Chiara Valentini
La fecondazione proibita
(Feltrinelli)
Che cos’è più importante nel definire l’atto della procreazione? La semplice copula tra due esseri di sesso diverso o la volontà di dare origine a una nuova vita e la cosciente assunzione di responsabilità nei suoi confronti? Per la legge 40 approvata dal Parlamento il 12 febbraio del 2004, ciò che conta è il primo aspetto, evidentemente, poiché l’obiettivo primario della cosiddetta «legge burqa» (definizione di «Le Monde») è proprio quello di punire coloro che, incapaci per vari motivi di procreare «naturalmente», affrontano rilevanti disagi fisici, psichici ed economici per riuscire a realizzare un progetto di amore, generando un figlio mediante tecniche di fecondazione assistita. Dopo aver perso la battaglia contro la contraccezione (che consentiva di separare sessualità e riproduzione) e contro la legalizzazione dell’aborto (che ha favorito lo sviluppo di una maternità responsabile), ora l’integralismo cattolico, da sempre ossessionato dall’ansia di regolare ciò che avviene sotto le lenzuola, ha trovato un modo per ottenere la rivincita. Oggi per lo stato ognuno può fare figli con chi gli pare, basta che entrambi i partner siano consenzienti e facciano uso diretto di ciò che si trovano tra le gambe. Ma se si pretende di concepire una nuova vita mescolando uno spermatozoo e un ovocita in una provetta, e trasferire dopo 24-48 ore l’embrione così ottenuto nell’utero (la cosiddetta tecnica Fivet), allora si è costretti a subire una serie incredibile di limitazioni. La nuova legge impone che la coppia debba essere sterile e coniugata (in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, che vieta di discriminare le persone in base alle condizioni personali). Ma non basta. È noto che quando la donna si sottopone alla Fivet, deve affrontare una pesante terapia ormonale, al fine di indurre la produzione del maggior numero possibile di ovociti fecondabili, per aumentare la probabilità di successo: non tutti gli embrioni ottenuti infatti si rivelano in grado di progredire verso lo sviluppo di un feto. Pertanto prima della legge 40 si provava a impiantare un solo embrione, congelando gli altri per un’eventuale ripetizione del tentativo. Ora non si possono produrre più di tre embrioni per volta, i quali non possono essere congelati ma vanno impiantati tutti insieme nell’utero (con il rischio potenziale di una gravidanza plurigemellare). Se l’impianto non riesce, la donna dovrà risottoporsi alla terapia ormonale (non priva di rischi per la salute) e rifare tutta la trafila. Non si possono effettuare diagnosi pre-impianto, finalizzate a individuare embrioni portatori di anomalie cromosomiche o difetti genetici gravi. Anche se malformato, l’embrione deve essere impiantato, la donna non può opporsi, salvo avere la possibilità di abortire entro tre mesi dalla fecondazione. Come rileva nel suo libro Chiara Valentini, inviata speciale de «L’Espresso», la legge 40 limita pesantemente il diritto della donna alla salute, che l’art. 32 della Costituzione sancisce come diritto fondamentale di ogni individuo, e viola i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In compenso si attribuisce all’embrione, un mucchietto di cellule incapaci di sentire e prive di autocoscienza, una soggettività giuridica, in contrasto con l’art. 1 del Codice Civile, per cui i diritti si acquisiscono al momento della nascita. Il tentativo di far seguire a questo nuovo principio la ridiscussione della legge sull’aborto appare evidente a chiunque. Altrimenti appare singolare che proprio la Chiesa, che si è sempre distinta nel difendere il diritto-dovere delle coppie (purché regolarmente sposate) ad avere figli, di fronte alla prospettiva delle nascite «in provetta» suggerisca alle medesime coppie di rinunciare. L’atto del coito, così intollerabile per i Padri della Chiesa a partire da San Paolo (che considerava il matrimonio il male minore se proprio non si riusciva a spegnere altrimenti gli impulsi della carne: fosse stato per lui, la specie umana si sarebbe estinta nel ii secolo d.C.), viene in questo caso considerato conditio sine qua non per rendere accettabile la procreazione. Il sesso, altrimenti reputato uno squallido accessorio del più elevato sentimento dell’amore coniugale, viene anteposto e contrapposto proprio a una voglia di amore così forte da spingere la coppia a cercare di fare un figlio con la procreazione medicalmente assistita, nonostante i molti sacrifici che essa richiede. Ma qualcuno potrebbe dire che le gerarchie ecclesiastiche fanno il loro mestiere, ossia definire dei principî morali che, piacciano o no, vincolano dei fedeli che aderiscono liberamente alla comunità dei cattolici. Ciò che non è accettabile è che uno stato moderno, fondato da un Risorgimento laico, si subordini a una religione, svelando una natura di stato etico, cioè animato dalla volontà di condizionare le coscienze dei suoi cittadini.
Un parlamento a predominanza maschile, di cui alcuni esponenti (maschi) hanno avuto il coraggio di apostrofare con termini quali «galline» e «troie» le colleghe che osavano protestare per l’iter della legge, ha fatto strame, con rara insensibilità, delle speranze di tante coppie in attesa di un figlio. Una legge ipocrita che, dopo avere vietato, al contrario di quasi tutta l’Europa, la fecondazione eterologa (mediante l’uso di spermatozoi o ovociti di donatori), stabilisce norme giuridiche per i figli nati da tale tipo di fecondazione, il che attesta il riconoscimento da parte del legislatore che la legge 40 promuoverà (come già sta accadendo) la migrazione di coppie verso centri esteri di fecondazione assistita. Il libro di Chiara Valentini è al contempo una storia della fecondazione in vitro, descritta con grande chiarezza e semplicità, e una dolorosa riflessione, condotta con profonda empatia, sui complessi problemi che il progresso scientifico ha posto nell’ambito dei concetti di maternità e paternità responsabile, e sull’incapacità di una classe dirigente di gestire questioni così articolate in maniera pacata e razionale. Una politica miope, ossessionata dall’esigenza di legiferare su una materia che richiederebbe ben altra sensibilità e flessibilità. Un approccio retrogrado, che segna un’ulteriore frattura tra paese legale e paese reale. Comunque vada a finire nell’immediato futuro, che si facciano o no i referendum abrogativi proposti, giova ricordare che, come affermò qualcuno a suo tempo, la Storia, anche quella scientifica e del costume, non fa mai passi indietro, se non per prendere la rincorsa.
Pubblichiamo qui integralmente la recensione apparsa sul numero 33 di LN-LibriNuovi, in uscita il 18 marzo 2005, per fornire ai nostri lettori, in vista della consultazione referendaria, alcuni utili elementi di giudizio