Flatterlandia: come Flatlandia, ma ancora di più, ovvero Victoria nel Paese delle Meraviglie (geometriche). Se volessimo iniziare con una banalità, potremmo dire che i libri contengono storie. Come banalità non è davvero male, visto che anche i bambini in età prescolare e il signor Lapalisse[1] sono pronti a sottoscriverla: però le banalità sono quasi sempre vere, e talora non fa male ripeterle. Anche perché spesso all’interno di un libro non c’è una sola storia, ma tante: e, soprattutto, perché talvolta le storie non sono solo all’interno del libro, ma anche subito fuori, nei suoi immediati dintorni. Meglio ancora, capita ogni tanto che abitino il processo stesso della sua creazione, insomma che la realizzazione di un libro sia una storia notevole essa stessa.
Questo libro, ad esempio, quante storie contiene? Tanto per cominciare ce n’è una, piccola ma significativa, già nel leggere il nome dell’editore, in basso sulla copertina. In tutto il catalogo della Nino Aragno, casa editrice in Torino con profonde radici nel Cuneese, si ritrovava, prima di questo, solo un altro titolo di matematica. Ma che titolo! Come primo titolo della «Biblioteca Aragno» figurano gli Arithmetices Principiadi Giuseppe Peano. Deve esserci una storia, o quantomeno una buona forza di convincimento, un merito palese, se il libro che stiamo esaminando è stato giudicato degno di figurare in un così esclusivo catalogo accanto a un tale capolavoro.
Naturalmente, poi, il nome stesso dell’autore provvede a raccontare altre storie. Ian Stewart è uno degli autori più noti, tra gli appassionati di matematica ricreativa. Se volessimo accontentarci di quanto racconta il risvolto di copertina, troveremmo queste informazioni:
Nato a Folkestone nel 1945, è professore di matematica all’Università di Warwick (Gran Bretagna) e ivi direttore del Mathematics Awareness Centre. Ha pubblicato oltre 140 lavori di ricerca relativi a problemi di simmetria dinamica, formazione di pattern, teoria del caos e biologia matematica. È autore di articoli su «Nature», «NewScientist» e «Scientific American», nonché di numerosi libri di divulgazione matematico-scientifica e fantascienza, tra i quali (pubblicati in italiano): Dio gioca a dadi? (1993), Terribili Simmetrie: Dio è un geometra? (con M. Golubinski, 1995), Che forma ha un fiocco di neve? (2003) e Com’è bella la matematica(2006), presso Bollati Boringhieri; L’altro segreto della vita(2002) e L’assassino dalle calze verdi e altri enigmi matematici (2006), presso Longanesi. Le sue opere sono state tradotte in 19 lingue. Nel 1995 ha ricevuto la Medaglia Michael Faraday della Royal Society per eccezionali contributi alla pubblica comprensione della scienza. Nel 2001 è stato eletto Fellow della Royal Society.
E, come sempre quando i curriculum sono troppo ricchi, rimangono fuori dei particolari interessanti: ad esempio, che un altro suo libro è uscito proprio quest’anno in italiano, (Come tagliare una torta e altri rompicapo matematici, a cura di Stefano Bartezzaghi, per Einaudi); o la precisazione che i citati articoli apparsi su Scientific American sono stati pubblicati anche dall’edizione italiana della rivista, «Le Scienze»; e soprattutto che gran parte di essi, più che articoli slegati, formavano la storica rubrica di matematica ricreativa del giornale, ereditata da Martin Gardner prima e da Douglas Hofstadter poi. Un breve riassunto biografico è, per definizione, un gran contenitore di storie.
Ma, diamine, il veicolo essenziale per le storie di un libro è il contenuto del libro stesso: e questo vale soprattutto se il volume ha l’intenzione di essere a un tempo diario di viaggio, guida per esploratori, narrazione di mondi nuovi e imprevedibili; e soprattutto se intende essere il prosieguo di una storia antica e famosa. A questo proposito, vi suggeriamo un piccolo esperimento di divinazione: se, entrando in una casa, vedete un bel numero di libri sugli scaffali; se, guardando meglio, notate che sono allineati non secondo il formato e collana, come ogni designer d’interni imporrebbe, ma in ordine alfabetico per autore, come ogni bibliofilo e bibliotecario auspicherebbe; se, infine, sapete che il proprietario dei libri e degli scaffali è (anche solo un poco) interessato alla matematica, o alla storia della matematica, o alla matematica ricreativa, potete fare una scommessa ed essere quasi certi di vincerla. Con ogni probabilità[2], il primo libro di tutta la biblioteca sarà Flatlandia: racconto fantastico a più dimensioni, di Edwin Abbott Abbott. Flatlandia è così noto da essere uno dei pochi libri di matematica ad aver superato la cerchia degli appassionati ed essere diventato abbastanza famoso anche tra il pubblico non specialistico. Le avventure del quadrato protagonista (l’esimio A. Square) sono state spesso fonte di ispirazione per saggi, opere d’arte e di fantasia, e anche di film[3]. Ebbene, il Flatterlandia di Stewart è l’ideale seguito del Flatlandia di Abbott, e comincia laddove Flatlandia finisce. La protagonista del racconto è la pronipote di A. Square, Victoria Line. Così come Flatlandiaaveva l’intenzione, scherzando, di far comprendere al lettore il grande salto concettuale di un universo dotato di un numero di dimensioni diverso da quello cui siamo abituati, Flatterlandiaha l’obiettivo tutt’altro che recondito di mostrare, sempre giocando, quanti molteplici significati ha ormai raggiunto la parola «geometria» nella matematica contemporanea: ogni mondo visitato da Vikki (diminutivo di Victoria) sotto la guida dello Spazionauta (Space Hopper nell’originale) è un universo fantastico e fantasticamente popolato, ma sempre dotato di una sua reale consistenza matematica.
E questa, appena appena accennata, è la storia vera e propria, quella che sta dentro il libro di Stewart e che l’autore ha scritto. Ma un libro non termina dove il suo autore scrive la parola fine. I lettori italiani hanno conosciuto Flatlandia(non più Flatland) grazie alla traduzione di Masolino d’Amico, tuttora presente nelle ristampe del volume fatte da Adelphi. Se i lettori italiani avranno la possibilità di conoscere Flatterlandia (non più Flatterland) sarà invece per merito di Filippo Demonte-Barbera, che i lettori di «Rudi Mathematici» hanno già più volte incontrato sulle pagine del nostro giornale con l’allonimo di Gavrilo. Filippo si è sobbarcato l’onere della traduzione di Flatterland, e chiunque abbia assaggiato anche solo per sbaglio, solo per esercizio, le asperità delle traduzioni, avrà idea di che cosa significhi tradurre un libro di quattrocento e passa pagine. Ma non avrà ancora idea di cosa voglia davvero dire tradurre questo libro. Esistono grandi romanzi che resistono ancora alla traduzione: non soltanto moltissime poesie che, legate come sono alla forma e ai suoni della lingua, spesso non possono semplicemente essere convertite in un linguaggio diverso dall’originale, ma proprio storie, racconti, romanzi. Il Finnegans Wake di Joyce, ad esempio, per molto tempo è stato considerato del tutto intraducibile, anche se poi Luigi Schenoni si è avventurato in un controverso tentativo di versione italiana; del resto, già il titolo nasconde secondo alcuni un messaggio trilingue, [Fin Negans Wake, la Veglia (wake, inglese) di colui che nega (negans, latino) la fine (fin, francese)]. Difficile anche solo trovare il coraggio di provare una traduzione: non per niente Murray Gell-Mann, dentro quel romanzo, ha trovato la parola quark e l’ha estratta e riciclata per darle il significato che voleva, quasi a mostrare quanto sia alto e incontrollabile l’arbitrio che corre attraverso le parole tra scrittore, lettore, traduttore.
Gavrilo non è un traduttore di professione; in compenso, ha forte il senso della sfida. Parla l’inglese da così tanto tempo ormai che verosimilmente non si accorgerà quasi più di usarlo, quando lo fa, così come un falegname liscia una tavola senza più rendersi conto di star manovrando una pialla. La sua passione è sempre stata la geometria, e nel leggere il libro di Stewart, pieno zeppo di geometrie, di giochi di parole e di locuzioni intraducibili, deve aver sentito quello che sentono gli alpinisti quando guardano una vetta ancora inviolata: il desiderio di domarla, di arrivarci, per l’unica e molto buona ragione che è molto difficile riuscire a farlo.
Le prime trenta pagine di Flatterlandiahanno i numeri di pagina in cifre romane. In quelle prime trenta pagine, che esistono solo nella versione italiana[4], sotto il titolo dimesso Come è questa traduzione, c’è una storia forse ancora più affascinante delle avventure di Vikki Line narrate da Stewart. È una storia solo in parte di traduzione, che inizia lontano ma che stupisce fin dall’inizio; come stupisce Filippo bambino la constatazione che il rombo (figura geometrica) abbia lo stesso nome del rombo dell’aeroplano. Il sorriso di sufficienza verso la domanda infantile cade in fretta, quando si scopre che i termini hanno in comune non solo suono e grafia, ma anche, imprevedibilmente, l’etimologia e una strana parentela che passa per un giocattolo antico. Si rimane stupiti non meno del bambino del racconto, e la curiosità poi cresce, si articola, si sviluppa in parallelo fra i narrati interessi di Gavrilo e l’evoluzione tecnologica di tutta la seconda metà del Novecento. In quelle prime trenta pagine di introduzione vengono raccontate – anzi no: vengono solo accennate, enumerate, elencate – centinaia di altre storie non scritte; e se ne sente quasi la mancanza, quando infine Filippo passa a raccontare, con esempi e spiegazioni, i molti trabocchetti e le innumerevoli difficoltà della traduzione dei capitoli del libro di Stewart.
Circa un anno fa, Filippo ci scrisse raccontandoci d’aver tradotto Flatterland; ci chiedeva se eravamo interessati a dare uno sguardo alla traduzione, anche per avere un riscontro di massima da parte di lettori, se non proprio esperti, quantomeno affezionati alla matematica ricreativa. La lettura si rivelò così interessante che nei mesi successivi ci siamo davvero divertiti a leggere e rileggere, a dare consigli, cercare errori, suggerire interpretazioni. Un contributo in realtà minimo, visto che il prodotto era praticamente già finito quando abbiamo avuto occasione di vederlo per la prima volta, ma che ci ha comunque davvero appassionato. Ci siamo così immeritatamente guadagnati ampie citazioni nelle pagine introduttive – Gavrilo riporta integralmente anche la storia della sua ricerca sul tesseratto, a suo tempo pubblicata su RM85 – e perfino ampi ringraziamenti. Non sappiamo se ce li siamo meritati davvero, ma sappiamo di esserne davvero orgogliosi.
Comunque, la traduzione è solo un pezzo, solo una parte dell’opera fatta da Filippo per il Flatterlandia di Ian Stewart: oltre all’operazione puntuale di resa parola per parola dei concetti del testo, Gavrilo ha preso i contatti con l’editore, lo ha convinto – anche se crediamo senza troppa fatica – dell’opportunità di dare alla luce questo divertente libro di matematica. Ha preso contatti con l’autore, ha organizzato gli incontri, convinto Michele Emmer a impreziosire il libro con una sua post-fazione, e reso di fatto possibile l’edizione italiana di Flatterland.
Lo scorso Novembre, Ian Stewart era a Torino, per ritirare il Premio Peano 2006 organizzato dall’Associazione Subalpina Mathesis. Lo aveva vinto con il suo libretto Com’è bella la matematica. In platea, Filippo e uno di noi pensavano, non senza un po’ di orgoglio, che questo Flatterlandia avrebbe meritato ancora di più il prestigioso premio. Chissà, ci si potrebbe rincontrare nella stessa platea, nel 2009; e in quel caso, il merito non sarebbe certo solo di Ian Stewart.
Note:
[1] Sì, lo sappiamo: più che «signor Lapalisse» dovremmo dire «il nobile Jacques II de Chabannes de La Palice, maresciallo di Francia», ma qui vorremmo citare non tanto un personaggio storico, quanto un luogo dello spirito.
[2] Un minimo di cautela è sempre necessaria: il vostro ospite potrebbe essere un estimatore di Alvar Aalto o un accanito lettore dell’autobiografia degli Abba, ma in genere la previsione si avvera…
[3] Il più recente e costoso è Flatland: the movie di Jeffrey Travis, del 2007. Noi continuiamo a preferire il Flatlandiadi Michele Emmer, fatto con molti meno mezzi ma con molta più passione.
[4] Di Flatterlandesistono già le traduzioni tedesca e portoghese. Quella tedesca è davvero affrettata, non fa alcuno sforzo per cercare di ricondurre gli infiniti giochi di parole, lasciandoli invisibili o non tradotti. Quella portoghese è più accurata, ma sempre molto lontana dal livello di quella italiana.
Jan Stewart
Flatterlandia
Nino Aragno, 2008,
pp. xxxi + 423, € 18,00
Trad. e cura F. Demonte-Barbera