Helmut Krausser
Il grande Bagarozy
Barbera
€ 16,00
trad. G. Giri
L’uomo seduto nello studio di Cora Dulz – psichiatra trentacinquenne, un matrimonio fallito e molti rimpianti – «non era bellissimo, ma interessante, con gli occhi piccoli e il viso stretto». Un uomo quieto e ragionevole, sommesso e amichevole, anche se a tratti inspiegabilmente assente, remoto. Sostiene di vedere il fantasma di Maria Callas, di poterne udire la voce, di possedere brani di interpretazioni che non sono mai stati registrati o distribuiti.
Cora è una donna solida, armata della disillusione di chi ha finito col fare per sopravvivere un lavoro che in altri tempi l’aveva appassionata. Suo marito, un cardiopatico precocemente ritiratosi dal lavoro, vive autocompiacendosi della sua condizione di ammalato e raccogliendo dai giornali ritagli che narrano di decessi occorsi in situazioni assurde, grottesche o efferate.
Lei ha ascoltato per anni i sogni, le fissazioni, i deliri e i desideri frustrati di un’umanità media – mediamente borghese, mediamente infelice, mediamente folle – e in questa medietà ha finito col temere d’essere naufragata.
Mentre i pazienti parlano Cora finge di prendere appunti mentre compila la lista della spesa. Anche il suo ultimo paziente, Nagy, almeno all’inizio sembra soltanto l’ennesimo prevedibile fissato: «i buoni si suicidano, gli altri vengono nel mio studio», ma c’è in lui qualcosa di inafferrabile, qualcosa che Cora non riesce a ridurre alla normalità della follia mediocre che anima tutti i suoi pazienti. «Era come se il suo volto avesse una luce diversa: sembrava un’opera d’arte di quelle che si credono fatte per una persona sola, con un messaggio da portare nel futuro».
Nagy si presenta da lei per raccontare: non vuole guarire né tornare a una qualsiasi normalità. Non è un paziente ma un appuntamento bisettimanale con l’ignoto e l’assurdo. Conosce dettagli privati della vita della Callas e ne racconta con la distaccata e filosofica delusione di chi ha conosciuto una passione mai condivisa. L’ha seguita ovunque, l’ha incoraggiata, aiutata. Respinto una volta ne è divenuto letteralmente il cane, il suo piccolo cane da compagnia.
Cora non vuole credere al racconto di Nagy, meno che meno vuol credere alla rivelazione della sua identità segreta, quella che lui gli confida quasi distrattamente, senza quasi dargli peso.
Ma, reale o no, l’identità di Nagy, la sua vita, il suo passato diverranno il centro dei pensieri di Cora, tanto che lei ne finirà per diventarne completamente succube. Lo seguirà, lo cercherà anche quando lui avrà deciso di diradare e in seguito interrompere le loro sedute.
«Sono rimasto quello che sono sempre stato, il souvenir di me stesso», confessa Nagy-Bagarozy-Lucifero nel corso del loro ultimo incontro.
Le rappresentazioni letterarie del Diavolo costituiscono quasi un sottogenere letterario a sé stante. L’esplorazione della personalità, dei modi e della visione del mondo dell’«Angelo caduto» è una sfida che parecchi scrittori hanno accettato anche se non sempre con esiti realmente efficaci. Il Lucifero di Krausser – scrittore raffinato, sardonico e spietato – ha smarrito il senso della propria esistenza e ha motivi per credere che per Colui che è stato il suo Eterno Nemico la situazione non sia troppo diversa. Prova ormai scarso interesse per l’umanità…
Una volta, per me, la terra era una festa, una sala da ballo, una sala giochi sconfinata, un centro commerciale di notte. E adesso? Siamo eroi di fumetti in bianco e nero, parole vuote che si gettano di orecchio in orecchio su un immenso vuoto grigio. Nella tua terra non ho scoperto nulla che valga la pena di rivedere.
… e nessun interesse per il suo ruolo di Grande Tentatore.
Il suo amore per Maria Callas è stato il sogno o forse l’illusione di poter trovare ancora bellezza nella vita dei mortali. Ma Maria non gli si è voluta concedere e nulla può risvegliare in lui un minimo di emozione, meno che mai l’amore fatto di «sogni soffocati» che può regalarle Cora.
Per chi ha letto Il falsario l’Helmut Krausser de Il grande Bagarozy potrà certo apparire più leggero, a tratti quasi ameno – sia pure perfidamente ameno –, ma si tratta della declinazione di una medesima visione del mondo in modi semplicemente meno drammatici. Se Johanser, il protagonista de Il falsario, sopravvive in equilibrio su un sistema di menzogne, il Lucifero de Il grande Bagarozy, pur essendo il Grande Mentitore, sembra incapace di tollerare l’inesauribile facoltà degli esseri umani di mentire a se stessi e riscatta la sua ormai lontanissima identità angelica giungendo a disprezzare l’incapacità umana di produrre semplice bellezza.
Un breve commento a parte merita la chiusa del romanzo che, pur non trattandosi di un poliziesco, è comunque preferibile non riferire. Un epilogo adeguato e coerente alla narrazione – pur risultando decisamente sorprendente – ma che suscita ulteriori domande (destinate a rimanere senza risposta) e alcune riflessioni.
Tra queste una, a metà tra il paradosso e la rivelazione: «se rinunciare a Lucifero è giusto e possibile, che cosa dire della possibilità che sia lui a rinunciare a noi?»