L’Universo in un guscio di noce, titolo di un famoso saggio di Stephen Hawkins sarebbe estremamente appropriato per questo delizioso libretto, che raccoglie le esperienze di giardinaggio di Karel Čapek, così come l’autore le narrava giorno per giorno, nella rubrica tenuta per «Lidové Noviny», il quotidiano della borghesia intellettuale ceca. Illustrati dal fratello Josef e pervasi da una vena di umorismo benevolo e surreale, i brevi capitoletti sono scritti con sapienza e un uso ammirevole della lingua, e riescono nel miracolo di racchiudere il Cosmo, la Madre Terra e il mondo interiore del giardiniere (nonché della sua famiglia e dei suoi vicini) in una zolla di terra.
L’Universo del giardiniere, ci racconta l’autore, si fonda su cose piccole, grumi di terriccio, molecole d’acqua, grani di sali minerali; tutto comincia dai semi:
alcuni somigliano a tabacco da fiuto, altri a pidocchi chiarissimi e fulvi, altri a pulci lucide e sarlatto scuro, senza zampette; altri sono piatti come monetine, altri grassi e rotondi […] alati, spinosi, lanuginosi, glabri e pelosi; grandi come scarafaggi, o piccoli come pulviscolo solare.
Il frutto del suo lavoro è continuamente minacciato da minuscoli e perfidi parassiti: i pidocchi, che prosperano soprattutto durante i trattamenti per sterminarli, la peronospora, la lumaca… Il suo mondo è scandito dal tempo, diverso da quello dei comuni mortali, perché il giardiniere vive nel futuro: mentre semina, già vede le piantine e i boccioli:
in gennaio il giardiniere soprattutto coltiva il tempo […] il tempo passa sempre da un eccesso all’altro. La temperatura non corrisponde mai alla temperatura media del secolo; o è cinque gradi al di sotto o è cinque gradi al di sopra […] Se piove teme per i suoi fiori alpini, se è secco pensa con dolore ai suoi rododendri e alle sue andromede.
Insidiato dalle gelate, sconquassato dalla grandine, riarso dalla siccità di luglio, il mondo del giardiniere riesce comunque a produrre cespugli ombrosi, alberi alti, soffici tappeti d’erba, splendidi fiori. Ma le minacce sono sempre dietro l’angolo. C’è l’invidia dei vicini, la sollecitudine inesperta di zelanti aiutanti improvvisati e, soprattutto, la famiglia del giardiniere, che si ostina esasperata a ritenere le stanze spazi in cui vivere e non contenitori invernali di piante da tenere ermeticamente sigillate per non far penetrare il freddo. Perfino la vegetazione eccessivamente lussureggiante del giardino accanto minaccia il mondo armonioso del giardiniere. Se ne avesse il potere, egli farebbe delle leggi adeguate:
Tra le altre cose emanerei il cosiddetto Editto dei Lamponi. Consisterebbe nel divieto a tutti i giardinieri, sotto la pena dell’amputazione della mano destra, di piantare i lamponi vicino alle siepi […] Il lampone striscia sotto terra alla distanza di metri; nessuna siepe né muro, né fossato, e nemmeno il filo spinato o un cartello di divieto lo ferma; poi vi cresce un fusto in mezzo ai garofani o alle enotere, e provate a parlare con lui!
Il giardiniere è una creatura ben strana; intanto non è figlio della natura: se lo fosse, seguendo le leggi dell’adattamento all’ambiente,
starebbe appeso alla vita a dondolarsi sulle proprie colture, o almeno avrebbe quatto mani e su di esse un a testa con un berretto e niente più; o avrebbe arti pieghevoli come il cavalletto della macchina fotografica.
De resto il giardiniere al lavoro, piegato sulla propria aiuola, non ha un aspetto umano; di lui si vede soltanto «il sedere, tutto il resto, come la testa, le braccia e le gambe, sono semplicemente al di sotto». Il mestiere del giardiniere è duro è pericoloso; occorre trasportare grandi pesi (anche 40 annaffiatoi pieni), oppure lottare con idranti imbizzarriti che tentano di strangolare il giardiniere come un boa, per fino i rapporti con il Divino, sono complesse e scanditi da richieste precise come un contratto di lavoro:
Signore Iddio fa’ che ogni giorno piova più o meno da mezzanotte fino alle tre del mattino, e sai, una pioggia lenta e tiepida perché si possa assorbire…
E se il mondo fosse giusto, il giardiniere sarebbe estremamente longevo, e vivere almeno millecento anni per poter vedere gli esiti delle proprie fatiche.
Divertente, lieve e immaginifico, L’anno del giardiniere regala a chi ama mettere le mani nella terrav la soddisfazione di riconoscersi (io, ad esempio, appartengo alla genia dei coltivatori di cactus) e di prendersi un po’ in giro; sono certa, però, che leggendolo, anche il più riottoso di voi avrà il desiderio di provare a far nascere una piantina.
Ma Karel Čapek non fu soltanto l’amabile e saggio giardiniere. Nato nel 1890 in Cecoslovacchia, fu giornalista, poeta, scrittore e autore teatrale, spesso in collaborazione con il fratello maggiore Josef. Raggiunse la fama internazionale con il secondo lavoro teatrale, il dramma fantscientifico R.U.R. (Rossumovi univerzální roboti – I robot universali di Rossum) da cui proviene il termine Robot. Scrisse anche novelle e racconti, nelle quali spesso esplorò il tema dell’uso irresponsabile della tecnologia, Oppositore del nazismo, non ottenne, come anche Josef, il permesso di lasciare Praga mentre si profilava l’ombra della Seconda guerra mondiale, Morì di polmonite tre mesi prima che i nazisti invadessero Praga. Ignorando la notizia della sua morte, i nazisti andati a casa sua per arrestarlo, vi trovarono solo Josef, che morì in un campo di concentramento.
Čapek è considerato uno degli autori più importanti della sua epoca, sia per la produzione artistica sia per le posizioni politiche. La sua influenza come narratore di distopie e studioso delle possibili evoluzioni future della società dura tuttora, come dimostra questo interessante post narrativo che ho trovato in Rete. Vale la pena di leggerlo.
Karel Čapek, L’anno del giardiniere
Sellerio 2008, pp. 196, € 12,00
trad. e cura di D. Galdo
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