È tuttora disponibile un testo fondamentale per la letteratura cinese contemporanea, il romanzo La Montagna dell’Anima di Gao Xingjian, traduzione dal cinese di Mirella Fratamico, editore Rizzoli, considerato il capolavoro dell’autore cinese, premio Nobel 2000 per la letteratura.
Due vicende parallele si snodano nel libro, la prima condotta in seconda persona:
Sei salito all’alba su una corriera traballante, di quelle che in città non si usano più, e dopo dodici ore di sobbalzi su impervie strade di montagna, sei arrivato in questa cittadina del sud.
la seconda in prima persona:
A metà strada tra gli altopiani tibetani e la conca del Sichuan, nelle regioni centrali dei monti Qionglai dove vive l’eremita Qiang, ho assistito al rito del fuoco.
Due storie di viaggio, di incontri, di storie tradizionali, favole, miti, leggende della vecchia Cina e di frammenti di cronache, ricordi, paure della nuova Cina. La separazione tra un protagonista raccontato da un ulteriore narratore nascosto e un io narrante in prima persona risulta ben presto più apparente che reale, ma grazie a questa frattura Gao Xingjian moltiplica i piani e i tempi della narrazione e riesce a rendere con elegante e potente maestria l’impossibilità di ritrovare unicità di percezione e di giudizio. La doppia / tripla voce narrante rappresenta così la pena che il protagonista si autoinfligge per non aver troppe volte colto l’ambiguità del reale, non avere realmente compreso le persone che lo circondavano e avere dato troppe cose per scontate. Il lungo viaggio attraverso una regione ricca di storia e di leggende diventa così pellegrinaggio alla ricerca della Montagna dell’Anima, luogo mitico e sfuggente, unico epilogo possibile di un viaggio concepito per segnare simbolicamente la separazione dal mondo urbano e dalle passioni. In questo percorso sono numerosi i riferimenti al buddhismo, ma gli incontri con sacerdoti e semplici credenti si chiudono amaramente, con l’ammissione da parte del protagonista dell’incapacità di rinunciare ai desideri.
Mentre l’io viaggiatore cerca di rintracciare le tracce delle proprie radici, attraversando una Cina profondamente mutata, in qualche caso snaturata, dove lo sforzo per rimuovere il recente passato non riesce a cancellare i segni di tante guerre civili, il suo «io» in seconda persona ricostruisce passo per passo i propri errori: la cecità, la superficialità, l’insofferenza, l’ira, la perfidia sottile e la brutalità velata di passione.
Il racconto del viaggio si fa ragnatela, spirale senza possibilità di uscita. Ogni incontro, ogni parola segnano l’impossibilità di cambiare, di separarsi da sé, di ritornare a una condizione di innocenza perduta per sempre. I ricordi dell’infanzia si moltiplicano, ma segnati dal senso di colpa, dal dubbio che nemmeno quei giorni fossero davvero liberi dall’avidità ansiosa che per anni ha guidato ogni suo gesto. Protagonista è uno scrittore, perseguitato, ridotto al silenzio ma ricco di fascino, figura di riferimento per tutti coloro che coltivano passioni intellettuali. L’immagine di sé, della propria contorta vanità, esaltata anche dall’impossibilità di pubblicare, è quanto l’io narrante – evidente trasfigurazione dell’autore – vorrebbe cancellare. Il suo desiderio è quello di ritrovare la voce originaria della Cina, scavare e cercare nei luoghi più lontani e isolati per ritrovarvi una dimensione arcaica che – scoprirà nel corso del viaggio – ha cessato di esistere.
Il mondo fattuale si rivela più ricco e sfaccettato delle sue categorie intellettuali, più diretto e brutale, rozzo e approssimativo. Il peso della politica del governo centrale, della corruzione capillare, del terrore scatenato dalla Rivoluzione Culturale ha cristallizzato abitudini di paura e sospetto, timori invincibili, diffidenze e piccole astuzie che non può sperare di vincere né tanto meno di cancellare per ritrovare intatta una genuinità popolare che esiste soltanto nei suoi desideri pigri di intellettuale urbano. Gli incontri, i ricordi, le emozioni che si stemperano e si esaltano nel viaggio riescono tuttavia a restituirgli un minimo di equilibrio. Gradualmente il protagonista recupera i frammenti sparsi di sé, ritrova un momento di equilibrio
Le cose avvengono a mia insaputa e c’è sempre un occhio misterioso. Non capendo, posso solo fingere di capire.
Dare a intendere di capire, ma non capire mai.
Nulla mi è chiaro in realtà, nulla io capisco.
È così.
Romanzo ricchissimo, fitto di incontri, visioni, dialoghi, ricordi, immagini, riflessioni La Montagna dell’Anima è una pubblica confessione che continuamente si sforza di vincere il limite della pagina scritta per chiamare il lettore a giudice e testimone, per rendere conto di stati d’animo inafferrabili, impulsi, rimorsi e momenti di indecisione che hanno radici remote, spesso ormai inafferrabili.
La conclusione di Gao Xinjiang è che non esiste speranza né possibilità di uscire da se stessi, dimenticare il misterioso e contorto percorso che ci ha resi quello che siamo. Una condanna che tuttavia ammette qualche momento imprevedibile di grazia, qualche frammento di innocenza e di quiete.
Gao Xinjiang, La montagna dell’anima
Rizzoli, BUR 2008, pp. 672, € 10,80
Trad. Mirella Fratamico
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