Maurizio Cucchi
Il male è nelle cose
A. Mondadori
€ 16,00
Essere un esistenzialista, ma soprattutto scrivere nella scia di questa tradizione filosofica non è semplice e il rischio di produrre qualcosa di vuoto, artificioso e in sostanza inutile è elevato. È proprio in questo rischio che è incappato Maurizio Cucchi: nel suo protagonista, che sembra voler riprendere i personaggi tozziani, l’autore vuole creare una sorta di continuo che partendo dall’esperienza esistenzialista italiana e straniera, porti ad una più profonda consapevolezza del male insito nell’uomo e nelle cose. Il suo risulta però, un personaggio e un romanzo vuoto, in cui la malattia sveviana diventa una pura e semplice malattia mentale che non trova alcun aggancio con la più profonda angoscia esistenzialista: quello che si nasconde dietro un animo afflitto non è un uomo non inetto, ma un uomo fallito, malato e con una gran confusione mentale, quasi un esempio di chi voglia fare lo “spirito angosciato e filosofico” senza però averne i mezzi e la consapevolezza intellettuale necessaria.
Anche se lo spunto è buono il risultato lascia al quanto a desiderare, con troppe citazioni e riferimenti letterari che rimangono un puro esercizio di nozionistica, e un filosofeggiare dell’autore che non trova alcun appiglio alla filosofia sartriana, ne tantomeno presenta spiegazioni e approfondimenti che aiutino a suffragare le sue idee.
Quelle di Pietro rimangono perciò crisi di cattiveria a che potrebbero nascondere un malessere di cui però non è dato seguito ne sostanza; il protagonista, così come tutti gli altri inutili personaggi, rimane estraneo al lettore, lasciandolo nella chiusura del libro, in una estraneità al motivo che vorrebbe essere dominante.