Ci sono desideri evidentemente destinati a rimanere irrealizzati. Come per esempio quello di imbattersi in uno scrittore italiano vivente che riesca a non ostentare il proprio ingombrante io per più di due pagine di fila.
È triste e irritante vedere come delle idee, magari anche molto buone, e una tecnica di scrittura magari anche valida vengano inevitabilmente sciupate dalla esasperante tendenza all’autoreferenzialità che sembra essere una sorta di moda tra i nostri artisti contemporanei.
Ed è altrettanto triste vedere come questa autoreferenzialità sia un misero espediente per vestire i panni di un personaggio che non è altro, si sospetta, che una proiezione ideale di sè. Che Emilio Bettazzi, protagonista di Nero di luna possa essere un alter ego di Marco Vichi è forse qualcosa di più di un dubbio maligno. Un alter ego più giovane, più di successo, sia nel lavoro sia con le donne, più riuscito … E il dubbio permane non solo perché, ovviamente, di lui si innamora una donna inevitabilmente strafiga, ma anche per tutta una serie di altre caratteristiche che lo connotano: l’insistente e ostentata noncuranza (tanto per fare un esempio) con cui Emilio ci informa ad intervalli regolari, così (volutamente) en passant, che si sta facendo/si è fatto/si farà una canna, induce una serie di associazioni mentali che oscillano tra il vecchio prof. bacucco che vuole parlare il linguaggio dei giovani e il classico cinquantenne che si crede ancora un ragazzino e che fa ricorso a quelli che non sono altro che stereotipi connessi con una fascia d’età cui non appartiene ma cui aspira (la classica carampana in minigonna…).
Si potrebbe anche sorvolare su questo aspetto psicologico-psicanalitico se questo non andasse ad intaccare in modo più che consistente la godibilità della lettura.
Nero di luna è – manco a dirlo – un noir, genere che sembra a sua volta andare molto di moda anche se con risultati di dubbia validità.
Il protagonista è, come dicevamo, un giovane scrittore in cerca di solitudine e ispirazione, ragion per cui si rifugia nella villa di famiglia tra le colline del Chianti dove, tra una canna e l’altra, tenta – in modo abbastanza telenovelistico in verità – di rielaborare il lutto per un amico scomparso e di partorire un nuovo libro.
Altra sua attività sono le lunghe passeggiate che lo portano ad una piuttosto stereotipata villa-abbandonata-con-un-misterioso-e-torbido-passato e tuttora sede di strani avvenimenti.
Si lancia nelle indagini per svelare i misteri passati e presenti, conosce, nel mentre, la bella fanciulla-preda sulla quale esercita le sue arti seduttive e si ispira a ciò che sta vivendo per scrivere.
L’idea di per sé, ripeto, poteva anche essere interessante. Si sa che anche i temi più conosciuti e sfruttati possono essere oggetto di rielaborazioni nuove e originali. Peccato che qui novità ed originalità manchino del tutto: i personaggi sono piatti, grossolanamente ritagliati ed etichettabili (il potente cattivo, la vecchia che mantiene il segreto, per non parlare della gente di paese, ritratta con gli stereotipi frutto della superiorità snobistica del cittadino) e la trama è mal organizzata dal momento che, oltre a diversi errori veri e propri (ci sono due o tre punti in cui di colpo si fa riferimento a cose accadute precedentemente nel corso della narrazione medesima benché prima non vi sia traccia di questi episodi), già prima della metà del libro si capisce dove vuole andare a parare e come andrà a finire.
Stupisce che proprio questo libro sia stato scelto dal quotidiano «La Stampa» che quest’estate lo ha pubblicato a puntate prima della sua comparsa in libreria.
Marco Vichi
Nero di luna
Guanda
€ 15,00
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