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    Aria

    Nelle polverose, gelide e labirintiche sale…

    • di Consolata Lanza
    • Ottobre 16, 2006 a 6:29 pm

    mionomerosso

    Famosissimo in patria, tradotto in venticinque lingue, premiato al Grinzane Cavour e con sei titoli in italiano, in Italia Orhan Pamuk, nato a Istanbul nel 1952, è noto soprattutto per il processo (poi sospeso) che lo vedeva accusato di denigrazione dell’identità nazionale, per avere scritto del genocidio degli armeni perpetrato dai turchi durante la prima guerra mondiale.
    La vicenda si svolge in pochi giorni dell’inverno del 1591, in una Istanbul fredda e nevosa. Dopo dodici anni trascorsi viaggiando nelle province dell’impero come scrivano al servizio dei pascià, Nero ritorna alla capitale e si reca nella casa di Zio Effendi, dove ha trascorso la giovinezza e si è innamorato della bella cugina Ÿeküre, mai dimenticata. Zio Effendi è un famoso miniaturista anziano che sta realizzando un libro segreto per volontà del Sultano, e per questo ha radunato un gruppo di giovani e bravissimi artisti, Farfalla, Cicogna, Oliva e Raffinato Effendi. Ma Raffinato Effendi è stato ucciso, e il libro è circondato da una fama sulfurea. Nella casa del padre vive anche Ÿeküre, vedova presunta di un soldato mai tornato dalla guerra, e i suoi due figli bambini, Ÿevket e Orhan. Da questo nodo la narrazione si sviluppa su due linee: da una parte l’amore di Nero per Ÿeküre, dall’altra la ricerca dell’assassino nell’ambiente dei miniaturisti. In capitoli alternati i numerosi personaggi, tra cui anche i morti, oggetti e colori, narrano in prima persona la loro parte di storia. Ben presto si delinea il conflitto di fondo che riguarda due diverse concezioni del disegno. Zio Effendi ha viaggiato in Occidente, conosce le opere dei maestri europei, ha sviluppato una visione eretica in cui entrano i concetti di ritratto, prospettiva, copia dalla realtà, e il libro che sta realizzando in segreto puzza di blasfemia e satanismo. Per la scuola tradizionale, sotto la guida dell’anziano Maestro Osman, l’arte è possibile solo come ripetizione dei modelli degli antichi maestri di cui ci si raccontano ossessivamente la vita e le opere famose ma raramente viste di persona, illustrazioni di storie, oggi dimenticate, che allora tutti conoscevano. Essi disegnavano attraverso gli occhi di Allah: un maestro non ha bisogno di vedere quello che dipinge. Impossibile rendere lo spessore, la ricchezza, l’erudizione interiorizzata e trasformata in parole concrete, i racconti favolosi e ingenui, l’affascinante fantasmagoria di queste pagine in cui i vari miniaturisti raccontano la propria arte, carica di significati mistici e insieme umile, disinteressata alla gloria perché il miniaturista non firma, diventa famoso per la sua maestria ma rifugge dallo stile personale, e il punto di arrivo della sua carriera è la cecità, supremo dono di Allah. Lo scontro tra le due scuole, sullo sfondo di una città in cui si agitano torbide derive integraliste, produce altri morti. Le pagine in cui Nero e Maestro Osman, rinchiusi nelle polverose, gelide e labirintiche sale del palazzo imperiale dove è conservato il tesoro dei sultani, riportano alla luce libri meravigliosi sepolti da decenni nelle casse di ferro, sono indimenticabili. Suscitano un desiderio, una nostalgia irreprimibile di vederli, toccarli, perché sono oggetti unici, prodotti dal lavoro manuale di calligrafi, miniaturisti, doratori, che vi hanno riversato la loro arte sublime e paziente.
    In parallelo si muovono due straordinari personaggi femminili. Ÿeküre è una donna molto intelligente, bella, molto desiderata e molto energica nella sua ricerca di una protezione maschile per sé e i suoi bambini. Madre carnalissima, giocosa, conosce bene la vita malgrado la segregazione, sa muoversi e non disdegna le cose del sesso che domina senza sentimentalismi. Se gli uomini sono troppo presi dalle loro passioni intellettuali, lei sa come usarli senza cinismo. Non è detto che Nero per lei sia proprio l’amore, ma è quanto la vita le offre. Veramente un personaggio vivo, credibile, e attraente. Per ammissione dell’autore è autobiografico, vi ha riversato i ricordi di sua madre e della sua infanzia, non a caso uno dei bambini si chiama Orhan. L’altra donna è Esther, venditrice di corredi, mezzana e postina d’amore, ebrea e quindi libera di muoversi nella città con il suo fagotto di sete e fazzoletti preziosi. Né solo mercenaria né solo amica delle donne, corre da una casa all’altra carica della sua umanità e necessità di vivere, di cavarsela come meglio può.
    Alla fine anche il mistero dell’assassino si risolve, ma non è tutto sommato così importante, e forse è la parte che convince di meno.
    Generalmente evito di entrare in quest’ordine di idee, ma Il mio nome è rosso spinge a una triste riflessione. Perché le classifiche di vendita sono sempre intasate da titoli, diciamo così, più che modesti e un libro di questa profondità non le sfiora neppure? Certo non è un libro facile, richiede lo sforzo di entrare in una tematica apparentemente lontana, ma oltre a essere molto bello è appassionante, tocca argomenti di grande attualità e merita di essere conosciuto al di fuori della piccola cerchia dei soliti lettori forti.

    Orhan Pamuk
    Il mio nome è rosso
    Einaudi Supercoralli, 2001
    pp, 450, € 19,63
    trad. di M. Bertolini e S. Gezgin

    idem, Einaudi Super ET, 2005, € 13,50

    idem, Einaudi Numeri Primi, 2012, € 15,00

    idem, Einaudi EBOOK, 2013, € 6,99

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