Antonio Spinosa
Napoleone. Il flagello d’Italia
(Mondadori)
Il titolo faceva pensare ad una storia delle vicende italiane al tempo di Napoleone. Bene, mi dicevo, il libro mi spiegherà cosa ha preso e cosa ha dato quest’uomo all’Italia, quali speranze e delusioni ha suscitato, cosa ha significato nel bene e nel male per milioni di italiani (che a migliaia sono morti in mezza Europa sotto le sue insegne), quanto gli deve il Risorgimento. Avrei dovuto pensarci che c’era sotto una fregatura, perchè di Spinosa avevo letto in precedenza una biografia di Vittorio Emanuele III che mi aveva lasciato perplesso, ma ho voluto riprovare. E mal me ne incolse. Fin dalle prime battute ci si chiede se per l’autore il popolo dei lettori è fatto da idioti. Perchè solo degli sprovveduti possono essere affascinati da ragionamenti siffatti (pag. 5): «Napoleone, da giovane studente, un giorno scrive su un foglio di carta queste poche parole: «Sainte-Hélène, petite îsle». […] E lui, stranamente, finirà su quella piccola isola. Ecco il paragone – non sembri strano l’accostamento – con un protagonista dei nostri tempi: Mussolini. Egli è finito in Piazzale Loreto, e per lunghi anni dal balcone di Palazzo Venezia poteva vedere davanti a sè, in fondo, alla destra della piazza, uno slargo alberato denominato piazza della Madonna di Loreto. E poi si nega l’esistenza dei presagi». E già, dopo questa folgorante scoperta negherete ancora l’esistenza delle premonizioni? Geniale. Uno crede di aver sognato, prova a rileggere… macchè, quell’assurdità è ancora lì, l’hanno stampata sul serio. Andiamo avanti. Presa della Bastiglia (pag. 24): «Il calendario segnava la data del 14 luglio 1789, un martedì. Cominciava un drammatico quanto seducente periodo storico, contrassegnato da grandi paure, assemblee popolari, club dei cordiglieri, giacobini, girondini, convenzioni nazionali, montagnardi, sanculotti, comitati di salute pubblica, moti controrivoluzionari, patiboli, assassinii, dea Ragione, Direttorio, Bonaparte console, conquiste, Bonaparte imperatore, fuga dall’Elba, Waterloo, Sant’Elena». Così. Neanche su un sussidiario delle elementari troverete siffatte sintesi, ed in cotal guisa. Ma ecco la descrizione degli Stati Generali (pag. 33): «Il Clero si distingueva in cardinali, con cappa rossa; in arcivescovi, con rocchetto; in canonici e curati, che indossavano abiti meno sgargianti. La Nobiltà aveva abiti e mantelli di stoffa nera. Il Terzo Stato era in mantelli corti di stoffa leggera, e si dichiarava scontento di ciò». Punto. Ecco perchè i borghesi han fatto tutto quel casino: volevano vestirsi meglio. Ma talvolta competenze storiche e conoscenze scientifiche si combinano in sapienti amalgami (pag. 50): «La regina Maria Antonietta fu a sua volta costretta a salire sul patibolo nell’ottobre successivo. Ma lei non rimpiangeva che il regno, poichè dall’obeso consorte aveva avuto ben poco anche sessualmente a causa di una fimosi di cui lui soffriva, ed era un male, quello, che comportava il restringimento dell’orifizio del prepuzio». Ormai non rileggo più, so che su questo libro si può trovare qualunque cosa. E mentre comincio a domandarmi se non esistano anche le fimosi cerebrali, riesce ancora a cogliermi interdetto il seguente passaggio sulla fine dei fratelli Robespierre (pag. 58), che sembra scritto dai fratelli Marx (Groucho et al.): «Entrambi i fratelli avevano inutilmente tentato di uccidersi, Maximilien con un colpo di pistola, Augustin gettandosi nel vuoto da un balcone. Il primo si era procurato una ferita alla testa, il secondo si era rotto una gamba. Rivoluzionari sì, ma un po’ pasticcioni. Soprattutto su Maximilien ebbe un cattivo effetto la morte della madre che avvenne quando lui non era che un bambino di sei anni». Fine. Al confronto i cavoli e la merenda di proverbiale memoria acquistano un elevatissimo coefficiente di correlazione. Forse la logica non è sempre stringente, ma vuoi mettere la poesia? Circa l’Armata d’Italia (pag. 77): «I generali non avevano la carta su cui scrivere gli ordini, e nemmeno per pulirsi il culo». Precisazione indispensabile. Infine, su Murat a Milano (pag. 223): «Un giorno, meravigliando tutti, Gioacchino arrivò chiuso in una berlina dai cristalli oscurati, e si disse in giro che avesse un’irrefrenabile sciolta. Ma già l’indomani lo si vide andare a caccia lungo il Ticino». E poi? Si trattava di una giornata particolare, di un dettaglio che scopriremo poi fondamentale per comprendere misteriosi eventi? No, è tutto, si passa ad altro. Lo so, finora ho riportato spezzoni del libro come paradigmi dello stile dell’autore, e voi potreste chiedermi: ma il senso generale dell’opera? Bella domanda, ma non so rispondere. Perchè non è una vera storia dell’Italia sotto Napoleone, nè è una storia di Napoleone. Forse cercare un senso è inutile: si tratta di una miscellanea di aneddoti, vicende piccine (con particolare attenzione a pettegolezzi ed amorazzi) accostate senza logica ad eventi importanti, salti di palo in frasca. Alla fine saprete tutto sulle dimensioni dei piselli di Napoleone e Camillo Borghese, ma poco o nulla sulla Repubblica Cisalpina. Lo stile vuole emulare quello di Montanelli, ma non ci riesce neanche lontanamente: sotto il commento talora un po’ facilone e finanche grezzo, il buon Indro metteva della sostanza. Qui, sotto l’inchiostro niente.
Dice l’autore in prefazione a proposito di Napoleone : «… circa centosettantamila titoli a lui dedicati nel mondo. Finora, dicono. Oddio! Allora perchè anche queste pagine?». Già, Spinosa, perchè? Mah…