Il protagonista del romanzo è Toxic (contrazione di Tom Boksic), un killer di lungo corso ben insediato all’interno di una strutturata organizzazione criminale. Eppure nonostante il lungo corso e tutti i meriti conquistati sul campo, l’implacabile Toxic ad un certo punto commette l’errore di far fuori un federale. Che l’errore sia suo o dei mandanti poco importa: il danno è fatto. Costretto alla fuga per evitare che la sua stessa organizzazione gestisca il problema col proprio stile (ovvero eliminazione dell’incauto protagonista), il nostro si trova costretto ad espatriare. Commette dunque un ultimo casuale omicidio all’aeroporto di New York al solo scopo di impossessarsi di un passaporto pulito e poi fugge per la destinazione che era designata per l’ultima sua vittima. Il fato vuole che il malcapitato sia Padre Friendly, un pastore diretto a Reykjavik. Ne va della sua pelle: Toxic non può recriminarci troppo su.
Reykjavik |
Inutile dire che la nuova identità non calzi proprio a pennello al nostro sicario, un croato svezzato dalla guerra balcanica (che riemerge in alcuni capitoli vissuti come ricordanze) e poi emigrato in America a far il lavoro di cui sopra con l’idea che in fondo in fondo i mafiosi italiani sono solo dei dilettanti, se rapportati a lui, che usurpano la loro fama per il mondo… In ogni caso ancora siamo solo agli esordi del volume ed è superfluo dunque annotare che, viste le premesse, nella avventura islandese del buon Toxic c’è spazio per tutto: per vicissitudini poliziesche, per situazioni comiche paradossali, c’è spazio per un lavoro onesto e naturalmente c’è spazio anche per l’amore con un’algida e splendida autoctona. Insomma c’è il margine per ricostruirsi una nuova vita ed una sorta di verginità morale per il protagonista. Che come ogni cattivo che si rispetti della letteratura moderna fa molta simpatia al lettore che deve per contratto tifare per lui. O per lo meno si sforza di riuscirci simpatico fingendo però bene di non sforzarsi affatto. Di più: di non essere minimamente interessato alla cosa. Tutto bene in ogni caso, direi, fino a che nella sua (creduta) dimenticata casa islandese non vanno a bussare una donna del passato e soprattutto i suoi ex colleghi per presentargli il conto di una vita e la testa mozzata (in effigie, chiaro) della sua ex americana…
Hallgrimur Helgasson |
Diviso tra il passato di America e Balcani dove spesso il tono diventa più pensoso, il romanzo ha per la più parte buon ritmo, ammicca al thriller senza mai sfiorarlo, si muove deciso in un misto di cinismo, sarcasmo e patetismo che non stanca il lettore mentre da sfondo al presente (in cui è orchestrata la più parte dell’azione) giganteggia un’Islanda indecisa tra la vetrina pubblicitaria e la lezione del sussidiario. Lezione, notate bene, affidata ad una voce narrante fintamente straniera (Toxic che parla per l’autore) per far sì che maggiormente affiori il più delle volte un positivo stupore nel commentare quell’insolito paese così vicino al Polo Nord che è l’isola dei ghiacci. Chi avrebbe mai detto ad esempio che Tarantino la ama? Uno stupore a volte un po’ pedante, quasi da operatore turistico impegnato a venderti un pacchetto vantaggioso forse più a lui che a te.
Piuttosto equilibrato nell’insieme il romanzo ha alcuni momenti decisamente forzati, un finale a mio avviso sottotono e le solite pecche della narrativa impegnata ad essere contro. Helgason è insomma un notevole esempio di quelle ostinate minoranze letterarie che, concentratissime ad apparire scorrette, non hanno avuto tempo per rendersi conto di rappresentare una maggioranza bulgara del sistema letteratura. Lettura senza impegno e senza infamia. Mi piace da ultimo segnalare una citazione per Severina Vuckovic, cantante croata protagonista di uno dei porno amatoriali più amati dal recensore.
Hallgrimur Helgason,
Toxic.
Ed. ISBN 2010,
€ 15,00, pp.291
Trad. Silvia Cosimini.