Meno riuscito del suo primo romanzo pubblicato in Italia (Scolpire il cielo), Viaggio di luce, di Alexander Jablokov (tit. or. Deepdrive, 1998, trad. di Maurizio Nati) soffre probabilmente dell’eccessiva ricchezza di invenzione nell’ambientazione e nel plot, ovvero le migliori caratteristiche dell’autore. Ma qui è necessaria una piccola precisazione. Jablokov descrive costantemente ambienti, luoghi e creature non precisamente familiari; non solo: la forma, i modi e le caratteristiche di alieni, astronavi, satelliti, pianeti costituiscono sempre un elemento fondamentale della vicenda. Sicché faticando a immaginarsi un Ulaniy o un Esecutore Vronnan a bordo di un satellite di ghiaccio a bassa gravità si rischia di capire davvero poco di quello che succede e si procede sperando di cuore che qualcuno gentilmente spieghi nelle pagine seguenti che cosa è successo. Jablokov fa uso di un lessico ricco e di metafore fastose, peccato che questa ricchezza riesca a trasparire poco nella traduzione italiana, necessariamente opaca, dove aggettivi e sostantivi sono spesso scelti in modo letterale, tanto da rendere oscuri e poco comprensibili interi periodi. Immagino che, come spesso accade, il traduttore – in questo caso un traduttore noto e ricco di esperienza – abbia avuto tempi troppo stretti per portare a termine il proprio lavoro – e che non sia stato lautamente pagato, ma il risultato è quello di una traduzione frettolosa che si avverte in modo particolare e che rende la lettura non esattamente scorrevole. Di suo Jablokov ci ha messo un’insufficiente caratterizzazione degli alieni, riproponendo per l’ennesima volta la biologia dell’icneumone (che sarebbe quella vespa che depone le proprie uova nel corpo di un ragno paralizzato), sia pure rinnovandola parzialmente, e un universo politico confuso e rudimentale. D’altro canto, almeno in questo caso, non è facile capire dove terminano i limiti di un romanzo non abbastanza brillante di Jablokov e dove iniziano gli (eventuali) difetti della traduzione.
I dialoghi vivaci e brillanti, le ambientazioni «esotiche», i personaggi avventurosi e poco conformisti sono all’altezza dell’autore, ma si ha la netta sensazione di un romanzo sbilanciato ed eccessivo, con lunghi periodi dedicati alle spiegazioni, agli antefatti e alle conseguenze che spezzano il ritmo senza riuscire a dare credibilità e solidità all’insieme della vicenda. Complessivamente si ha il dubbio che Jablokov abbia compiuto una scelta «quantitativa», moltiplicando molto oltre le sue possibilità di controllo gli enti (svariati ambienti e società planetarie, 11 [undici!] razze aliene, mutanti, simbionti, complotti, ambizioni, astronavi a base biologica, embrioni, esperimenti genetici). Il tema principale del romanzo – la ricerca del segreto del motore interstellare degli alieni – rimane così almeno parzialmente oscurato.
Questa sensazione di smarrimento si sarebbe forse potuta evitare se l’editore avesse scelto di pubblicare prima di questo Deepdrive, il secondo romanzo di Jablokov ambientato nello stesso sistema di Scolpire il cielo, ovvero Rivers of dust. La mia è soltanto un’ipotesi, ma alla volte viene da chiedersi perché gli editori amino farsi del male…
Alexander Jablokov, Viaggio di luce, Fanucci Solaria 2002 [ed.orig. 1998], pp. 373, trad. Maurizio Nati, disp. su e-bay.
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