P.K. Dick ha ambientato pochi romanzi lontano dalla Terra, preferendo esplorare mondi contigui al nostro: le Terre alternative dell’ucronia (The Man in the high Castle, Flow my Tears…) o quelle poco lontane nel futuro o, ancora, mondi che apparentemente coincidono con il nostro, originati da una percezione distorta dalla schizofrenia (Ubik), da un incidente collettivo (L’Occhio nel cielo) o dalla droga (Un oscuro scrutare).
Tra i suoi romanzi extraterrestri (Follia per sette clan, Le tre stigmate di Palmer Eldritch e Labirinto di Morte, ad esempio), Noi Marziani, scritto nel 1962, è senz’altro uno dei più singolari, ma contiene tutti i temi portanti della narrativa dickiana.
Ambientato nel 1994, il romanzo racconta gli inizi della colonizzazione marziana. Emigrati dalla Terra in cerca di nuove opportunità, i coloni si trovano a fronteggiare un pianeta ostile e squallido, deserto e povero d’acqua, sul quale si aggirano i pochi marziani rimasti, nomadi scuri e sottili che sopravvivono in piccoli gruppi-famiglia con una tecnologia ridotta all’essenziale, disprezzati e sfruttati dai terrestri che li chiamano Bleekman, o Negri.
Tutto, su Marte, è reso difficile dagli scarsi mezzi concessi dal pianeta madre, ancora incerto su come sfruttare questo pianeta che, per ora, rende poco e costa troppo. L’autosufficienza è ancora lontana, l’agricoltura stenta a causa della siccità, l’acqua dev’essere estratta e pompata nei canali scavati dai marziani migliaia di anni prima, quand’erano una civiltà fiorente… tutto si rompe, si logora, decade, come nell’incubo di Ubik. I riparatori, capaci di far ripartire ogni tipo di apparecchiatura e di arrangiarsi nonostante la penuria cronica di pezzi di ricambio, sono l’unica risorsa e i migliori sono disputati dalle scarse imprese e istituzioni.
Organizzati su base etnica in poche colonie, al riparo dal sovraffollamento e dalle tensioni del pianeta madre, i terrestri di Marte devono vedersela con gli effetti nefasti della solitudine e dello squallore: la schizofrenia, le anomalie psichiche, le nevrosi e l’autismo sono ormai malattie sociali. Eppure alcuni terrestri su Marte se la cavano benissimo: piccoli e grandi trafficanti del mercato nero che piazzano a peso d’oro macchinari, pezzi di ricambio, vini, liquori e ogni sorta di prodotti alimentari impossibili da produrre su Marte; speculatori con pochi scrupoli che fiutano gli affari e se li accaparrano con ogni mezzo.
Arnie Kott è uno di loro, forse il più ricco e potente, un curioso, umanissimo miscuglio di cinismo, capacità organizzativa, energia ruspante e ingenuità, di entusiasmo per progetti apparentemente insensati e passione per la musica, di cultura autodidatta rimasticata e ostinata fiducia nella propria illimitata buona sorte. Pieno di pregiudizi razziali e sociali, Arnie giudica i suoi simili lasciandosi guidare soltanto da due cose: il proprio interesse – per il quale sarebbe disposto a fare affari anche con satanasso – e un’istintiva capacità di valutare la gente per ciò che è. Anche con Jack Bohlen, il miglior riparatore di Marte, Kott non si è sbagliato: Jack è un elemento instabile ed estremamente vulnerabile, perché vent’anni prima ha sofferto di un episodio psicotico e teme sempre di ripiombare nel suo incubo. Arnie lo vuole per sé perché proprio questa sua esperienza terrificante potrebbe consentire a Jack di comunicare con Manfred, un bambino autistico e schizofrenico, dalla personalità psicotica potentissima, totalmente assorbito dalle proprie visioni interiori, che forse vede il futuro ed è capace di alterare il passato. Un’arma invincibile nelle mani di un affarista…
Il tema più intenso del romanzo è naturalmente quello delle visioni di Manfred, che del futuro scorge soltanto la decadenza e l’avanzare dell’entropia, un’esperienza che erode momento per momento la vita intorno e dentro di lui e che ricorda moltissimo quella di Ubik. L’esperienza personale di Dick, che soffrì a tratti di sindrome psicotica, conferisce alle visioni di Manfred e alle paure di Bohlen un valore di verità particolarmente nitido e struggente:
… qui sta il punto, la visione vuole farti fuggire… questo è il suo scopo: annullare il rapporto con gli altri, isolarti. Se ha successo, la tua vita con gli esseri umani è finita. Questo è ciò che intendono quando dicono che il termine schizofrenia non è una diagnosi, è una prognosi… non dice nulla su ciò che hai, solo su come finirai. […] È la cosa peggiore della nostra condizione questa coscienza del sadismo e dell’aggressività sepolti e rimossi negli altri intorno a noi, perfino negli estranei […] Lo percepiamo persino nei ristoranti […] Negli autobus, a teatro, nella folla.
Altri temi dickiani lo affiancano e intensificano, primo fra tutti quello dell’universo mentale altrui, di una percezione del mondo che non ci appartiene e che inesorabilmente ci ingoia, come un buco nero, poi quello delle alterazioni nella percezione del tempo e dello spazio, che ricordano da vicino quelle indotte dalla droga.
Un buon appassionato di Dick potrebbe citare decine di suoi romanzi evocati in Noi Marziani, come pure riconoscere la piccola, dignitosa speranza che l’autore concede alla fine ad alcuni suoi personaggi: una via d’uscita per Manfred, una tregua e, forse, una speranza di futuro per i pochi Bleekman rimasti … e la promessa, per Bohlen, di ricostruire un sodalizio con la moglie e con il figlio. Non è molto, ma è già una gran ricchezza su un pianeta come Marte.
In Noi Marziani, però, affiorano potenti anche temi più realistici, che richiamano il Dick autore di romanzi mainstream, opere dalla vita difficile e ignorate dalla critica: il personaggio riuscitissimo di Kott, ad esempio, un intelligente artigiano del crimine che nulla può fare contro i cartelli di speculatori e le multinazionali in arrivo dalla Terra per comprare terreni e costruire centri commerciali, condominii e intere città, aprendo le porte a forme di disadattamento più pericolose delle psicosi provocate da Marte. Arnie Kott combatte una battaglia così vana e impari da rimanere nella mente dei lettori come una grande figura, contemporaneamente patetica ed eroica. E i personaggi femminili di contorno, le mogli dei coloni, come Silvia Bohlen e le sue vicine: donne alienate, frustrate e autodistruttive non come straniere in terra straniera, bensì come tutte le donne piccolo e medio borghesi che popolano i romanzi non soltanto mainstream di Dick; donne che non hanno altro da fare che aspettare i mariti e accudire i figli, che li amano a loro modo e ne vengono amate, ma alle quali questa vita per procura non può bastare.
Desiderò ardentemente di poter avere qualcosa di creativo, utile o emozionante da fare per riempire i lunghi pomeriggi vuoti; era annoiata a morte di stare seduta nella cucina delle amiche a bere caffè un’ora dopo l’altra. Niente di strano che tante donne avessero un amante. O quello o la pazzia.
L’unica eccezione è Anne, la ex-moglie di Arnie, che di sé dice con ragione «Sono stata in politica molto tempo. Arnie Kott mi considera una suffragetta, una dilettante, ma non è vero. Mi creda, in certi campi sono abbastanza abile, politicamente». Ma Anne non è una moglie, ma una «ex». Per affrancarsi e diventare socialmente abile ha dovuto rinunciare a qualcosa.
A parte lei, l’universo femminile «marziano» è debole, una debolezza che i terrestri di Marte si sono evidentemente portati dietro dalla Terra, dalla società americana degli anni Sessanta.
Scorrevole, scritto con il solito stile sommesso senza enfasi, apparentemente quasi trasandato, Noi Marzianipossiede anche un curioso sapore di modernariato, dovuto non tanto alla data di ambientazione, ormai trascorsa, che quasi lo colloca su un binario secondario della FS, ma alla tecnologia utilizzata dai coloni, alle loro apparecchiature: fax, televisione, dittafoni, registratori, telefoni, fornelli a gas, tutte cose che stanno già scivolando fuori dal nostro presente, sostituiti da desktop, palmari, cellulari, DVD, forni a microonde, e che danno, a noi lettori, questa volta, la sensazione di scivolare indietro nel tempo come i personaggi dei suoi libri.
P.K.Dick
Noi Marziani
Fanucci, 2012
pp. 288, € 6,90
trad. Carlo Pagetti
da LN-LibriNuovi 22 – settembre 2002