Senza sangue di Alessandro Baricco, già Rizzoli editore e successivamente ripubblicato da Feltrinelli, è un romanzo pigerrimo, scritto con una sola mano e tre quarti del cervello in vacanza.
Poco meno di 100 pagine in formato minimo, margini tanto generosi da permettere copiosi appunti e lunghe liste della spesa, tre righe di separazione tra un paragrafo e l’altro e rientri a metà pagina per lucrare ancora qualche battuta.
L’autore comincia anche prima del testo comunicandoci ineffabile che:
[…] la scelta frequente di nomi ispanici è un fatto puramente musicale e non deve suggerire una collocazione temporale o geografica della vicenda.
Affermazione stupefacente, da prestidigitatore o da illusionista. Il lettore è chiamato a non tenere conto di nessun contesto, a non situare, a non cercare riferimenti. Se lo fa, lo fa a suo rischio e pericolo. L’autore racconterà una storia, una semplice storia tanto intensa e personale da poter sfuggire a categorie come il tempo e il luogo. Once upon a time…
Una dimostrazione di grande fiducia nei propri mezzi.
La storia si racconta rapidamente. Un brutto giorno alcuni tizi rintracciano Manuel Roca (Roca non Roja) nascosto in una casetta di campagna (nella pampa argentina? Silenzio! È solo un fatto musicale). Lo rintracciano e lo fanno secco, lui e il figlioletto, mentre la di lui figlia bambina, Nina, sfugge al massacro per lo scrupolo di un killer non abbastanza scafato. Sopravvive anche all’incendio della fazenda (come in Vento di passione. Allora è in Brasile! No! Solo un fatto musicale!) ma il killer buono è convinto sia morta e si sente da cani. Fine della parte uno. Parte due. Dopo averlo a lungo cercato, Nina incontra dopo molti, moltissimi anni il killer pietoso. A suo tempo, come Sartana, lei ha accoppato uno per uno tutti i colleghi di quest’ultimo. Ora si trova di fronte a Tito (Pedro Cantos). Tito/Pedro è convinto sia giunta la sua ultima ora e non se ne dispiace neppure troppo. Invece Nina gli propone di fare l’amore. Lo fanno ma lui non smette di darle del lei. Considerazioni finali di Nina sull’inevitabilità di tornare sempre al momento che ha spezzato la nostra vita. Tornarvi, questa volta, senza sangue. Sipario.
Una storia semplice, certo, ma anche un canovaccio di inesauribile capacità drammatica. Sempre che uno abbia voglia di scrivere qualcosa. Abbia voglia di sporcarsi le mani, entrare nella storia che racconta perché si è appassionato e vuole appassionare il lettore. Certo, con un simile spunto da telenovela difficile credere che un autore blasé come Baricco possa sentirsi davvero appassionato. E infatti non lo è. Tira su il suo modesto baraccone, mette in scena, aggiunge una moralina finale e tutti a nanna. Racconta con garbo e con il suo stile caratteristico, fatto di ripetizioni circoscritte, rimandi a capo, sapienti elisioni. Narra elegantemente cercando di convincerci di essere uno scrittore e non un marchio depositato, il responsabile di uno stile replicabile e falsificabile all’infinito, elegantemente superfluo.
Baricco è stato fin dagli esordi un autore pienamente kitsch, ma dotato del talento necessario a far apparire l’elusione come misura, la scarsa originalità come sapiente calco, la povertà di immaginazione come raffinata ritrosia. In compenso ha sempre fatto parte del suo bagaglio di scrittore la capacità quasi sovrumana di produrre sentenze, osservazioni amaramente acute o acutamente amare, quasi mai originali ma insieme allusive e definitive, possibili testi di un’inesauribile scorta di T-shirt.
Il dono di far apparire nuove le vecchie cianfrusaglie del narrare, riattare i soggetti consumati, presentare personaggi troppo spesso apparsi in scena gli va pienamente riconosciuto e nessuno ha il diritto di lamentarsene. Anche se…
Anche se questo Senza sangue, che, nonostante le avvertenze richiama più volte alla memoria il Cile o l’Argentina o qualche confusa storia di assassinio, repressione e morte, è uno sfondo non abbastanza indistinto per semplici esercizi di stile. L’impressione è quella di un gioco non abbastanza abile, di un fondale mal scelto e di un testo che stride fastidiosamente con i ricordi, anche involontari, anche approssimativi, del lettore. All’inizio avevo parlato di un libro pigro e, al termine della recensione, non posso che replicare la stessa osservazione. Pigrizia colpevole e reticente cautela, che permette a critici e recensori di fama di evitare qualsiasi intervento e osservazione anche remotamente attinenti a scrittura e narrazione. Senza sangue (ma anche senza carne, senza cuore, senza budella) si rivela così il perfetto non-libro che lascia tutti liberi di parlare senza dire, scrivere senza esprimersi, osservare senza vedere.
Baricco anche in questo si rivela stupefacente maestro. La critica rinnega la sua funzione? La stampa periodica si limita a operazioni di marketing più o meno efficaci e preziose? Bene. L’unico modo per rimanere ben all’interno di questo sistema è scrivere romanzucci inesistenti e gratuiti, inoffensivi ma formalmente perfetti o quasi. Romanzi che non parlino di nulla o che, almeno, non parlino di nulla di nuovo, non lascino nemmeno intuire che scrivere può essere un’operazione sovversiva.
Al lettore rimane la consolazione dell’esprit baricchiano. Delle sue frasi sospese piene di significati solo apparenti, dei suoi mitici tre puntini di sospensione (…) carichi di ineffabili significati possibili.
Poco, davvero troppo poco per chi è alla ricerca di narrativa.
Alessandro Baricco
Senza sangue
Feltrinelli, 2009
pp. 84, € 6,00
da LN-LibriNuovi 24, dicembre 2002