Come forse avrete già capito sono una lettrice di lunga data, mi sono formata sui “classici”. Ad alcuni – come Sheridan – sono affezionata come una figlia, ma in uno di quei bei racconti gotici del secolo scorso, con vecchi castelli, cripte, peccati e allusioni, tanto mistero e poco sangue, mi sento proprio a casa mia. Lasciatemi consigliare, però, il prossimo libro, ne vale davvero la pena. Si tratta di Storie di fantasmi, curato da Richard Dalby, Katia Bagnoli e Antonella Leone – edito da La Tartaruga – storie scritte da autrici, alcune ben note, altre confinate, spesso ingiustamente, nell’ambito della letteratura di genere. Il racconto più vecchio (e anche il più breve) è di Charlotte Brontë (classe 1816), e ci presenta un Napoleone un po’ stranito da una visione ultraterrena ed è seguito a ruota da un vero classico, La porta aperta di Margareth Oliphant (nata nel 1828), con revenant infelice, effetti ben giocati e contrasto tra rigida mentalità positivista e sensibilità.
I racconti più recenti sono invece L’autista, firmato da Rosemary Pardoe (n. 1951), gentile immagine di dedizione eterna al lavoro, e Preludio di Pamela Sewell (n. 1961), un racconto di possessione scritto alla vecchia maniera. In mezzo troverete meraviglie giocate su tutti i registri, dal grottesco dello humour inglese (La camera n° 17 di Elisabeth Nesbit) al binomio passione-morte (Storia di Salomè di Amelia B. Edwards e Da non prendersi prima di andare a letto di Rose Mulholland), dalla storia canonica alla M.R. James (Furia scatenata di Mary Cholomondeley e I fantasmi del rettorato di Shawley di Ruth Rendell) al ricordo nostalgico (Il traditore di Joan Aiken). I miei preferiti – ve li posso anche dire – sono: lo splendido e grottesco Non dirlo a Cissie di Celia Fremlin, ritratto di un’amica “troppo” invadente; Mare e Amore di Margery Lawrence, sulla lotta tra una moglie innamorata e «quell’antico amante degli uomini» che è il mare; La Preghiera di Violet Hunt (nata nel 1866, autrice di classe e amica, pensate! di Henry James e Joseph Conrad), dimostrazione di come Dio possa far di peggio che ignorare le nostre preghiere; Molto dopo di Edith Warton, un racconto psicologico costruito sul rapporto, esclusivo eppure pieno di cose taciute, tra due coniugi; e infine il sorprendente Il caso di Glover Station, di Willa Cather, infarcito di luoghi comuni e razzisti (il cattivo prima sembra ebreo, poi si rivela un “muso giallo”) eppure diabolicamente ben scritto.
Molto diversi tra loro, i racconti sono però accomunati da qualcosa di indefinibile che li rende sottilmente diversi dalla narrativa “maschile”, una sensibilità per i moti dell’animo – rimpianti, rimorsi, passioni – che li porta al di là (o forse Aldilà, parlando di fantasmi) del meccanismo ben oliato destinato a suscitare il timore. C’è una maggior attenzione ai personaggi, un maggior legame con i gesti e gli oggetti della quotidianità – uomini che scorgono il fantasma nello specchio, mentre si radono, donne che hanno la rivelazione sulla porta di casa o mentre stanno preparando il tè, fantasmi che infestano l’utilitaria usata per accompagnare i bambini a scuola. A incontrare i fantasmi sono spesso donne lasciate sole a fronteggiare l’irrazionale da mariti incapaci di “vedere” o da autorità incapaci di capire. Il revenant, però, non è mai un alieno, anche quando è nemico, più spesso è una visione illuminante, una proiezione del desiderio o del disagio, una creatura infelice da aiutare, l’elemento di rottura di un’unione solo in apparenza equilibrata e felice. E qualche volta (come in Cane nero di Margareth Lively) è una presenza familiare con cui è necessario – per sopravvivere e crescere – venire a patti…
Aa.Vv. Storie di fantasmi, Tartaruga ed. 1998, pp. 466, € 14,00 c/o Delos Store, eBay, cur. Katia Bagnoli, Richard Dalby, Antonella Leoni
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