Infanzia berlinese intorno al millenovecento, di Walter Benjamin (Einaudi 2002, 2007), è la testimonianza lucidamente progettata di un mondo e di un modo di vivere, quello della borghesia intellettuale ebraica tedesca, condannato alla cancellazione dal nazismo. Iniziato da Benjamin nel 1932, il libro fu completato in momenti successivi, aggiungendo, rivedendo, eliminando ciò che, eventualmente potesse annacquare l’intensità visionaria dei ricordi, tanto che almeno quattro versioni si susseguirono in pochi anni, senza trovare mai un editore. A partire dagli anni cinquanta vennero pubblicate versioni parziali (la prima preparata da Theodor W. Adorno) ma soltanto nel 1988 venne ritrovata la versione, considerata definitiva, che Benjamin aveva affidato a Georges Bataille fuggendo da Parigi e finalmente pubblicata da Einaudi. Le vicissitudini dell’autore e quelle editoriali del libro sono testimoniate anche dalla postfazione di Adorno e dal bel saggio di Peter Szondi che accompagnano questa edizione, che, entrambi, fanno riferimento a versioni differenti e più brevi del testo.
Infanzia Berlinese non nasce, dunque, nel territorio neutrale della letteratura e della memoria ma in quello incalzante della storia presente e del suo impatto sulla vita di ognuno:
Le immagini che il libro infatti fa emergere fino a una sconcertante vicinanza, non sono né idilliache, né contemplative. Su di loro si stende l’ombra del Reich hitleriano. Come in sogno, congiungono l’orrore che questa suscita a ciò che è stato.

Walter Benjamin
Portati fino a noi da una scrittura sobria, ma estremamente curata e alta, i ricordi divengono per Benjamin, traduttore di Proust e come lui affascinato dal passato e dalla memoria, non soltanto un modo di ricongiungersi al proprio io di un tempo, ma uno strumento per indagare il futuro; non il futuro, che sa breve, dell’adulto minacciato da un potere e da una violenza che stanno già cambiando il volto dell’Europa, ma il futuro del bambino di allora, che il tempo ha trascinato con sé fino al presente, e trasformato nell’adulto che ricorda. È il ricordo a confermare e garantire l’uomo.
E nel ricordo, Berlino è un mondo tutto da scoprire, fatto di logge fresche che odorano di antico affacciate sui pozzi dei cortili, di libri della biblioteca scolastica assegnati dal maestro, di mattine d’inverno che iniziano con il primo calore della stufa e il profumo della mela cotta della colazione, delle visite a zie antiche e distaccate e alle loro domestiche tanto più «reali», di luoghi importanti come il mercato o il Kaiserpanorama, dai nomi storpiati nel linguaggio dell’infanzia, della casa «cosmopolita» della nonna materna, spesso in viaggio verso luoghi remoti, delle sue stanze piene di ricordi di viaggio:
Con quali parole definire il quasi immemorabile senso di sicurezza borghese che emanava da quell’appartamento?
dell’albero di natale sulla veranda, ogni giorno più ricco e dell’incontro con la miseria dei poveri venditori di ornamenti natalizi. Berlino di sera nelle uscite con la madre verso il mercato del quartiere, Berlino invernale ritrovata all’uscita della piscina, e la sosta inevitabile e già colpevole davanti alla vetrina negozio di cancelleria con i giornalini di Nick Carter: «Io però sapevo dove, sullo sfondo, dovevo cercare le opere più sconce».
Sospesi tra realtà e sogno, ritrovati e forse già perduti nel ricordo, la città e l’infanzia, il passato e il domani di allora, anch’esso già trascorso, abbracciano il lettore come acqua di un fiume. Infanzia berlinese si può leggere con l’attenzione ben desta di chi vuole capire, ma forse non è tradimento scivolarvi dentro, abbandonarsi, aprirsi a comprendere.
Walter Benjamin, Infanzia berlinese intorno al millenovecento, Einaudi 2007 (2002), cur. Enrico Ganni, contributi di Peter Szondi, postfazione di Theodor W. Adorno, pp. 154, € 16,00
Idem ebook, 2015, pp. 160, € 6,99
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