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    TerraNova

    L’orizzonte dell’ultima Otranto

    • di Franco Pezzini
    • Marzo 16, 2012 a 7:09 pm


    Non è un paese per fantastici? – 3

    [Nel nostro dibattito sul fantastico italiano è inevitabile a un certo punto confrontarci con una questione in fondo connessa: e cioè la vocazione dell’Italia a costituire sfondo adeguato e anzi peculiare per storie fantastiche, nell’accezione più ampia del termine. Un tema che, per l’immaginario moderno, rimonta idealmente alle Italie virtualissime ed esotiche del primo gotico, fitte di vilain machiavellici, oscuri crimini e spettri del passato; e anzi proprio il rapporto tra una simile visione dall’esterno e le fantasie di scrittori nostrani ha condotto nel tempo a un intero atlante italico del sogno e dell’incubo, che varrebbe la pena organizzare in baedeker. Con questa chiave di lettura si ripropone un pezzo apparso in origine in LN 41/2007 su un bel romanzo di Flavio Santi, L’eterna notte dei Bosconero per Rizzoli, 2006, che sintetizza idealmente il lascito romantico e suggestioni a noi assai più prossime. E insieme provoca a rammentare quali Italie del fantastico abbiamo incontrato nei nostri itinerari per libri, e quali incalzeremmo se a nostra volta dovessimo ambientare nel Belpaese qualche simile fantasmagorica avventura. Il seguito naturale di questo articolo starà dunque nelle suggestioni e negli spunti che vorrete parteciparci. F.P.]

    Per l’odierno lettore italiano di storie d’orrore può non essere scontato rammentare come proprio il nostro Paese, trasfigurato esoticamente nell’evo del Grand Tour, rappresentasse uno sfondo estremo e corrusco adatto ai brividi gotici. Se in seguito le terre perigliose si distanzieranno via via spazialmente (le vaghe Ungherie di Stiria e Transilvania, il predatorio Oriente), radicandosi contemporaneamente e in modo sempre più profondo nelle plaghe interiori, il passo ancora successivo non potrà essere che l’emersione del terrore nella geografia quotidiana. Di qui i castelli d’Otranto dei nostri giorni, Indie ultime dell’anima in cui il genius loci ha spesso un ruolo di comprimario: nel nostro specifico, Italie che attraverso svariati modi e generi – ma tutti virtualmente eredi del grande momento gotico – concedono altrettanto alle oneste inquietudini del tempo che a un mercato affamato di fantastico.

    Danilo Arona

     

    Basti pensare alla dark fantasy di Ánghelos, dell’esordiente Alessia Rocchi per Rizzoli (2006), dove il cupo Mezzogiorno caro a Walpole – e più precisamente il Beneventano del X secolo – costituisce lo sfondo degradato e torbido di un pulpsovrannaturalistico con caratteri, emozioni e posture volutamente eccessive e improbabili: pur con qualche imperfezione da prima prova il testo, tra streghe e sacrifici umani, presenze angeliche e vampiri, presenta una simpatica efficacia di genere1. Oppure al thriller orrifico Dracula2della misteriosa cagliaritana Lucy D. per i tipi Barbera (sempre 2006), favola di orrendi crimini in una Sardegna di discoteche, laboratori di ricerca e letti sfatti, che però è soprattutto uno scenario interiore di deriva psicologica e assenza di senso. Più nettamente virata sull’horror, la saga thriller-apocalittica di Geniadi Gianfranco Nerozzi (ultima puntata uscita Resurrectum, alla fine del 2005 per i tipi Flaccovio3), insanguina l’Italia centrosettentrionale tra parrocchie, fabbriche alimentari e non-luoghi ospedalieri o balneari nei quali sedimenta l’esperienza del male; mentre la Lombardia dell’archeologia industriale (Crespi d’Adda, il paese Fabbrica e Cimitero, ma anche la Milano del Navigli) conosce la raggelante invasione di zombie di Magia Rossadi Gianfranco Manfredi, gioiello orrifico uscito in origine negli anni Ottanta e ora felicemente riedito (Gargoyle 2006) con una bella postfazione dell’Autore – una delle più efficaci parabole fantastiche sugli incubi sociali e politici di una  stagione della storia italiana. Per venire, magari, al rapporto geografico appassionato e paradossale della migliore ghost story degli ultimi anni, Cronache di Bassavilladi Danilo Arona (sempre Flaccovio, 2006, cfr. LN38, pag. 155): dove la geomanzia della nebbiosa provincia piemontese proietta frantumate presenze dal lungo Tanaro degli annegati al più virtuale dei luoghi, gli schermi di internet.

    E d’altro canto piace constatare come una simile ricerca di sapori – Slow Horror, si potrebbe definirlo – non si sia fermata al mondo della scrittura ma proceda parallelamente nel cinema (etichettato come) «minore»: un cinema erede del resto di una scuola illustre di terrori e misteri tutti italiani, capaci un tempo di felici irruzioni persino sui censuratissimi schermi televisivi (indimenticabile, per la generazione di chi scrive, resta per esempio la Roma barocca e byroniana de Il segno del comando). Così, solo per gli ultimi anni, merita ricordare Io sono un vampiro, di Max Ferro, 2001, dove i non-morti frequentano i Murazzi e il Quadrilatero romano di Torino rievocando però fosche pagine di storia sabauda settecentesca, tra nobili libertini e preti dal paletto facile; Custodes Bestiaedi Lorenzo

    Porta Palatina – Torino

    Bianchini, 2004, in cui un’antica vicenda di accuse di stregoneria e connubi contronatura suppura con esiti imprevisti nel Friuli contemporaneo; o ancora H. P. Lovecraft’s Road to L. – Il mistero di Lovecraftdi Roberto Leggio e Federico Greco, 2005, che vede un giovane regista seguire con fin troppo successo le tracce dell’ipotetico viaggio di HPL nel Polesine di arcani culti acquatici.

    Con un tale atlante sullo sfondo, è dunque delizioso ritrovare l’Italia del primissimo gotico in un romanzo di fine 2006 per i tipi Rizzoli, L’eterna notte dei Bosconero di Flavio Santi, già apprezzato traduttore, poeta e narratore – che infatti varca i limiti del genere per intonare il linguaggio dell’ottima letteratura. E la confessione di Goethe morente su un’allucinante avventura occorsagli nel 1787, custodita come indicibile e sublimata nelle inquietudini del Faust, spalanca una Sicilia febbricitante di aristocratici malati, vampiri e ambiguità illuministiche.


    È sera quando, in una famosa osteria di Palermo, il poeta in incognito interpella gli avventori su quale stemma baronale sia il più temuto, e a rispondergli si alza un misterioso narratore: inizia così il resoconto di bizzarrie e miserie del casato Bosconero di Alimena, e in particolare del barone Federico, strana figura di narcolettico inabissato in invincibili amnesie. Proprio la realtà frantumata del suo orizzonte psichico, l’accavallarsi ipnotico di sensazioni elusive, questioni irrisolte, visioni spezzate nel delirio, scandisce e sperde continuamente il racconto in uno sghembo puzzle che presto abbracciauna coralità di volti e vicende. Mentre alle spalle, come a provocare il santino ostentato dei Lumi, si dipana un’impressionante sequela di atroci delitti, con la disturbante descrizione dei corpi ritrovati, lo smarrimento diffuso e le fantasiose spiegazioni via via incalzate: a partire da quella sull’immensa piovra che svolazzerebbe sopra i tetti di Palermo, immagine archetipica che ben prefigura ogni tentacolare concretizzazione odierna.

    Johann Wolfgang Von Goethe

    Lentamente il povero Goethe cade irretito dalla fabulazione, e le tre parti del romanzo segnano la sua progressiva deriva dalla notte del sole a quella dell’anima. Come del resto accade a Nervetta, la bambina-bambola di nobile famiglia, forse indemoniata, che gioca a perdersi nel proprio enorme palazzo; o al lettore stesso, sempre più smarrito. Che avanza a tentoni attraverso continue ipotesi su fatti e connessioni – e l’inquietante narratore ammicca, sembra anzi suggerire pallide conferme, salvo poi sempre sfuggire alla presa. Ancora una volta l’orrore passa attraverso la rifrazione, e furibonde duplicazioni e giochi di specchi, più o meno deformanti o rivelatori, sciabolano in tutto il testo. Attraverso il sabba burattinesco di un’intera galleria di personaggi equivoci (nobili e magistrati, medici e prostitute, ecclesiastici e uomini-specchio), tra miti locali, ricordi sfuggiti, indagini inconcluse in una terra alla deriva di ogni logos tranquillizzante, gli orrori si fanno via via sempre più improbabili e demoniaci: e il ritrovamento del narratore perduto e l’incontro con lo stesso Federico Bosconero costituiranno per Goethe la rivelazione di un mysterium iniquitatisforte delle sue stesse amnesie, che se la ride di ogni presunta possanza della ragione.

    Speciale menzione merita il torbido impasto linguistico col quale Santi doma le fantasie più convulse, rielaborando dialettismi e fucinando parole-chiave ossessivamente ricorsive; ma al di là del gioco nero dell’apocrifo e dei fasti letterari sui vampiri, un’amara serietà trasuda dalla prova, palcoscenico di allarmate riflessioni sulla superficialità di tanti ottimismi.

    ______________________

    1 Più tardi uscirà un seguito, Ánghelos. Il libro oscuro di Dracula, Castelvecchi 2010, e pare che un successivo volume sia in preparazione per chiudere la trilogia.
    2 In seguito reintitolato Sex Dracula.
    3 Ma tematicamente contigua all’altra serie Cry-Fly, raccolta in ultimo in forma riveduta e aggiornata nel volume Cry-Fly Trilogy per Urania, 2008.

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