Ma quanti anni aveva Richard Dawkins quando per la prima volta cambiò il mondo?
A trent’anni esatti dall’uscita del fondamentale Il gene egoista, un libro che cambiò per sempre la paleontologia, ma anche e soprattutto la cultura occidentale (anche se magari non ve ne siete accorti), Richard Dawkins è di diritto fra i più importanti esponenti della Terza Cultura – il ponte ideale che dovrebbe unire umanesimo e scienza in un’unica forza per il miglioramento della condizione umana.
Con Il racconto dell’antenato, Dawkins legittima questa posizione di predominanza.
Un grosso volume riccamente illustrato, con una bella rilegatura robusta e tutti i tratti morfologici della strenna natalizia, Il racconto dell’antenato di Richard Dawkins arriva sui nostri scaffali in tempo per essere impacchettato e sistemato sotto l’albero… di chi?
Se da una parte il comitato di controllo sul Ceazionismo del CICAP si rallegra del fatto che la nefasta dottrina creazionista abbia scarso successo in Italia, è innegabile che in alcune fasce di popolazione – a volte le più insospettabili – si annidi un 60% circa di Italiani che non considerano valida la teoria di Darwin.
Il fatto che fra questi si schieri anche un personaggio come Antonino Zichichi – che nel suo recentemente ristampato Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo (1999) – giustifica una certa preoccupazione.
E dimostra che i fisici dovrebbero limitarsi a parlare di fisica, e lasciare le scienze biologiche a chi le ha studiate.
Chi leggerà dunque il libro di Richard Dawkins?
Certo non Zichichi, e con lui quel 30-60% trattabile di popolazione che non si fida di Darwin (ma considera magari verità indiscutibili le opinioni di Adriano Celentano).
Forse qualche malcapitato ragazzino, che avendo espresso un interesse adolescenziale verso i dinosauri e gli uomini primitivi si beccherà il tomo da quattrocento e rotte pagine essenzialmente perché è in tema ed è riccamente illustrato?
O qualche addetto ai lavori, che di libri sulla teoria dell’evoluzione ne ha già una cinquantina sullo scaffale, e si vedrà recapitare l’ultimo Dawkins impacchettato amorevolmente dalla fidanzata o con un bel biglietto collettivo degli amici che gli bazzicano per casa due volte la settimana?
Fortunati, in realtà, il ragazzino e l’addetto ai lavori – i due più probabili lettori del volume.
Il vero peccato, la vera occasione mancata, è costituita da tutte le persone che il libro lo regaleranno senza leggerlo, o lo riceveranno in regalo e lo lasceranno intonso sullo scaffale, o lo eviteranno come la peste in libreria – troppo spesso, troppo tecnico, troppo costoso.
Perché ancora una volta Richard Dawkins ha prodotto un lavoro geniale e illuminante.
La teoria dell’evoluzione – per sua natura e con buona pace di Zichichi – non ha un valore direzionale.
Dawkins e Gould – che litigavano su un sacco di cose – concordano su questo punto e hanno dedicato una vasta parte dei propri scritti a chiarire il punto.
L’evoluzione non implica miglioramento – implica solamente sopravvivenza.
L’evoluzione non spinge «in avanti» la vita – e se una tendenza alla crescente complessità si può facilmente individuare, la persistenza di organismi semplici (tanti, tantissimi) sembra anche confermare che «complesso» non equivale a migliore e che «semplice» non è sinonimo di primitivo o obsoleto.
La mancanza di direzionalità dell’evoluzione, la sua assoluta dipendenza da processi casuali comporta una nozione che molti (incluso Zichichi) trovano agghiacciante – l’esistenza dell’essere umano non è un fatto inevitabile.
Riavvolgere il film e proiettarlo da capo porterebbe a un altro finale – e la presenza dell’umanità come specie dominante sul pianeta sarebbe tutt’altro che certa.
Lo ha discusso a lungo e a fondo Stephen Jay Gould con il suo eccellente Vita meravigliosa (disponibile come volumetto economico da Feltrinelli), usando come componenti del suo esperimento intellettuale le faune di Burgess e il film di Frank Capra Vita meravigliosa (in cui James Stewart ha il privilegio agghiacciante di vedere come sarebbe stato il mondo se lui non fosse mai esistito).
Più prolisso, più vagamente pretenzioso, probabilmente molto più intelligente di Gould, Richatrd Dawkins usa invece la storia della nostra specie e I racconti di Canterbury di Chaucher per il proprio progetto.
Dawkins non è nuovo a certe cose – in Unweaving the Rainbow (1998) era partito dalle affermazioni del poeta John Keats (secondo il quale spiegando l’effetto dell’arcobaleno Newton ne aveva diminuito la bellezza) per arrivare ad affermare esattamente l’opposto, in un assoluto atto d’amore verso la curiosità e l’indagine scientifica.
Ma come ovviare all’inconveniente della non-direzionalità dell’evoluzione?
Narrare la storia della vita, dalle cellule primigenie fino ad Antonino Zichichi, potrebbe sembrare implicare un senso di direzione, una predestinazione, una finalità – l’illusione che la macchina dell’evoluzione esista perché l’Uomo (indegnamente rappresentato nel nostro esempio da Zichichi) possa reclamare di diritto il suo ruolo di vertice della creazione.
Gould aveva in un certo senso barato, lavorando sulle faune di Burgess, un tentativo di genesi andato male, una fauna che in se riassume tutte le forme oggi presenti sul nostro pianeta (e molte mai viste prima) ma che non andò in nessuna direzione, estinguendosi piuttosto rapidamente.
Dawkins risolve il problema con semplicità ed eleganza – capovolgendo il percorso: Il racconto dell’Antenato racconta la storia della vita a ritroso, da Antonino Zichichi (o essere umano equipollente) fino all’origine della vita.
Un semplice artificio geniale.
Percorrendo a ritroso la nostra storia, risalendo la strada percorsa dalla nostra specie, incontreremo via via specie cugine – che si sono allontanate dalla nostra a partire da un antenato comune, e incontreremo proprio quegli antenati comuni – che Dawkins chiama «contenati»: ominidi, primati, insettivori mesozoici…
Insieme a loro incontreremo anche altri nostri parenti, più lontani, meno simili, anch’essi in cammino verso l’origine in questo curioso pellegrinaggio metaforico.
Ciascuno dei pellegrini in marcia verso le sorgenti di questa specie di ciclopico Gange che è la vita sulla terra avrà una storia da raccontarci, e il libro di Dawkins segue la struttura classica del romanzo medioevale – come Boccaccio, come Chaucher – lasciando la scena a ogni nuovo arrivato, perché racconti la propria storia.
Contemporaneamente, l’autore farcisce la narrazione con informazioni e approfondimenti relativi allo stato dell’arte paleontologico, e facendo del suo volume una eccellente summa delle conoscenze attuali.
Non poco, per un libro scorrevole che tanto il ragazzino che l’addetto ai lavori troveranno stimolante e illuminante.
Certi divulgatori nostrani probabilmente rabbrividirebbero alla commistione di narrativa e saggistica, ma Dawkins se lo può permettere, essendo un abitante del ventunesimo secolo, e un autore popolare nel senso più positivo del termine – molto lontano dai paludati pamphlet che ci vengono spesso appioppati da connazionali con il vezzo della «volgarizzazione».
Definito ironicamente «Il Rotweiler di Darwin» per la sua ferocia nel difendere le posizioni evoluzioniste, votato nel 2004 come il più importante scienziato di lingua inglese dai lettori di Prospect magazine, paragonato da Philip Pullman a un curioso incrocio di Oscar Wilde, Charles Dickens e Sherlock Holmes, Richard Dawkins, l’uomo che ha sposato una delle assistenti di Dr. Who (l’attrice Lalla Ward), è stato recentemente soggetto di una biografia/celebrazione molto variegata, nella quale viene definito uno degli scienziati che maggiormente hanno influenzato il nostro modo di pensare.
Innegabile.
Certo, il suo pensiero, grazie anche alla sua potente prosa divulgativa, avrà un peso notevole nel formare la cultura del ventunesimo secolo.
Più di opere precedenti (Il gene egoista, L’orologiaio cieco eccetera.), Il racconto dell’antenato è una eccellente introduzione indolore non solo al pensiero darwiniano, ma anche al pensiero dawkinsiano.
Una buona fetta del pubblico lo ignorerà, orientandosi su tomi meno impegnativi – ma speriamo sia data loro l’occasione di riscoprirlo in edizione tascabile.
Capire il nostro posto nel grande disegno delle cose è un passo fondamentale per arrivare ad assumerci le nostre responsabilità – l’umanità non dovrebbe più avere bisogno di favole.
PS: Dawkins aveva 35 anni quando pubblicò Il gene egoista.
L’età media del neo-dottorato nella gerontocratica università italiana.
In Italia, Il gene egoista sarebbe stato probabilmente pubblicato a nome del suo relatore di tesi.
Richard Dawkins
Il racconto dell’antenato
Arnoldo Mondadori
€ 35,00
trad. L. Serra
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