegliare.
Il confuso desiderio di Eguchi finisce col divenire, nel corso delle notti passate presso la Casa, contemplazione, a volte malinconica, a volte amaramente divertita, dei giovani corpi femminili con i quali condivide il tatami, resi pure forme senza voce né volontà e che nella loro impotenza scatenano in lui il ricordo dei tanti amori sterili e vissuti affrettatamente, immiseriti da una passione che non è mai riuscito a trasformare in contatto.
Yasunari Kawabata |
I ricordi della giovinezza si risvegliano, lo assediano. Sentimenti paterni che non aveva mai immaginato di possedere lo scuotono e gli fanno incontrare un altro se stesso, una chimera instabile che racchiude in sé desiderio e premura, dolcezza e rabbiosa voluttà. L’involucro di Eguchi va ben presto in frantumi e la potenza virile che si vanta di possedere ancora non è altro che una misera consolazione per il tempo perduto, per le occasioni non afferrate.
Eguchi non riesce a smettere di frequentare la Casa e ogni volta affronta nuovamente il proprio personale contrappasso, costringendosi a contemplare ciò che non ha mai saputo davvero toccare.
Ma la Casa è anche un luogo di sommessa, mascherata violenza. Le ragazze, vergini, sono narcotizzate per non essere svegliate dagli anziani clienti, il loro sonno drogato le rende puri simulacri, come tiepide, perfette bambole. Ed è proprio questo particolare che denuncia il profondo pessimismo di Kawabata. L’unico rapporto intenso, ricco di promesse, che si possa creare tra persone diverse presuppone la disparità, il contrasto, l’assenza. Incontrarsi è perdersi.
Yukio Mishima, suo eccellente lettore, nella postfazione al libro parla della «obiettività disumana insita nella qualità visiva del piacere maschile». Kawabata conduce al limite estremo questa imperfezione dello sguardo, rendendola una condizione esistenziale.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta appena pubblicata da Mondadori è un altro eccellente esempio di questa inquietante, malinconica poetica della solitudine. Jirô e Utako sono stati amanti. I loro corpi si conoscono più di quanto si conoscano le loro menti ma il loro incontro casuale, venuto a distanza di anni dalla passione di un tempo, vive della sua irripetibilità, della sua condizione transitoria. Confusi e timorosi si amano nuovamente, scoprendo soltanto in quel momento ciò che li ha uniti e che, forse, avrebbe potuto unirli per molto tempo. Se ne ritraggono entrambi, spaventati, e si allontanano, lui per ritornare a un rapporto di coppia senza sorprese e lei alla sua condizione di donna divorziata.
Diversa la sorte di Junji in Cose che suo marito non faceva, racconto breve contenuto nella medesima antologia, Prima neve sul Fuji, beffardamente crudele nei confronti delle smanie per la perfezione del corpo femminile del protagonista. In poche pagine Kawabata si incarica di «mostrare» (un verbo molto amato da Flannery O’Connor) quanto Mishima ha scritto. Alla base dell’insoddisfazione, del nevrotico desiderio di Junji è proprio la qualità visiva del suo desiderio, insieme all’ansia di apparire adeguato a un modello maschile inesistente. Lo scontro con la realtà e con Kiriko, l’amante matura che gli rimprovera il suo desiderio venato di narcisismo, distruggerà in un secondo tutte le povere categorie mentali del giovane studente.
Il difficile, contorto rapporto tra desiderio, amore e intimità è anche il tema del bellissimo Il paese delle Nevi. Ma al centro del racconto è il ritmo delle stagioni, l’onnipresenza del gelo come stato sospeso, dormiente, la condizione che meglio di altre invita alla contemplazione, alla percezione di quel mono no aware, la malinconia delle cose secondo l’interpretazione fornita da Aldo Tagliaferri, ovvero la facoltà di accordare la propria percezione ai ritmi dettati da un tempo ciclico.
Shimamura e Komako, il turista cittadino e la geisha del paese delle nevi, vivono nel corso del romanzo una storia d’amore straordinaria, fatta di schermaglie, ritrosie, reciproche intolleranze e improvvisi, repentini abbandoni. Il loro rapporto, difficile e contrastato, sembra vivere di improvvise assenze, di mancanze, di parole che non vengono mai pronunciate ma vagano a lungo nell’aria come presagi. Accanto ad esso germina di vita notturna il legame di Shimamura con Yoko, fanciulla inafferrabile e malata di mente, la cui vita sembra orbitare intorno a quella di Komako, secondo leggi e tempi incomprensibili per Shimamura.
I fili sparsi nel testo si raccolgono nelle pagine finali con un’intensità drammatica poco comune nei testi di Kawabata. Ma gli eventi finali dove una morte viene a spezzare il ciclo, non diversamente da quanto accade ne La Casa delle Belle Addormentate, non giungono inattesi per il lettore. La sopita tensione che K. riesce a creare nel testo trova così un suo scioglimento, proiettando l’intera vicenda nel passato, mostrando il confine naturale delle percezioni e dei ricordi.
Una via, che gioverà ricordarlo, scelse anche Kawabata, suicidatosi nel 1972.
Yukio Mishima |
La dimensione attentamente rallentata dei testi di Kawabata nasce dalla scelta di utilizzare forme stilistiche piane, estremamente sobrie ma anche sommamente precise. Ancora una volta prendo spunto da Yukio Mishima che scrive « … si resta colpiti da ammirazione per la precisione e l’estrema finezza dei particolari che Kawabata impiega … ». Nulla è lasciato al caso, tutto cospira nel creare sottile emozione, attesa, attenzione. A cominciare dai luoghi accuratamente raffigurati: le luci artificiali, i riflessi di lanterne e fuochi, il lucore blu delle nevi notturne, fino ai dialoghi fatti di mille domande, sconfitti dalla difficoltà di comunicare realmente.
Kawabata è uno dei rari autori che impongono il proprio ritmo al lettore, invitano a esplorare il testo con cauta attenzione, ad aumentare la propria percezione per cogliere i segnali celati dalle atmosfere rarefatte, nei dialoghi che sono in realtà monologhi giustapposti. Salvo poi colpire profondamente e dolorosamente.
La casa delle belle addormentate
Yasunari Kawabata
Trad. Mario Teti
Mondadori – Oscar Classici Moderni, 2001
pp. 203, € 9,00
Prima neve sul Fuji
Yasunari Kawabata
Trad. Giorgio Amitrano
Mondadori – Oscar Scrittori Moderni, 2001
pp. 235, € 7,00
(attualmente non disponibile)
Il paese delle nevi
Yasunari Kawabata
Trad. Luca Lamberti
Einaudi ET Scrittori, 2007
pp. X – 150, € 9,50
Alcuni altri titoli di Yasunari Kawabata pubblicati in Italia:
– Album degli schizzi. Racconti in un palmo di mano [trad. O. Civardi], Marsilio, 1996
– Arcobaleni [trad. L. Origlia], Guanda, 1989; Tea,1994
– Bellezza e tristezza [trad. A. Suga] Einaudi, 1985, 1993
– Immagini di cristallo [trad. L. Origlia], ES 1991, SE 1997
– Koto, ovvero i giovani amanti della città imperiale [trad.M. Teti], Rizzoli, 1997
– Il lago [trad. L. Origlia], Tea, 1991; Guanda, 1993
– Mille gru [trad. M. Teti], Mondadori, 1987
– Il suono della montagna [trad. A. Ricca Suga], Bompiani, 1984
da LN-LibriNuovi n. 16 – Inverno 2000