L’ultima parte del xx e la prima parte del xxi saranno probabilmente ricordate per il feticismo maniacale che accompagna qualsiasi manifestazione del Successo. Il Successo, con la «S» maiuscola, ha raggiunto il medesimo status del denaro, ovvero per antonomasia non olet. Il modo con il quale è stato raggiunto non ha importanza se non per l’industria del gossip e costituisce una condizione assoluta, come la verginità o la gravidanza. Non si può avere «un po’» di successo esattamente come non si può essere «un po’» gravide o «un po’» vergini. Il Successo sia pure in qualche caso limitato a categorie o gruppi, è assoluto o non è.
Il Successo è divenuto un’industria, una forma autonoma di comunicazione. Viene decretato senza, in realtà, che sia necessaria alcuna legittimazione e spesso senza alcun merito o capacità reali. «Di successo» possono diventare musicisti ignoranti di armonia, attori con una dizione catastrofica, atleti poco atletici, scrittori semianalfabeti. Basterà per la major di turno investire sufficienti risorse per avere il tipico «cretino di successo» che piace ai gggiovani. O, con poche mosse accorte, agli anziani, alle casalinghe, ai manager.
Consolerà sapere che improvvise e inspiegabili smanie per artisti, inventori o scienziati non sono esclusive dei tempi nei quali viviamo. È soltanto il loro intenso e capillare sfruttamente commerciale a essere tipico di questi anni.
Paul Collins, ex libraio (un punto a suo favore, per quanto mi riguarda) e divulgatore scientifico ha deciso di raccogliere e presentare le biografie di alcuni uomini e donne «di successo» degli ultimi due secoli e mezzo, uomini e donne nel frattempo completamente caduti nell’oblio. Se è normale che nomi come Delia Bacon, Francis Tupper o John Banvard non dicano nulla al lettore italiano è viceversa piuttosto strano che questo sia vero anche per il lettore americano, visti i giudizi apparsi all’epoca che della prima dicevano: «Insieme a Walt Whitman l’unica scrittrice partorita dall’America degli anni Cinquanta del xix secolo», del secondo «Uno dei tre più grandi poeti in lingua inglese» e dell’ultimo «il più grande pittore americano del xix secolo».
Collins, e noi con lui, si chiede come sia possibile che dei tre artisti appena citati – come di scienziati, filosofi e inventori presentati nel suo libro – si sia persa ogni memoria, tanto che rintracciare esemplari o testimonianze delle loro opere è impresa quasi disperata.
Qual è stato il motivo del loro successo? E, reciprocamente, che rapporto ha questo con il loro successivo oblio? Domande che potrebbero apparire oziose, ma che si rivelano viceversa preziose per afferrare appieno la prevalente visione della realtà in certi luoghi e momenti storici e cogliere alcuni elementi di psicologia collettiva.
A conferire ulteriore fascino a questi interrogativi l’inconfessabile gusto per la vertigine della sconfitta, tanto più inaccettabile e oscena nel tempo del Successo a tutti i costi:
Le persone che più disprezziamo sono coloro che avrebbero fatto tutto per riuscire nella vita ma che alla fine non giungono a nulla e non sanno produrre altro che scuse e giustificazioni. Noi non solo distogliamo lo sguardo da queste persone, ma non riusciamo neanche a tollerarne la presenza. […] dietro a ogni individuo che realizza un’innovazione vincente vi sono i perdenti che si sono incamminati lungo una strada analoga ma destinata al fallimento.
John Banvard, alle cui imprese è ispirato il titolo del libro fu un grande pittore di «Panorami mobili», ovvero grandi tele – più sfondi teatrali che veri e propri paesaggi – che, per mezzo di binari e tiranti, venivano esibiti davanti a un pubblico affascinato da questo predecessore del cinematografo. Dedicò all’impresa di rappresentare tutti i paesaggi del fiume Mississipi buona parte della propria vita, giungendo a dipingere diversi e svariati ettari di tela che portò con sé in tournée in America ed Europa riscuotendo ovunque grandissimo successo.
Diventò considerevolmente ricco ma dovette ritirarsi in miseria nell’allora semiselvaggio Dakota per la poco prudente idea di mettersi in concorrenza con P. T. Barnum con la sua Banvard’s Grand Opera House and Museum, tentativo grande ma rovinoso di coniugare nello stesso luogo istruzione e divertimento.
A chiudere per sempre l’esperienza dei «Panorami mobili» fu infine l’arrivo del cinema che condannò all’oblio anche gli artisti che dedicarono tempo e ingegno a «divertire istruendo» gli uomini e le donne del loro tempo.
Se la passione di Banvard rasentava la monomania che dire della scrittrice Delia Bacon che letteralmente consumò la vita e la ragione nel tentare di dimostrare che William Shakespeare non è mai esistito e che tutte le sue opere sono state in realtà scritte da Francis Bacon? O dell’inopinato amore per il Bardo di Stratford-on-Avon del ricchissimo creolo Robert Coates, beffardamente ribattezzato «Romeo» Coates, che finì letteralmente per inventare il teatro sperimentale anche se nell’epoca sbagliata.
Ma non mancano scienziati e inventori nella galleria di Collins, anzi. Dal capitano John Cleves Symmes, sfortunato ma tenacissimo sostenitore della teoria della Terra cava, al generale Augustus J. Pleasenton, scopritore degli immaginari poteri terapeutici della luce azzurra alla metropolitana pneumatica di Alfred E. Beach fino a Jean François Sudre, inventore dell’ormai dimenticata lingua musicale universale.
Un branco di idioti? Di illusi senza speranza? Di idealisti fuorviati dalle loro convinzioni?
Certo, c’è una grande componente di autoillusione nelle convinzioni e nelle azioni dei personaggi presentati da Collins, ma non più di quanta, probabilmente, venne attribuita a uomini di successo che sulla loro personale «follia» costruirono una fortuna o cambiarono il destino del mondo. La differenza tra successo e fallimento può certo essere dovuta alla bontà delle teorie o delle invenzioni in se stesse – in fin dei conti la Terra non è cava e la luce azzurra non ha effetti terapeutici – ma può anche semplicemente essere legata all’audacia prematura di un progetto o alle condizioni storiche sfavorevoli. Così se per il capitano Symmes e per il suo sogno di una Terra fatta di sferoidi concentrici – detto per inciso, un’idea ripresa in forma romanzata da Jules Verne nel suo Viaggio al centro della Terra – possiamo soltanto provare un po’ di simpatia venata di malinconia, non riusciamo a evitare di chiederci se poi i treni pneumatici di Alfred E. Beach fossero un’idea tanto assurda e se a mancare loro non siano stati, in definitiva, un miglior know-how tecnologico e adeguati finanziamenti.
Il «progresso», ovvero il nome che ci piace dare al rapido sviluppo del mondo occidentale dovuto all’uso senza risparmio di risorse non rinnovabili, è fatto da poche strade maestre e da un numero incalcolabile di vicoli ciechi. Ma la dittatura del modello di sviluppo «dissipativo» nato in Europa non è eterna. E potrebbe così darsi che alcuni dei vicoli ciechi tecnologici dimenticati alle nostre spalle finissero per rivelarsi formidabili intuizioni.
Una delle coordinate fondamentali per la misura del successo è il tempo, un elemento che si finisce spesso per trascurare.
Ma le condanne del tempo non sempre sono senza appello e anche l’oblio può non essere definitivo.
Se l’esistenza del tempo può consolare chi non tollera di considerare Adriano Pappalardo, Al Bano o Fabrizio Cicchitto «uomini di successo», a maggior ragione ci aiuta a ridefinire i termini della nostra storia. Il grande pregio del libro di Paul Collins è di riuscire a dimostrare che difficilmente la storia può essere concepita come un elenco rigorosamente separato di «vincenti» e «perdenti». Azioni, passioni e convinzioni umane, anche se sbagliate o fuorvianti, sono essenziali nel definire il campo del pensiero umano. Come scriveva Stephen Jay Gould un «errore fecondo» può essere infinitamente più prezioso di una verità rivelata.
Onore, quindi, agli uomini e alle donne che non hanno avuto successo e sono stati dimenticati:
Ho scritto un libro dedicato a coloro che sono caduti lungo la strada verso la gloria. Ognuno di loro si meriterebbe un’opera a sé stante e mi auguro che prima o poi ciò possa accadere. Per il momento questo piccolo omaggio può essere sufficiente a onorarne la memoria.
Paul Collins, La follia di Banvard
Tredici storie di uomini e donne che non hanno cambiato il mondo
Adelphi ed. 2006, pp. 354, € 20,00, trad. M. Lunari
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