Il caso Maurizius (Der Fall Mauritius) di Jacob Wasserman, trad. di Lucia Sgueglia, editore Fazi è il primo volume di una trilogia, pubblicata in Germania tra il 1928 e il 1934. L’ultimo volume uscì postumo nella Germania ormai saldamente in mano al nazionalsocialismo.
Wasserman, bavarese di origine ebraica vissuto per vent’anni a Vienna, fu un autore di grande successo nel mondo di lingua tedesca. Fu amico personale di Thomas Mann e di Arthur Schnitzler e collaborò con Reiner Maria Rilke alla redazione di Simplicissimus, giornale umoristico antimilitarista e anticlericale.
Il caso Maurizius è il racconto di un errore giudiziario, errore nato dall’ostinazione e dall’ambizione del procuratore generale, barone Wolf von Andergast, e consumato ai danni di Leonhart Mauritius, uomo elegante, raffinato ma fatuo, dissoluto e immaturo.
A rendere possibile la condanna per uxoricidio, la testimonianza di Gregor Waremme, amico personale di Mauritius e l’abile conduzione del processo da parte di Andergast. Il libro si apre quando ormai sono trascorsi diciannove anni dal processo e il caso Mauritius ha cessato da tempo di occupare le pagine dei giornali. Protagonista il sedicenne Etzel von Andergast, figlio del barone, con il quale vive solo, dopo l’allontanamento dalla famiglia della madre adultera.
Etzel ha timore del padre ma è dotato di grande indipendenza di giudizio, oltre che di quell’incrollabile fiducia nella giustizia che è tipica dei giovani. Un incontro con il padre del condannato lo spinge a interessarsi del caso Mauritius e il giovane Etzel giunge ben presto alla frattura con il barone e alla fuga. Alla base della sua decisione la necessità di stabilire l’innocenza di Leonhart Mauritius e, insieme, di riallacciare i contatti con la madre perduta in tenerissima età. Il giovane Etzel raggiunge così Berlino e vi incontra Gregor Waremme, che ha abbandonato il cognome con il quale era divenuto il filosofo del momento vent’anni prima, per ritornare al proprio cognome giudeo: Warschauer.
L’incontro con Waremme, tuttavia, che nelle intenzioni di Etzel avrebbe dovuto condurlo a dimostrare l’innocenza di Mauritius, diventa il momento rivelatore dell’inafferrabile ambiguità del reale. Etzel ne uscirà vincitore e vinto insieme, rafforzato nella fiducia in se stesso ma scosso nelle sue convinzioni. Il barone Andergast, intanto, suo malgrado profondamente colpito dalla ribellione del figlio, si immerge nuovamente nelle carte del processo, ha per la prima volta dei dubbi sulla sentenza, una sentenza maturata prima di tutto in lui, e incontra nuovamente il condannato. Gli incontri, paralleli a quelli condotti da Etzel, distruggeranno definitivamente la rigida visione del mondo che il barone aveva costruito. La grazia per Mauritius, soluzione tardiva e vile, non riuscirà a sanare la frattura tra il barone e il figlio come non restituirà a Mauritius onore e interesse per la vita.
Da questa rapido riassunto della trama si avrà forse una vaga idea della complessità e della ricchezza della vicenda. Al centro del libro è il conflitto tra individuo e società, un tema che in forme differenti ritornerà infinite volte nel romanzo europeo degli ultimi due secoli.
In questo caso è un delitto – un delitto abietto apparentemente nato da una passione adulterina e dall’avidità – a segnare la frattura, a determinare la vendetta della società contro il colpevole.
Non esistono, a ben guardare, né buoni né cattivi, né onesti né truffatori, né lupi né agnelli: esistono soltanto censurati e incensurati, condannati e assolti, ecco la differenza. E il fatto di essere l’una o l’altra cosa non deriva da una predisposizione ma da un caso […]
sostiene il barone Andergast, a descrivere una visione del mondo che unisce la concezione autoritaria dello stato con l’intolleranza per il peccato di schietta derivazione luterana. Mauritius si è reso colpevole non soltanto del suo – peraltro indimostrabile – delitto, ma soprattutto di aver condotto una vita dispendiosa, di aver ceduto al peccato, di essere, in ultima analisi, parte di un ambiente intellettuale che, pur non costituendo un pericolo per la società, mette in discussione le sue basi morali.
Al centro di questo ambiente negli anni che precedono il delitto, Gregor Waremme, un nazionalista romantico come era frequente incontrarne nella Germania guglielmina, uomo colto, brillante, arguto, vero protagonista della vita intellettuale cittadina. Ebreo convertito, con un cognome che nasconde le sue origini, Waremme – personaggio probabilmente almeno in parte ispirato a Oscar Wilde – fa mostra di un elegante cinismo, sbeffeggia il perbenismo della piccola e grande borghesia, ma non sopravvive socialmente al processo. Costretto ad allontanarsi dalla città, riprende il cognome del padre e, dopo una lunga permanenza nel nuovo mondo, finisce col vivere di espedienti a Berlino.
Merita dilungarsi su questo personaggio perché Wasserman lo ha scelto come perfetto interprete delle ambiguità come della vivacità della Germania a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Waremme conosce bene l’intolleranza antisemita della società e cerca in ogni modo di sfuggirvi, negando la sua origine e ogni legame con la comunità ebraica:
Per nessuna ragione avevo il diritto di ambire a ciò che qualsiasi uomo mediocre poteva ambire, purché non portasse quel marchio infamante. Il pensiero mi faceva impazzire. […] non li amavo e questo mi liberava dai vincoli di appartenenza.
Waremme/Warschauer, incapace di provare lealtà per uno dei due mondi finirà per ritagliarsi una morale a proprio uso e consumo, segnata dalla sua ansia di rivalsa. L’incontro con il giovane Andergast sarà per l’autore l’occasione per incarnare nei due personaggi le tensioni sotterranee della Germania del primo trentennio del Novecento.
Capita raramente di imbattersi in un’opera capace di raccontare con tale intensità un momento storico senza per questo sacrificare i personaggi. Personaggi che vengono efficacemente descritti anche quando, come è il caso di Anna Jahn – la donna desiderata da Mauritius e da Waremme – appaiono unicamente nel racconto, spesso contradditorio, dei protagonisti.
Jacob Wasserman fu un autore stimato da Thomas Mann che di lui scrisse: «un narratore purosangue, istintivo, un inventore di tale fatta che nessuno di noi gli si può paragonare». Alla prova della lettura difficile non dargli ragione. Unico, inevitabile «difetto» del libro è la sensazione che lascia, di vivere in un’epoca di libri troppo spesso rachitici, poveri, indecisi. Da apprezzare senza riserve, comunque la decisione di Fazi di ripubblicare il romanzo, uscito in Italia (con qualche taglio) soltanto nel 1930 e mai più ristampato. Un ultimo cenno riconoscente alla postfazione di Paolo Ruffilli e alla nota biobibliografica, dalla quale ho desunto le informazioni qui riportate.
Jacob Wasserman, Il caso Maurizius, Fazi, ed. in e-book form. .pdf 3,8 Mb, € 4,99, trad. Lucia Sgueglia
Dal romanzo fu tratto un film di Julien Duvivier uscito nel 1954 e uno sceneggiato televisivo in quattro puntate uscito nel 1961 per la regia di Anton Giulio Majano. Qui il trailer del film.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.