Il romanzo di Mario Vargas Llosa già dal suo titolo rivela una chiara impronta politico-ideologica, mettendo al centro della narrazione un fatto storico. La guerra della fine del mondo rappresenta una tappa importante sia nella creazione letteraria che nella maturazione della visione politica dello scrittore peruviano, il quale, dalle giovanili simpatie castriste, approderà gradualmente verso un liberalismo democratico (nel 1990 si presentò alle elezioni presidenziali in Perù, vinte al secondo turno dal futuro dittatore Alberto Fujimori). Il romanzo venne pubblicato nel 1981 ma lo spunto risale al 1973, anno in cui lo scrittore peruviano scrisse, in collaborazione col regista brasiliano Ruy Guerra, la sceneggiatura di un film mai realizzato, dal titolo Los papeles del infierno sul tema, successivamente sviluppato nel romanzo: la rivolta e la resistenza di Canudos guidata da un singolare predicatore, Antônio Conselheiro, alle truppe della neonata Repubblica del Brasile.
Nel 1970 lo scrittore peruviano si era trasferito a Barcellona (abitò a pochi passi dalla casa di Gabriel Garcia Marquez, a cui era allora legato da una fraterna amicizia e a cui tributava una grande ammirazione), dove risedette fino al 1974, anno in cui tornò in Perù. Al 1971 risale il “caso Padilla” (Heberto Padilla fu uno scrittore cubano che venne arrestato nel 1971 accusato di attività sovversiva contro il governo castrista).
Mario Vargas Llosa, scrittore allora noto soprattutto per il suo romanzo La città e i cani, che già aveva riscosso un certo successo internazionale, firmò insieme a molti altri intellettuali (tranne Gabriel Garcia Marquez, che di Fidel Castro fu amico e sostenitore per tutta la vita) una lettera critica nei confronti del governo cubano. nel 1973 veniva pubblicato a Parigi Arcipelago Gulag, di Solženicyn, che squarciava definitivamente la nebbia sull’apparato repressivo sovietico.
Proprio in quegli anni stava scoppiando il boom degli scrittori sudamericani, grazie anche all’agente letteraria di Barcellona Carmen Balcells che li rappresentò quasi tutti (peraltro tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 vivevano nella città catalana anche Fuentes e Cortazar).
Nel 1973 lo scrittore peruviano venne contattato dalla Paramount perche il regista Ruy Guerra, che aveva letto e apprezzato i suoi romanzi, voleva incaricarlo di scrivere una sceneggiatura. Vargas Llosa entrò in contatto con il regista brasiliano, il quale gli fornì il materiale relativo a quei fatti storici sui quali il film si sarebbe basato. Fu così che, per la prima volta, lo scrittore peruviano venne a conoscenza di quella vicenda che sarebbe diventata la materia del romanzo in questione (del film invece non se ne fece niente). Tra i materiali che il regista gli fornì, spicca Os Sertões, ovvero la relazione dei fatti di Canudos scritta da Euclides da Cunha (ne esiste anche una traduzione italiana: Brasile ignoto. L’assedio di Canudos, Sperling & Kupfer, Milano 1953) a cui lo scrittore peruviano dedica l’epigrafe del libro.
Mario Vargas Llosa rimase impressionato dal lavoro di Euclides da Cunha, scrittore di formazione positivista e convinto repubblicano, il quale tuttavia colse nei fatti di cui fu diretto testimone la portata e il vero significato. Il romanzo dello scrittore peruviano, che per la prima volta decise di allontanarsi, nella sua creazione letteraria, dal proprio paese e dalla propria autobiografia, è, evidentemente, molto legato a quello dell’autore brasiliano, dal quale riprende i personaggi principali e l’impostazione.

Pietro II del Brasile
Euclides da Cunha, infatti, aveva già messo in luce la crudele e feroce dialettica storica che dava senso a quei tragici fatti, altrimenti incomprensibili: lo scontro tra due mondi, quello della modernità e quello pre-moderno, quello della Repubblica, con tutti i suoi apparati, e i difensori della città nella quale si erano asserragliati attorno a quel singolare predicatore, che nel corso delle sue peregrinazioni nel sertão, aveva raccolto un piccolo seguito e che, nel 1893 aveva deciso di fondare la sua città in un angolo sperduto e desertico di un enorme latifondo dello stato di Bahia.
Nel 1889 venne deposto l’Imperatore Pietro II e nel 1890 venne convocata un’Assemblea Costituente che l’anno successivo promulgò una costituzione federalista su modello di quella statunitense. Tra le altre riforme, vennero adottate nuove unità di misura metrico-decimali, venne introdotta la separazione tra la chiesa e lo stato e il matrimonio civile.
Fu proprio questo un punto sul quale cominciò a crearsi un attrito tra le nuove autorità repubblicane e la comunità che Antônio Conselheiro aveva fondato, e dove venivano rifiutate apertamente le leggi della Repubblica, definita dal carismatico predicatore come “l’anticristo”. Inoltre la grande carestia che aveva colpito il Nordest del Brasile tra il 1877 e il 1879 e che aveva dimezzato la popolazione della regione, da una parte aveva contribuito a creare forme di brigantaggio endemico (i cosiddetti “cangaçeiros”), dall’altra e aveva contribuito alla diffusione di fermenti millenaristici che diedero vita a una forma locale di “sebastianismo” (parola che indica una forma di messianesimo legato alla figura si Sebastiano I, re portoghese che morì in battaglia nel 1578 e del quale si attendeva in Portogallo il ritorno) – termine usato non senza un certo disprezzo dai borghesi delle città costiere per indicare queste forme di religiosità diffuse nell’entroterra. Per completare il quadro bisogna aggiungere l’abolizione della schiavitù, proclamata nel 1888 dall’Imperatore Pietro II (un anno prima di essere deposto dal colpo di stato repubblicano).
Nel 1896, un contingente di 104 soldati, inviato per dirimere una questione di poco conto, vennero respinti e dispersi dai difensori della comunità guidata dal Conselheiro. L’anno successivo venne respinta una seconda spedizione militare ben più nutrita. A questo punto la comunità di Canudos stava diventando un problema serio per il governo centrale e per l’esercito un’onta da lavare a ogni costo. Cominciarono a diffondersi voci su un complotto monarchista e separatista appoggiato da potenze straniere (si sospettava un sostegno dell’Inghilterra). Per venire a capo della situazione, venne allestita nel 1897 una terza spedizione, di 1300 uomini, con artiglieria al seguito, guidata dal colonnello Moreira César, uomo di punta dell’esercito noto per la sua ferocia (era soprannominato il “tagliateste”) e per le sue capacità. Anche questa volta la comunità di Canudos, attraverso una incessante azione di guerriglia, riuscì a respingere l’attacco (il colonnello morì in battaglia) dopo scontri particolarmente cruenti. Fu necessario l’allestimento di una quarta spedizione composta da quattromila effettivi, dotata dei più moderni armamenti, che partì alla volta di Canudos a giugno del 1897. A settembre di quell’anno morì il carismatico fondatore della comunità e il 5 ottobre cadde l’ultima resistenza armata. I pochi sopravvissuti vennero sgozzati e la città rasa al suolo.
Questi in sintesi i fatti storici. Il romanzo, che nasce da una sceneggiatura di un film mai girato (attualmente inedita), sembra conservare, in alcuni passaggi, il carattere e il ritmo della narrazione cinematografica. Questo si avverte soprattutto in quelle pagine del romanzo nelle quali compare il personaggio di Galileo Gall, un medico rivoluzionario scozzese sopravvissuto alla repressione della Comune di Parigi che si era imbarcato su una nave tedesca, naufragata poi al largo di Bahia nel 1894. Mentre quasi tutti gli altri personaggi sono realmente esistiti e compaiono anche nel citato lavoro di Euclides da Cunha, Galileo Gall è un personaggio di invenzione, forse ispirato a personaggi dei rivoluzionari della letteratura russa (viene in mente Bazarov di Padri e figli). Questo personaggio è al centro di una trama: viene incaricato di trasportare e consegnare ai ribelli di Canudos casse contenenti armi e munizioni. Chi lo incarica è Epaminondas Gonçalves, il proprietario di un giornale di tendenza radicale e giacobina. Galileo Gall accetta l’incarico e parte, ma il suo committente in realtà aveva inviato sulle sue tracce anche alcuni suoi uomini fidati per ucciderlo e impadronirsi delle casse che contenevano fucili inglesi, necessari a comprovare l’ipotesi di un complotto monarchico sostenuto dai Britannici. Il piano riesce a metà, perché il medico scozzese riesce a scampare e a fuggire. Ma anche se il suo carico è andato perduto, lui decide di continuare ugualmente il suo viaggio verso Canudos e il lettore effettivamente entra a Canudos seguendo le orme di questo personaggio. Si unirà ai ribelli pur sapendo che quella di Canudos non è la rivoluzione da lui sognata e promossa dagli entusiasti europei come lui. Tuttavia egli non può sottrarsi alle sirene della causa dei rivoltosi, ma avrà modo di toccare con mano la distanza tra i propri principi ideologici di matrice positivista e quella comunità costruita su una sottomissione ceca alla figura carismatica del suo fondatore.
Non è difficile scorgere nel personaggio Galileo Gall una eco di quegli ideali rivoluzionari così diffusi nell’opinione pubblica in quegli anni (specialmente tra i giovani). Dopo la rivoluzione cubana del 1959 ci si aspettava che gli ideali del socialismo si diffondessero successivamente in tutta l’America latina e che il verbo rivoluzionario avrebbe messo in discussione l’egemonia degli Stati Uniti sul continente Americano.
Galileo Gall, il rivoluzionario che rinuncia a una comoda vita borghese per seguire i suoi ideali, giunto a Canudos si rende conto che non è quella la rivoluzione da lui sognata. Malgrado ciò, sosterrà la comunità dei rivoltosi. Tuttavia morirà in duello per mano di Rufino, la guida che lo avrebbe dovuto accompagnarlo a Canudos, del quale aveva violentato la moglie. Anche in questo caso la distanza tra l’ideale e la realtà è abissale: Galileo Gall, l’idealista, il rivoluzionario per vocazione, muore per mano di un miserabile contadino del sertão a causa di una banale questione d’onore.
La tragedia storica di Canudos, evidentemente, offrì allo scrittore peruviano lo spunto per riflettere sulla rivoluzione così come concepita dall’ideologia marxista (che è bene ricordare, nella prima metà degli anni ’70 sembrava a una vasta area dell’opinione pubblica l’unico orizzonte ideologico e politico valido). La rivolta guidata da Antônio Conselheiro certamente non è una rivoluzione in termini marxisti (semmai piuttosto una “controrivoluzione”). Il catalizzatore dell’elemento classista, che pure rimane in primo piano, è una religiosità spontanea, una forma di cristianesimo carismatico che si era propagata in modo fulmineo tra le masse diseredate del Nordest del Brasile in quelle particolari circostanze storiche. Ma proprio questo è il punto: la vicenda di Canudos appare assolutamente attuale ed esemplare anche oggi.
Per quanto riguarda la creazione letteraria del futuro premio Nobel, La guerra del fin del mundo rappresenta una tappa fondamentale. Il romanzo in questione si differenzia in modo sostanziale dai suoi precedenti lavori. Gli sperimentalismi di quello che lui stesso definiva “romanzo totale”, che avevano dominato nella prima fase della creazione letteraria dello scrittore peruviano, lasciano il passo a una costruzione più lineare e tradizionale, che sembra rifarsi in parte alla grande tradizione del romanzo russo. Nell’esposizione della materia narrativa, lo scrittore evita deliberatamente di assumere un punto di vista. Sono i personaggi stessi a condurre la narrazione e ciò, a mio avviso, può essere solo il frutto di un talento letterario ormai maturo. E non è un caso che lo stesso Vargas Llosa ha avuto modo di dichiarare che “Barcellona mi ha reso uno scrittore”1.

Mario Vargas Llosa
Il periodo barcellonese, che va dall’estate del 1970 a metà del 1974, al quale lo scrittore peruviano ritorna con nostalgia, rappresenta una tappa importante nell’evoluzione della creazione artistica e della biografia dello scrittore peruviano. La guerra della fine del mondo rappresenta il frutto di questa maturazione (tra l’altro è uno dei lavori più amati dall’autore stesso).
A 35 anni dalla sua pubblicazione, in uno scenario politico-ideologico completamente diverso, il romanzo, rappresenta non solo una delle vette della creazione artistica del futuro premio Nobel (le sue 558 pagine si leggono tutte di un fiato!) ma anche un documento di scottante attualità su un conflitto asimmetrico, feroce, basato su una contrapposizione radicale di valori.
Mario Vargas Llosa, La guerra della fine del mondo, Einaudi, Torino 1995, pp. 588, € 15,50, trad. e intr. Angelo Morino)
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