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    Interzona

    Io sono Legione – I puntata

    • di Franco Pezzini
    • Ottobre 2, 2012 a 10:27 am

    Deliri satanici e ossessioni dal diritto canonico alla fiction

    diFrancoPezzini


     

    [L’articolo in quattro puntate che segue, apparso originariamente sui numeri 44 / inverno 2007 e 45 / primavera 2008 diLN – Libri Nuovi, e qui riproposto con i necessari aggiornamenti in nota, costituisce il testo di un intervento tenuto a Dolceacqua, 29.9.07, nell’ambito del Festival di Folklore e Cultura Horror Autunnonero http://www.autunnonero.com/.
    Il Festival, nato in provincia di Imperia grazie all’impegno di un ristretto manipolo di cultori capitanato dal direttore artistico Andrea Scibilia, con l’intento di valorizzare una peculiare via ligure al mistero, al fantastico e all’orrore, era giunto quell’anno alla seconda edizione: e la follia era il tema di fondo, declinato attraverso una ricca varietà di sottotemi e linguaggi, con incontri ed eventi cadenzati nei fine settimana tra settembre e dicembre in varie località dell’Imperiese. In occasione del weekend 29-30 settembre dedicato alla letteratura, e condotto nella pittoresca cornice del Castello dei Doria a Dolceacqua, erano intervenuti come relatori alcuni redattori o amici di LN – Libri Nuovi.  
    F.P.]

    Parte prima: Possessione ed esorcismo nell’immaginario occidentale prima di The Exorcist


    Tra le forme dello spossessamento psichico più spesso evocate dall’horror degli ultimi anni, un posto a parte meritano le storie su possessioni e ossessioni attribuite a potestà esternecome demoni o spiriti. Simili credenze sono attestate – con variazioni anche notevoli – in gran parte del mondo, ma la fenomenologia più nota nel moderno Occidente è ovviamente quella legata alle dottrine demonologiche ebraico-cristiane e alle pratiche di esorcismo elaborate dalla Chiesa cattolica. E proprio questa lettura, in anni particolarmente turbinosi di mutamenti storico-sociali, ispirò il bestseller The Exorcist di William Peter Blatty (1971) e l’omonimo capolavoro cinematografico di William Friedkin (1973).
    Da allora, possessioni ed esorcismi si sono moltiplicati nella fiction fantastica, hanno interpellato linguaggi molto diversi (il dramma religioso, psicologico o storico-politico, la parodia, il softcore): e se il successo del tema è sotto gli occhi di tutti, meno noto è il rapporto con un più ampio immaginario mitico-fantastico. L’intervento che segue rappresenta dunque idealmente una cerniera tra i weekend di Autunnonerosu cinema e folklore e questo sulla letteratura – costringendoci a un percorso un po’ tortuoso (spero non troppo) tra vite dei santi e letteratura gotica, cronaca nera e fantascienza. Dalle invasate del Pitone delle antiche culture mediterranee alle possessioni degli ultimi horror questa storia merita di essere raccontata.

    1.1. Possessione: The Beginning


    Per le origini di questo discorso dobbiamo in effetti risalire molto indietro – davvero molto, all’alba dell’umanità. L’universalità del concetto di invasamento è sicuramente in rapporto con un’eredità ancestrale – l’idea di un mondo popolato da spiriti dal carattere equivoco, il cui rapporto con l’essere umano può condurre a una ricca varietà di fenomeni. Gli spiriti possono anzitutto beneficiare l’uomo con diversi tipi di concessione, ma anche disturbarlo – come negli scherzi dei folletti codificati da tutto un folklore. D’altra parte, sono talora in grado di possedere sessualmente, e pensiamo a tutti i figli attribuiti a creature divine o demoniache da mitologia e tradizioni popolari: gli incubi e succubi dei vecchi demonologi, entità lascive che giacerebbero coi viventi in forma rispettivamente maschile o femminile, hanno evidentemente una storia molto più antica. Ma in certi casi gli spiriti possono addirittura impossessarsi del corpo di uomini o animali, ed è la cosiddetta possessione, dalle conseguenze abbastanza varie.
    Un buon punto di osservazione per un’analisi scientifica sulla possessione sono dunque le culture cosiddette «primitive» – dove una serie di meccanismi sociali legati alla credenza negli spiriti e al rapporto con essi rimangono (per così dire) più evidenti all’osservatore. Intere biblioteche di studi affrontano il problema da quest’ottica in relazione, è chiaro, a un’estrema varietà di esperienze locali: e in questa sede non si può che accennare di sfuggita a tre fronti di indagine in realtà profondamente connessi.
    Il primo fronte è evidentemente quello antropologico-religioso: e in quest’ottica la situazione può essere diversa a seconda che si parli di invasamento volontario / gradito o invece involontario / sgradito. Gli esempi del primo, quello volontario e quindi istituzionalizzato, sono numerosissimi. Per esempio, in riferimento a talune esperienze africane (Yoruba), il potere dell’Antenato-Orisha può trasmettersi temporaneamente al discendente nel corso di una trance di possessione. Presso i Fon, gli adepti di entrambi i sessi iniziati al Vodoun sono detti Vodussi, cioè «femmina del Vodoun», non in senso sessuale ma di dipendenza legata alla possessione del dio. Tuttavia l’invasamento può anche legarsi ai rituali di iniziazione, come nel culto femminile Bori praticato dalle donne della valle del Maradi (Niger) con l’uso del pericoloso afrodisiaco Datura metel e attraverso due fasi di possessione, prima da parte degli «dei neri», poi degli «dei bianchi». In questi casi il fenomeno è inquadrato in una realtà cultuale istituzionale– anche se parallelamente non mancano casi di possessione involontaria e sgradita che viene combattuta col ricorso a pratiche di esorcismo.
    Sempre in termini generalissimi, si può riconoscere un secondo fronte in riferimento alle dinamiche sociali. Sempre nelle culture «primitive» – con tutte le virgolette del caso – possiamo per esempio notare come la possessione, con certa frequenza, costituisca il riflesso di tensioni sociali presenti nella comunità – in modo simile ma differenziato rispetto ai casi di stregoneria. Si può cioè osservare come la reazione degli altri membri della comunità a un problema di cui essa non è direttamente responsabile, cioè il prendersi cura del posseduto, ottenga effetti «riparatori» nel segno dell’attenzione e della solidarietà: la «gratuità» dell’intervento comunitario determina insomma un riconoscimento del sofferente e ne afferma l’identità in crisi. Spesso si può anzi parlare di «possessione periferica» in riferimento alla perifericità degli spiriti possessori rispetto al pantheon, ma soprattutto dei contesti sociali in cui «operano» – cioè invasando donne, oppure uomini disprezzati, o di bassa condizione sociale o casta inferiore. Soprattutto in questi casi la possessione si configura come tentativo di correggere una situazione avversa richiedendo dimostrazioni di attenzione a un superiore in un rapporto di ineguaglianza, senza però sfidare completamente questo rapporto – come avviene invece quando scatta l’accusa di stregoneria. Tali situazioni riguardano ovviamente una condizione sgradita, non volontaria, e tuttavia non mancano casi ibridi con fasi distinte: una donna, per esempio, che trovi difficoltà nell’ambito del rapporto matrimoniale e si presenti come posseduta può in un secondo momento entrare in una congrega di possessione o gruppo di culto per il controllo «attivo» degli spiriti. Un caso interessante è quello della cultura nomade pastorale somala di religione islamica, dove fattispecie di possessione sono state osservate in quattro diverse situazioni-tipo con l’elemento comune del confinamento / frustrazione. I sintomi di invasamento riguardano frequentemente giovani mandriani di cammelli reduci da lunghi periodi di isolamento, oppure donne sposate che necessitano di attenzioni supplementari; ma altri quadri statisticamente frequenti associano la possessione a frustrazioni amorose o a vere e proprie patologie psichiche.
    Un dato, quest’ultimo, che introduce al terzo fronte di indagine – quello psichiatrico ed etnopsichiatrico, su cui in questa sede è impossibile soffermarsi. Basti però rilevare come alcune sintomatologie patologiche note alla nostra realtà occidentale risultano assenti in altri contesti culturali, per esempio africani, «lasciando spazio» alla forma della possessione.

    Per contro occorre sottolineare come questi fronti di indagine rilevino anche nella nostra realtà occidentale, e in forma soltanto diversa. E a parte la psicopatologia – in particolare i cosiddetti DPM, disturbi da personalità multipla, legati spesso a traumi infantili – basti pensare a come gli invasamenti da spiriti di antenati siano stati semplicemente rimpiazzati, in forme culturalmente «riconosciute», da quelli medianici nel chiuso dei salotti borghesi.
    La dimensione di mistero degli invasamenti «etnici» ha peraltro trovato sbocchi nell’immaginario di massa attraverso il cinema: e merita rammentare le febbricitanti atmosfere africane di ExorcistII – The Heretic, di John Boorman (USA 1977) e del recente prequelal ciclo, sia nella forma hollywoodiana approvata dai produttori (Exorcist – The Beginning, USA 2004, di Renny Harlin) sia in quella più interessante e sofisticata del regista Paul Schrader poi silurato (Dominion– Prequel to The Exorcist, USA 2005).

    La possessione torna poi ovviamente nei culti importati dagli schiavi o in quelli sincretici. Nel Vudu, per esempio, l’invasamento rappresenta un elemento fondamentale del rito: i loaspossessano temporaneamente lo spirito (grosboange) personale del posseduto, con funzione catartica e di alleviamento / scarico di tensioni psichiche. Esperienze di possessione rafforzano la coesione del gruppo, offrono occasione di riscatto sociale e permettono l’espressione di comportamenti socialmente inaccettabili. Emblematico è il caso della possessione, spesso di donne, da parte dallo «spirito del serpente»: il collegamento tra soggetti di sesso femminile e spiriti-serpenti, ritorna, come vedremo, nelle più varie culture e rimanda plausibilmente a un passato arcaicissimo. Ma si pensi anche all’Umbanda, dove gli spiriti dei Cablocos(indigeni) e dei Pretos Velhos(antichi schiavi) si manifestano nel corpo degli iniziati in preda a trance rituale, allo scopo di danzare, consigliare o assistere.

    1.2. Pitonesse e uomini-orsi

    Una ricca casistica di possessioni ci è poi offerta dal mondo antico mediterraneo. Anche se la distinzione può risultare più o meno ambigua, la documentazione letteraria testimonia fattispecie di invasamento a carattere sacro o invece demoniaco – che più o meno corrispondono alle categorie già menzionate di possessioni gradite e non gradite.
    Nel mondo classico, le due grandi divinità che i greci considerano idealmente con un piede nel mondo straniero, cioè Dioniso e Apollo, patrocinano entrambi esperienze di possessione. L’invasamento può dunque legarsi a uno stato di ebbrezza, come nel caso delle Baccanti asservite da Dioniso e in qualche rapporto con un arcaico demone del vino: ma forme di ubriacatura o intossicazione rituale torneranno ancora a lungo in occidente in realtà culturalmente marginali – in particolare nel ricco ricettario tossicologico delle streghe. D’altra parte la possessione può associarsi alla veggenza, favorita o meno da particolari bevande o inalazioni: e a parte l’ampio filone dei commerci pneumatici noti alle culture sciamaniche eurasiatiche, l’iperboreo Apollo e il suo arcaico alter-ego Pitone possiedono le Sibille/Pizie donando la profezia.

    Ma la posseduta dal serpente, sulla base della già citata associazione simbolica che probabilmente risale al neolitico, torna anche nelle culture del Vicino Oriente. È il caso per esempio della Pitonessa di Endor di I Re, 27, 7, l’archetipo biblico della strega che richiama per ordine di Saul il morto Samuele: è definita la «donna Behalath-Ob», tradotto appunto come «Pitonessa» – Ob, in greco Python, starebbe per «drago, serpente» o «spirito cattivo». Il termine può evocare due significati alternativi in realtà raccordabili – quello cioè di «sposa / posseduta da un pitone», preferito dai commentatori, e l’alternativo Domina Pythonis, «padrona di un pitone» in riferimento a un demone di servizio. La presenza di un famiglio, cioè un spirito al servizio fisso del mago, rappresenta a sua volta un dato così diffuso – dall’Egitto dei papiri magici alla Palestina del tempo di Gesù, fino alla Scozia medioevale del perfido Lord Soulis e alle streghe del mondo moderno – da potersi considerare un lascito primordiale.
    Oltre che alla veggenza, l’invasamento può però associarsi al furore guerriero: e tra i casi più noti della tradizione europea vanno ovviamente rammentati i vichinghi berserkir, «quelli vestiti di pelli d’orso», e ulfhednir, «quelli vestiti con pelli di lupo», membri di società cultuali che con sostanze inebrianti e droghe per inibire il dolore fisico si lasciavano possedere dalla furia guerriera di Odhinn signore della guerra (Voden in norreno – antico alto tedesco Wuotan, basso tedesco Wodan, antico inglese Woden – cioè appunto «furore»; cfr. wut, nel tedesco moderno «rabbia / furia»). Al punto che, dopo la conversione dei Germani al Cristianesimo, la condizione di questi eroi furenti verrà accettata come una sorta di malattia, di triste sorte da sopportare e una forma di possessione demoniaca. Anche se certo la connessione non è diretta, sarebbe interessante esplorare i rapporti tra tale fattispecie eroiche e la figura ormai tarda di Orlando furioso.
    Fin qui gli invasamenti divini o «graditi» – diciamo istituzionalizzati. Ma il mondo antico reca anche ricchissime testimonianze di invasamenti di tipo diverso, temuti e imputati a entità subordinate o francamente oscure. E già tavolette mesopotamiche recano tracce di prassi esorcistiche diffuse, gestite col ricorso a nomi di Potenza.
    Il fenomeno tocca anche Israele. In realtà, eccettuato il caso un po’ particolare di Saul tormentato da uno spirito maligno che la cetra di Davide è in grado di calmare (una forma depressiva?), i testi veterotestamentari offrono tracce scarse e soprattutto tarde – probabilmente per la tendenza dell’Antico Israele a non moltiplicare entità spirituali che possano minacciare il monoteismo. Ma in seguito al contatto coi persiani e la loro ricca demonologia, in una situazione di monoteismo ormai affermato, anche i testi sacri di Israele lasceranno infine filtrare qualcosa di una dialettica esorcistica popolare: è il caso del celebre racconto del Libro di Tobia, II-II secolo a.C., dove il demone Asmodeo viene esorcizzato grazie alla combustione rituale del cuore e del fegato di un pesce.

    Nonostante i divieti dei re, un sottomondo magico deve del resto sopravvivere da sempre anche in Israele, veicolato attraverso una serie di complesse dottrine angelologiche. Con sviluppi plurimillenari fino ai giorni della diaspora: si pensi alle pratiche esorcistiche della tradizione cabalistica e giudaica europea contro i dybbuk– anime vaganti di morti che non sono riusciti a compiere la propria missione durante la vita, e fuggite dalla Geenna – o alle iscrizioni scongiuratorie coi nomi dei tre angeli Snwy, Snsnwy e Snglf per allontanare l’arcivampira Lilith, demone notturno associato alla lussuria e alla sterilità e considerata prima moglie di Adamo. È tra l’altro interessante notare come questa diavolessa di origine mesopotamica, citata anche nella Bibbia (Isaia34, 14 e, in talune traduzioni, Giobbe18, 15), conservi dei protomodelli persino la pluralità, spesso nell’indefinita molteplicità del sette: e alla luce dell’interpretazione tradizionale (e discutibile) dell’evangelica Maria Maddalena come grande peccatrice, sarebbe suggestivo ravvisare nei sette demoni che l’avrebbero posseduta proprio sette licenziose Lilith. Una pluralità da intendere – comunque – non solo quale quantitàdi male invasore, ma in chiave di sostanza demonologica: ogni presenza demoniaca sarebbe cioè Legione, pluralità confusa e deflagrazione d’identità come suggeriscono i Vangeli sulla base di un diffuso concetto mediorientale1. 
     

    1.3. La caduta dell’antico Accusatore


    In ogni caso il quadro offerto dagli evangelisti per la Palestina romana ci mostra pratiche esorcistiche diffuse, anche per l’influsso di credenze greco-orientali. Del resto l’esorcismo evangelico forse più impressionante, quello coi demoni scacciati che ottengono di entrare nel branco di maiali, si svolge oltre il lago fuori dai confini di Israele, a Gadara (Mt8, 28-34 – dove gli indemoniati sarebbero due) o a Gerasa (Mc5, 1-20 e Lc8, 26-39). E in questo episodio, nelle redazioni di Marco e Luca, il demone che si definisce «Legione» – cioè l’unità militare delle forze di occupazione romana – oltre a svelare la propria confusa molteplicità, parla il linguaggio dell’oppressione nella sua dimensione più materiale e storica.
    È comunque certo che quel tipo di esorcismo che per l’immaginario occidentale diventerà paradigmatico, cioè quello «reinventato» da Gesù, mostra caratteristiche che gli spettatori del I secolo devono considerare se non anomale, almeno particolari. Anzitutto Gesù non ricorre a complicate litanie, ma gestisce l’esorcismo «con autorità»: un’espressione emblematica è «Taci ed esci da quest’uomo», per rifiutare l’ambigua testimonianzadei demoni sul figlio di Dio venuto a cacciarli. E in realtà gli esorcismi di Gesù, come poi dei primi cristiani in forte tensione escatologica, vengono posti in stretta relazione col contenuto globale dell’annuncio della venuta di Dio. In senso verticale, l’immagine figurata offerta da Gesù – di vedere Satana che cade giù dal cielo come folgore – esprime la novità della delegittimazione dell’antico e tendenzioso Pubblico Ministero (satanacioè «accusatore»): grazie al superamento della Legge, egli perde la possibilità di portare l’accusa contro gli uomini innanzi al tribunale di Dio. E d’altra parte, in senso orizzontale, per Gesù non rileva la dimestichezza professionale con pratiche o protocolli esorcistici, ma la percezione della sofferenza umana e l’intervento efficace per combatterla – ciò che non esclude la possibilità di altre cure per i posseduti, e non limita la prassi entro schemi rituali precostituiti.
    In questo senso, l’esorcista passa dal ruolo di uomo di potere in forza di conoscenze particolari a quello di semplice ministro che per un carisma speciale o una missione affidata sia in grado di liberare fratelli più sventurati. Per i primi secoli dell’età cristiana la documentazione offre traccia di un potere carismatico relativamente diffuso tra i fedeli e il cui esercizio è abbastanza libero; in seguito si ha però l’istituzionalizzazione di un vero ministero, e il primo esorcista di professione annoverato tra chierici e lettori è menzionato in Cipriano, circa 250. Più o meno nello stesso periodo papa Cornelio cita gli esorcisti tra gli ordini del clero romano, anche se non è chiaro per quale ambito liturgico – se cioè per gli energumeni(cioè i posseduti), per i riti battesimali, o per entrambi. Al principio del III secolo riti di esorcismo sono infatti inseriti nella liturgia battesimale, prima nel battesimo dei catecumeni e più tardi in quello degli infanti – e fino a quel punto sussiste una certa libertà nell’inventare e utilizzare formule. Per i secoli successivi vediamo però affiorare tracce di una normativa sull’uso delle formule di esorcismo, e la prima testimonianza di un libretto di testi è negli Statuta Ecclesiae Latinaealla fine del V secolo.

    Nel medioevo permane in effetti una relativa varietà di forme, con esorcismi praticati da santi, monaci, pie donne; ma in genere e sempre più l’istituto, in ambito cattolico, viene affidato a chierici. Per quanto riguarda i testi utilizzati, al proliferare dei riti (spesso extraliturgici) si cercherà di porre rimedio con raccolte di varia fortuna: ma alla fine la pletora di manuali circolanti, talora con formule bizzarre o eccessivamente lunghe, spingerà papa Paolo V a mettere un po’ d’ordine attraverso il varo nel 1614 del Rituale romanum. Muniti di tale uniforme documentazione, i sacerdoti potranno amministrare l’esorcismo solo con licenza da parte del proprio vescovo (Benedetto XIV, 1 ottobre 1745); e con Pio XI la pratica verrà limitata esplicitamente ai sacerdoti, anche se il Codice canonico del 1917 prevede, tra gli ordini minori preliminari al sacerdozio, anche quello degli esorcisti (che hanno dunque un potere necessario ma non sufficiente per amministrare il rito).

    Nella situazione attuale della Chiesa cattolica – su cui dovremo tornare – l’esorcista è comunque un sacerdote che disponga di un particolare permesso del proprio vescovo. Esiste poi un’Associazione internazionale degli esorcisti, con sede a Roma, fondata nel 1990 da padre Gabriele Amorth; e un corso teorico e pratico sul ministero dell’esorcistato è stato istituito nel 2004 presso l’Ateneo pontificio «Regina Apostolorum».

    (1 – Continua)

    1 Sul tema di Lilith, rimando agli approfondimenti di questo articolo.

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