Salvatore Scarpino
La guerra cafona
Boroli
€ 9,50
Un esercito moderno e organizzato, ben equipaggiato ed affiancato da corpi speciali di volontari, attacca ed invade uno Stato indipendente e sovrano, un Paese dalla collocazione strategica di importanza fondamentale e potenzialmente assai ricco di risorse naturali.
L’esercito del Paese attaccato si scioglie come neve al sole, senza combattere. Pochi reparti tentano un’accanita e disperata resistenza in un pugno di cittadelle e ridotte assediate, che una dopo l’altra sono costrette ad arrendersi.
Gli occupanti organizzano una consultazione popolare, che dovrebbe sancire la fine del vecchio regime. E così avviene, in effetti, anche se sulla votazione aleggiano sospetti di brogli ed intimidazioni.
Ad ogni modo, il problema più grave che gli invasori si trovano a dover affrontare è quello della resistenza armata. Ci sono province del Paese, tra quelle più difficilmente raggiungibili, che rimangono fuori controllo per mesi, per anni dopo l’occupazione.
In queste province si muovono ed agiscono, con tattiche di guerriglia, bande eterogenee composte da criminali comuni, ufficiali sbandati dell’esercito sconfitto, contadini e pastori, membri del clero e della gerarchia religiosa. I guerriglieri godono dell’appoggio di una larga fascia della popolazione e dell’aiuto di combattenti arrivati clandestinamente da altri Paesi.
Da tutt’e due le parti si commettono atrocità e crimini di guerra. L’esercito occupante arresta, detiene e condanna i sospetti senza regolare processo. I resistenti attaccano località isolate e massacrano i sospetti di collaborazionismo. Gli occupanti bruciano interi villaggi dopo averne sterminata la popolazione, compresi vecchi, donne e bambini. I guerriglieri decapitano i prigionieri e ne espongono le teste come macabri trofei…
Di cosa stiamo parlando? Un lettore mediamente informato crederà di riconoscere nei fatti appena descritti gli eventi della recente guerra in Iraq. Invece, si tratta di una sommaria, ma fedele, ricostruzione di quanto accadde non più di centoquaranta anni fa, in Italia meridionale.
L’oleografia risorgimentale e post-unitaria ci ha sempre mostrato in una luce eroica episodi quali la spedizione dei Mille, o l’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano, oppure ancora la proclamazione del Regno d’Italia, da parte del Parlamento piemontese, il 17 Marzo del 1861. Quello che avvenne dopo, però…
Beh, quello fu decisamente un’altra storia, non ancora studiata a sufficienza. La storia, per l’appunto, della guerra civile, o guerra di resistenza, combattuta senza esclusione di colpi e di efferatezze tra «Sardogaribaldesi» e «Briganti», come si definivano con disprezzo reciproco i due schieramenti.
Personaggi, episodi e vicende di questo conflitto sono indagati da Salvatore Scarpino nel saggio La guerra cafona, appena uscito per l’editore Boroli di Milano.
L’autore non è uno storico professionista, ma un giornalista, e si sente. Lo stile del libro è scorrevole, la lettura facile: non da storico erudito o accademico, per intenderci.
Scarpino si dimostra attento alla ricostruzione precisa degli eventi e delle circostanze, ma anche sensibile alla necessità di offrire al pubblico una scrittura piacevole ed appassionante, facendo in questo tesoro degli insegnamenti di un maestro come Indro Montanelli.
Si leggono con grande piacere e curiosità, ad esempio, le biografie avventurose, picaresche in alcuni casi, quasi sempre tragiche, dei protagonisti piccoli e grandi di questa epopea “brigantesca”.
Scarpino ha la notevole abilità di riuscire efficacemente ad inquadrare la narrazione di queste biografie e la descrizione di eventi ed episodi anche minuti entro le coordinate più ampie della diplomazia e della politica italiana ed europea di fine Ottocento.
Però è ancora un altro, forse, il merito maggiore del libro, soprattutto in questi mesi durante i quali la “questione meridionale” è tornata ad imporsi con prepotenza all’attenzione del Paese.
Un filo rosso percorre, sottotraccia, tutti capitoli del libro, per emergere con evidenza nelle pagine finali: secondo Scarpino, nelle fucilazioni indiscriminate degli anni Sessanta dell’Ottocento, nelle decimazioni di interi villaggi, nell’atteggiamento ottusamente colonialista di prefetti e generali piemontesi, nell’assoluto disprezzo per le ragioni dei vinti e dei cafoni, in tutto ciò stanno le radici di quella diffidenza nei confronti dello Stato unitario e dei suoi rappresentati, di quel «familismo amorale», di quella mancanza di senso civico che il Sud rurale si è trascinato dietro per decenni: fino ad oggi, per l’appunto.
Italiani del Nord e del Sud si conobbero guardandosi attraverso il mirino del fucile, scrive Scarpino.
Mi pare che epigrafe migliore non ci possa essere per condensare il senso del suo saggio.
La versione integrale di questa recensione apparirà sul numero 35 di LN-LibriNuovi in uscita nel mese di settembre 2005.