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    Grigio

    Un delitto di mezza estate

    • di Silvia Treves
    • Novembre 21, 2013 a 1:31 pm

    delitto
    In Svezia vivono attualmente un po’ meno di 9 milioni di persone, l’85 per cento dei quali vive in città; la vita media degli svedesi è di 79 anni, il PIL pro-capite circa 31.000 dollari, le donne rappresentano il 42 per cento dei funzionari di alto grado nell’amministrazione, gli immigrati, accettati senza conflitti sin dagli anni cinquanta, il 20 per cento. Questa Svezia, dove un efficientissimo stato sociale convive tranquillamente con l’espansione industriale e il capitalismo, è lo sfondo del lungo e abbastanza godibile giallo di Mankell. Protagonista, ancora una volta è l’ispettore Wallander, personaggio di una serie televisiva anche da noi abbastanza fortunata (io non ne ho mai visto un episodio, quindi se non altro non potrò farmi influenzare dalla resa televisiva dei personaggi).
    La complessa indagine di Wallander e collaboratori prende il via con l’omicidio di un collega, Swedberg, affidabile e apprezzato, del quale però, a conti fatti, i poliziotti scoprono di sapere ben poco. Viveva da solo, frequentava un paio di cugini, aveva l’hobby dell’astronomia… ma poi? Amici? amanti? Mah. E perché Swedberg ha usato le sue ferie per indagare sulla sparizione di alcuni giovani, il giorno della festa del Solstizio d’estate? È una storia banale: dopo qualche giorno di silenzio, le preoccupatissime famiglie hanno ricevuto una bella cartolina dagli incoscienti: «Siamo in viaggio di piacere in Europa, prima o poi torniamo, state tranquilli». L’unica madre che continua ad assillare i poliziotti, sostenendo che la sua cartolina non è stata scritta dalla figlia è probabilmente un po’ isterica e stressata… Qualche giorno dopo l’omicidio di Swedberg, però, i giovani ricompaiono, cadaveri anche loro, composti in una radura in una macabra «Colazione sull’erba». Opera di un pazzo, ovviamente, che continua a imperversare uccidendo solo persone in costume… L’indagine segue tutte le vie possibili, fornendo agli investigatori l’occasione di esplorare ambienti e di conoscere persone e per essere il solito serial killer, il colpevole è un caso umano abbastanza interessante. Il romanzo è lungo e talvolta procede al rallentatore, frantumandosi in dettagli e lunghi e poco produttivi giri di opinioni dei poliziotti per «fare il punto della situazione», ma ha alcuni buoni passaggi drammatici e un finale in crescendo. Da citare il tormentone delle condizioni di salute di Wallander, prediabetico e sovrappeso ma troppo preso dal lavoro e troppo poco motivato (ha concluso da poco una importante storia d’amore) per curarsi: Wallander è disidratato e beve mezzo litro di minerale, Wallander ingoia voracemente un hamburger invece di seguire la dieta del medico, Wallander non si presenta all’appuntamento con il dottore… insomma Wallander è uno come noi, pasticcia con la salute e si trascura, ma dobbiamo sorbircelo così.

    Henning-Mankell

    Henning Mankell

    Merita invece riflettere sulle molte riflessioni sullo stato del paese che Mankell dissemina lungo la sua storia ponderosa: «[…] ho iniziato a chiedermi che cosa stessi veramente facendo. Apro il giornale al mattino e leggo che dei colleghi della centrale di Malmö sono stati arrestati per ricettazione. Accendo il televisore e sento che il direttore generale del corpo di polizia si muove nei pantani della malavita organizzata […] mi chiedo se riuscirò a continuare a fare questo mestiere per altri trent’anni» dice Ann Britt, una delle collaboratrici di Wallander. E l’ispettore, riferendosi all’aggressione particolarmente cruenta e immotivata di due ragazzini a un coetaneo: «[…] a quei ragazzi non è mai stato insegnato cosa sia il rispetto per gli altri. È come se un’intera generazione fosse stata abbandonata dai propri genitori. Oppure è come se avessimo deciso che fregarsene sia diventata una norma fondamentale della nostra vita».
    So bene che frasi del genere stanno ugualmente bene sulla bocca di un progressista preoccupato o dietro il sorrisino di Charles Bronson nella sua ennesima personificazione del giustiziere della notte. Però Mankell dà più l’impressione di appartenere alla prima categoria che non alla seconda e fa persino sorridere nell’ansia di essere politicamente corretto, di ribadire i diritti delle donne (che svedesi sanno difendere molto bene) e quelli della minoranza gay. Curiosamente nel libro non vi è traccia del milione e ottocentomila immigrati (20 per cento della popolazione) di prima o seconda generazione che abitano attualmente in Svezia e che, per quanto ben tollerati (soprattutto ora che l’economia tira), hanno sempre uno status ambiguo: «Tu ce l’hai la macchina?» ha domandato durante un dibattito televisivo un giovane immigrato a un coetaneo svedese. «Sì certo». «E perché io non ce l’ho?».
    Naturalmente, partendo dal presupposto che l’auto non sia un bene fondamentale, si potrebbe invece chiedere al ragazzo svedese: «E perché tu devi possedere un’auto?». Ma, parlando di pari opportunità, perché il giovane immigrato non ce l’ha? Riusciremo a scoprirlo leggendo un prossimo giallo di Mankell (in questo, Wallander non incontra nemmeno un immigrato. Dove si nasconderanno, benedetta gente…)?

    Henning Mankell, Delitto di mezza estate
    Marsilio, «Tascabili», 2010, ed. or. 1997, 608 pp., € 12,5o, trad. G.Puleo

     

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