di Massimo Citi
Che cosa resta della sf pubblicata in Italia? A una veloce occhiata si direbbe ben poco. Sul tavolo dedicato alla letteratura fantastica presso la FNAC di Torino, visitata giusto l’altrieri, c’era qualcosa di horror, parecchie novità di fantasy e soltanto qualche pallidissima ristampa di sf, con in bella vista una novità assoluta come John Carter di Marte di Edgar Rice Burroughs, ripescata grazie alla recente produzione di un film definito su Wikipedia «una delle più grandi perdite economiche nella storia del cinema».
Le produzioni librarie vivono di ristampe e conoscere un nuovo autore grazie a un libro pubblicato in italiano è diventato più raro di un incontro ravvicinato del terzo tipo.
«Ma la fantascienza ha già vinto, monsieur, tutto qui il motivo».
Può essere, può essere. In fondo non viviamo in mezzo alle meravigliose realizzazioni di una tecnologia raffinatissima? Non abbiamo con noi il nostro persona, telefono-pc-cinema-libro eccetera? Ma io non vedo astronavi nei dintorni né appena appena voli di linea con la Luna, né – soprattutto – vedo un lavoro che non superi le 2-3 ore al giorno, come si profetizzava nel 1960. Ho la sensazione che abbiamo sì infilato la strada per il futuro, ma per un futuro che non riguarda la maggior parte degli esseri umani… Questa è l’enorme differenza con il futuro immaginato in altri tempi: una evidente distinzione tra diverse categorie di umani. Un po’ ciò che si sosteneva nella sf «sociologica» ai tempi di Pohl e Kornbluth.
Proprio un genere di sf scomparsa anche più della Space Opera. Ma è normale, in fondo, chi ha voglia di sentirsi ripetere ciò che già vive tutti i giorni? Che lavora per 10-12 ore al giorno – se è fortunato – per poter impiegare la domenica mattina a fare la spesa e la domenica pomeriggio a riparare qualcosa di rotto in casa, che ogni giorno segna le tappe di un impoverimento che non ha proprio nulla di fatale, o che anche semplicemente guardando la TV si sceglie chi sostenere economicamente e politicamente…
No, no, basta così.
Siamo qui per parlare non di politica ma di sf. Di quel poco che appare in italiano, affidato alla gentile persistenza di «Urania» nell’edicola sotto casa.
Urania che si è presentata doppia, in maggio-giugno. Nella sua veste abituale, con un breve romanzo di Joe Haldeman, Verso le stelle nella traduzione di Dario dhf Rivarossa. Titolo originale Starbound che si può (malamente) tradurre come «Vincolo stellare», e con Millemondi Primavera 2012, traduzione della 16a edizione di Year’s best SF di David Hartnell e Kathryn Cramer.
Il romanzo, per cominciare.
Joe Haldeman, per chi non lo ricordasse, è stato l’autore di Guerra Eterna (Forever War, 1974), romanzo con il quale vinse i premi Hugo e Nebula. La serie «bellica» di Haldeman continuò in seguito con altri romanzi, nati, per sua stessa ammissione, dietro pressioni da parte dell’editore. Al di fuori della serie legata a Guerra Eterna Haldeman ha pubblicato diversi altri romanzi dei quali mi è capitato di leggere Cronomacchina Accidentale, apprezzandone l’umorismo sottotraccia e la visione mentale così evidentemente liberal.
Questo «Vincolo stellare» è stato scritto con altrettanto humour e si lascia leggere gradevolmente, sorprendendo il lettore con i curiosi «marziani» messi in scena da Haldeman e mettendo in scena una situazione potenzialmente molto pericolosa che soltanto un pugno di uomini e un paio di «marziani» potranno – forse – disinnescare.
Come finisce il libro non mi sogno nemmeno di anticiparlo, ma come insegnano i grandi recensori è giusto dare un’idea della vicenda. Gli umani hanno avuto occasione di conoscere una razza aliena creata e «trapiantata» dagli Altri – pericolosa e sostanzialmente invisibile specie extraterrestre – sulla superficie di Marte. Dall’incontro tra gli umani e i «marziani» e da un tentativo (fallito) di eliminazione dell’umanità da parte degli Altri nascerà l’dea di una spedizione al loro (possibile) pianeta per cercare un accordo di un qualche genere.
Un plot ingegnoso anche se non geniale, certo, ma condotto con un piacere antiretorico e antimilitarista che diverte – e talvolta appassiona – con pochissime cadute e, in compenso, con non poche osservazioni disseminate in apparenza casualmente ma in realtà perfettamente mirate. Come risolvere la carenza di energia per un viaggio interstellare? Dove dovrete infilare la spina? E che cosa ci sarà dall’altra parte del cavo? O come affrontare il problema di un viaggio della durata soggettiva di sei anni? Cosa ne direste di una bella piscina? Le risposte di Haldeman sono spesso sorprendenti, qualche volta autocaricaturali o sul filo dell’assurdo. In generale, comunque, non vi annoierete leggendo questo romanzo, a meno che non abbiate un’idea troppo seriosa della sf.
…
Qualcuno forse ricorderà che l’ultimo «Millemondi» di Urania, il numero 58 uscito nella tarda primavera del 2011, era la traduzione dell’Year’s Book SF numero 13, anno 2010. Nel giugno 2012 è uscito il numero 16.
Calma, non è un incidente temporale. Nella telegrafica introduzione il nostro Bel Lippi spiega come Mondadori abbia deciso di tagliare il proprio ritardo, pubblicando il numero dell’anno precedente e rimandando i numeri 14 e 15 ad altra data.
Speriamo sia vero.
Giusto perché non ho il massimo della fiducia in chi dichiara bellamente – da qui il Bel Lippi – che a tagliare un romanzo per farlo entrare nelle dimensioni abituali di Urania non si fa peccato. Chi ne dubitasse può sempre fare un salto sul blog di Urania nel dibattito seguito alla pubblicazione di Alla fine dell’arcobaleno di Vernor Vinge, libro che peraltro non riuscii a finire causa l’ermetica oscurità di non pochi passaggi uraniamente snelliti.
Ricordare fa bene alla vi(s)ta.
Comunque nella 16 Year’s Book SF c’è di che sollazzarsi. Giuro.
Comincio da quattro racconti che meritano la mia e spero anche la vostra approvazione. Parlo di Il ragazzo di Jackie di Stephen Popkes, Gli zebralli, i demoni e i dannati di Brenda Cooper, Petopia di Benjamin Crowell e Tutto più o meno di Terry Bisson. Tutte vicende che hanno al centro il rapporto tra uomini e creature senzienti semianimali, ex-animali o simil-animali. Creature che, immancabilmente, mostrano la loro superiorità etica. In fondo a ben vedere si tratta di favole, ovvero vicende che insegnano qualcosa a chi legge, ma senza albagìa o supponenza e, particolarmente nel caso della novella Il ragazzo di Jackie, con delicata attenzione, quasi potessimo davvero imparare qualcosa. Quattro racconti davvero preziosi.
Steven Popkes
Altrettanto sardonicamente prezioso il racconto di Gregory Benford, Penombra, dove si può scoprire quanto la civiltà umana sia fondamentalmente fragile. Ottimi anche i racconti di Joe Haldeman, Non svegliare il can che dorme, magistrale lezione su come si può combattere una guerra e farla dimenticare; di Vernor Vinge, Una valutazione preliminare […], esilarante e maligna dimostrazione della sostanziale stupidità dei quadri delle imprese multimediali; di David Langford, Graffiti nelle biblioteca di Babele, curiosa riflessione apparentemente nata dal detto virgiliano «Timeo danaos et dona ferentes» e ricca di spunti problematici anche sulla necessità di taluni progetti scientifici;
Bizzarramente sorprendente Live al Budokan di Alastair Reynolds, eccellente assaggio di cosa può avvenire nel gioco del rilancio alla ricerca di «nuovi interpreti». Altrettanto godibile Tredici chilometri di Sean McMullen, racconto spudoratamente steampunk, finemente sorretto da uno stile e un sapore perfetti. Comunque di buon livello altri racconti come Bimba e l’oceano di Kay Kenyon, anche se forse un filino troppo hemingwaiano, Il mercato dei ricordi, di Nina Kiriki Hoffman, ottimo spunto per un racconto anche se probabilmente un po’ troppo breve e La mano buona di Robert Reed, esercizio ucronico di notevole e allarmante efficicacia. Davvero suggestivo lo spunto da guerra fredda de Il progetto Cassandra di Jack Mc Devit, ricco di una freddo malinconico humour, tanto da farne rimpiangere la brevità. Più che discreti anche Tutto l’amore del mondo di Cat Sparks e Come diventare un dominatore di Marte di Catherynne M. Valente, mentre meno riusciti mi sono parsi Sotto le lune di Venere di Damien Broderick, racconto eccessivamente calligrafico, La casa di un uomo è il suo castello di Michael Swanwick, interessante per la forma di dialogo a due voci ma debole nella chiusura e Dalla lontana Cilenia, di Karl Schroeder, ottimo nello spunto ma complesso e talvolta oscuro della conduzione.
Somadeva di Vandana Singh non l’ho semplicemente letto, perché allergico agli autori di origine indiana che sbarcano il lunario ripescando i modi e le forme dell’antichissima letteratura indiana. Difetto mio, nulla di più. In quanto, infine, a Fantasmi che ballano con le arance di Paul Park, sinceramente non so che cosa dire. Poco o nulla sf – e fin qui poco male – ma discontinuo, ambizioso fino al suicidio stilistico, caliginoso e parecchio supponente. Sicuramente esistono centinaia o migliaia di lettori che possono inchiodarmi alla mia posizione di ignavo, ma pazienza. Ho tentato in almeno quattro occasioni di riattaccarlo ma lasciandolo ogni volta poche righe dopo. Non è per me.
…
È possibile trarre qualche genere di conclusione, insegnamento, valutazione sullo stato attuale della sf, perlomeno negli States e nelle aree anglofone? Qualcosa che sfugga all’ovvio criterio del gusto personale dei due curatori?
Non facile, ma qualcosina si può affermare. Che la sf è sempre più plurale, sia nella scelta dei temi che nei modi per proporsi. Steampunk, sf sociale, space opera, hard sf, slipstream, distopia, ucronia e sf apocalittica e post-apocalittica convivono felicemente in un universo fantastico sempre più ampio dal quale, duole dirlo, l’Italia è sempre più tagliata fuori. Che esiste un grado «zero» della percezione e del criterio etico di giudizio e di creazione artistica che privilegia lo sguardo obliquo, il punto di vista estraneo ed estremo. La sf vive un’era anarchica, un momento di felice, complessa e sorprendente confusione di ruoli e destini. Un tipo di sf che, non lo nego, mi è parecchio affine.
In quanto lettore italiano non posso che constatare che questa felice ondata di anarchia creativa ha dimenticato l’Italia, paese dove stancamente emergono pochissimi autori, spesso più o meno spurii, capaci di coniugare una sf largamente sorpassata con qualche lacerto o strame di un poliziesco ovvio e maledettamente provinciale. E dove latitano riviste che pubblichino racconti, di sf o no…
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Ultimissima cosa, segnalo molto volentieri una recensione all’antologia Graffiti nella biblioteca di Babele scritta da Nick Parisi e pubblicata sul suo blog, Nocturnia.
Peraltro – oh, rabbia – uscita in netto anticipo sulla mia…