Giuseppe Carlotti
Klito
Fazi
€ 10,00
In Klito di Giuseppe Carlotti (esperto di marketing e comunicazione e titolare del blog www.giuseppecarlotti.com), si parla di lavoro e l’ambiente descritto è quello degli uffici di una grande impresa, ma Carlotti non parla del mondo lavorativo per denunciarne l’orrore ma soltanto come elemento di arredo dell’esistenza, tempo grigio regolato da norme dementi e deprimenti dove ogni incontro genera frustrazione e disgusto. Non che il protagonista di Carlotti – autore di un libro in forma di blog (o di un blog in forma di libro) steso con indubitabile abilità ma poverissimo di spunti narrativi – voglia contrapporre, in ogni caso, all’assurdo aziendale qualche genere di diversa visione del mondo. Il lavoro è il lasso di tempo necessario per passare dalla colazione all’happy hour. A questo farà poi seguito la cena nel localino giusto con qualche ragazza recentemente conosciuta, la corvée dell’accoppiamento e la fuga da ogni ulteriore contatto.
L’alter ego di Carlotti è un misogino. Rotocalchi e settimanali hanno presentato il suo libro come una specie di rivincita dal maschio del terzo millennio, finalmente ritornato a copulare disprezzando e a disprezzare copulando. Un’interpretazione indiscutibile, in prima approssimazione, ma gravemente riduttiva. L’ambiente d’ufficio medio – dallo studio notarile al centro contabile del grande Gruppo Assicurativo – è letteralmente impregnato di un maschilismo becero e brutale che deve molto di più agli assetti interni di potere che alle secrezioni ghiandolari. In questo senso l’alias di Carlotti (Benzaldeide / Sandroni) è semplicemente chiamato a testimone e interprete di un comune sentire, di un’organizzazione gerarchica che ricorda quella in uso nell’impero coloniale britannico («l’inglese picchia l’arabo che picchia l’ebreo che picchia il negro che picchia l’asino»). Il testo di Carlotti – chiamarlo romanzo è quantomeno improprio – non risulta irritante quando il suo protagonista parla delle donne come «razza immeritevole di essere catalogata come facente parte dell’umanità», un’iperbole che autodenuncia gusto per l’assurdo, o quando volutamente evita di utilizzare segni d’interpunzione, ma quando lascia emergere un culto del sè compiutamente adolescenziale, un narcisismo debordante che, come un buco nero, deforma e ingoia completamente il reale.
L’intero packaging «Carlotti» – libro + blog – risulta così guidato e ispirato a un superomismo mascherato da critica globale distruttiva e l’unica sostanza del testo finisce per essere costituita da un montaggio abile e a tratti geniale. Non c’è assolutamente nulla, sotto la maschera Carlottiana. Nè sdegno, né malevolo gusto del nonsenso. Piuttosto un abile mulinare di parole e di materiali eterogenei (cenni di chimica organica, «bugiardini» dei farmaci, tabelle di composizione di alimenti), di marche, citazioni filmiche, formule televisive condite con qualche riferimento all’attualità politica accortamente privato di ogni valore cognitivo, che rimandano (implacabilmente) all’American Psycho di Brett Easton Ellis, alfa e omega di tutti i trasgressivi pantofolai come Sandroni / Betaldeide.
Il libro di Carlotti, proprio come l’antesignano della categoria, il semileggendario Woobinda di Aldo Nove o il più recente Cento colpi di spazzola di Melissa P. (con la quale condivide la «scuderia», tanto è vero che nel suo blog Carlotti la descrive come «una ragazza straordinariamente intelligente», autrice di un «libro straordinario» che «ci rappresenta») si rivela in ultima analisi un libercolo modaiolo, scelto con attenzione e assemblato con cura, progettato per l’esplosione a tempo e per spuntare il pezzullo a grande titolo presso la rivista o il supplemento letterario di turno, un titolo come: «Ritorna il maschilismo», per esempio.
la versione completa di questa recensione sul numero 34 di LN-LibriNuovi in uscita a giugno 2005