In prossimità dell’ultima lezione della Libera Università del Fantastico pubblichiamo qui con legittima soddisfazione la prima parte dell’intervento di Franco Pezzini, docente di assoluto rilievo della materia. La seconda parte del capitolo verrà presentata il 21/3 presso l’Ostu, via C. Colombo 63. Non mancate!
Attraverso le fiamme dell’inferno
(Dracula, sull’inizio del cap. 27)
Il giorno 21 marzo prossimo terminerà alla Libera Università dell’Immaginario di Torino il percorso di studio TuttoDracula iniziato nel novembre 2012, con analisi capitolo per capitolo del capolavoro di Stoker (anche se sono in programma alcune appendici con amici esperti in date da definire). Il tentativo di full immersion in un’opera vittoriana ha condotto ora ad affrontare temi specifici del gotico, ora a incontrare temi ed elementi (letterari, scientifici, tecnici…) di quella “modernità” ormai lontana; e la presenza di ospiti, ma anche di un gruppo di iscritti – vari dei quali scrittori – di straordinaria vivacità, ha reso l’esperienza estremamente ricca. Se per le prossime iniziative si rinvia alla pagina https://www.facebook.com/LiberaUniversitaDellImmaginario, una nuova avventura di analisi continuativa su un testo è in programma per l’autunno in occasione del bicentenario della nascita di Joseph Sheridan Le Fanu – e tratterà ovviamente Carmilla.
Alla fine della penultima puntata di TuttoDracula, quella relativa al cap. 26, si è già iniziato a introdurre il successivo – tanto denso di eventi; e di queste prime pagine del cap. 27 conclusivo del romanzo si riporta qui di seguito un rapido esame. Per le citazioni dal Dracula, dove non diversamente esplicitato, mi rifarò alla traduzione del grande Luigi Lunari per l’edizione Feltrinelli, Milano 2011 (cfr. qui). F.P.]
1° novembre
Alla luce di tutta una simbolica di calendario, non è forse un caso se la conclusione del Dracula resti nella zona di attrazione dell’ennesima festa di ombre dopo la Notte di Valpurga (evocata nel racconto-frammento Dracula’s Guest) e quella di San Giorgio (richiamata nei primi capitoli del romanzo), cioè Ognissanti; ed è introdotta dalla voce che meglio restituisce il pathos della situazione, quella di Mina ormai infetta.
Mentre i compagni, via fiume e a cavallo, inseguono l’imbarcazione che reca la cassa del Conte, Mina e Van Helsing muovono verso il Castello attraverso una regione selvaggia fuori dai percorsi ferroviari, e dunque in carrozza. Nel momento in cui la giovane registra questa porzione di diario hanno però viaggiato tutto il giorno a buona andatura, e senza inconvenienti anche nei frequenti cambi di cavalli. Van Helsing non racconta granché alla gente con cui viene in contatto, spiega solo di dover correre a Bistritz e paga bene: il tempo appena di recuperare qualcosa di caldo, e poi ripartono per quella terra bellissima, abitata da gente che fa a Mina un’ottima impressione – anche se tutti appaiono molto superstiziosi. Già alla prima sosta, infatti, la cicatrice sulla fronte di Mina [quella lasciata dal contatto con l’ostia consacrata] ha spinto una donna a segnarsi e poi puntare le dita a mo’ di antimalocchio. “Credo che si siano dati addirittura la pena di mettere una dose extra di aglio nel nostro cibo; a me che l’aglio proprio non lo sopporto” (“I believe they went to the trouble of putting an extra amount of garlic into our food, and I can’t abide garlic”): sarebbe interessante sapere se questa ripugnanza è spuntata (o aumentata) da quando Mina è infetta, ma la frase resta ambigua – forse volontariamente. Comunque l’episodio la spinge per il prosieguo a tenere cappello e veletta per celare quel marchio che terrorizza gli abitanti; e la mancanza di un cocchiere che inventi storie mette al riparo la strana coppia da malignità e maldicenze, “anche se ho sentito dire che il malocchio ci perseguiterà per tutto il viaggio” (“But I daresay that fear of the evil eye will follow hard behind us all the way”).
Comunque “Il professore è instancabile”: fa dormire Mina per un bel po’, e durante il giorno non prende soste. Al tramonto poi la ipnotizza [per sfruttare la comunione mentale di Mina col vampiro negli unici momenti che rendono possibile un passaggio di informazioni]; ma in seguito dovrà ammettere che il messaggio non è sostanzialmente cambiato dai giorni precedenti – “Buio, sciabordio d’acqua e scricchiolio di legni” –, a suggerire che la cassa di Dracula sia ancora sul fiume. Mina ammette che non osa pensare a Jonathan, “ma in questo momento, non so perché, non ho paura per lui, e neanche per me” (“I am afraid to think of Jonathan, but somehow I have now no fear for him, or for myself”).
Mina sta scrivendo durante la sosta dell’ennesimo cambio cavalli in una fattoria, e Van Helsing si concede una pennichella: intenerita dalla sua stanchezza e dall’età, Mina nota però come sveli un’aria “da conquistatore; anche nel sonno ha un’istintiva espressione di determinatezza” (“Poor dear, he looks very tired and old and grey, but his mouth is set as firmly as a conqueror’s. Even in his sleep he is intense with resolution”). Si noti che descrizioni visive del volto di Van Helsing, relativamente frequenti durante il caso di Lucy, in seguito non erano più riemerse, nel contesto concitato della caccia alle casse del vampiro: mentre ricompaiono qui, a marcare per l’ennesima volta la contrapposizione tra i due anziani condottieri, Dracula e appunto il professore. Comunque Mina insiste perché anche alla ripartenza lui possa riposare, guiderà lei – del resto hanno parecchi giorni davanti, e il professore non può permettersi di crollare proprio nel momento in cui più occorre la sua energia.
2 novembre
Mattina. Mina annota soddisfatta di essere riuscita a convincere Van Helsing: facendo i turni hanno viaggiato tutta la notte. Ora il giorno è sereno ma molto freddo, e avvertono una strana oppressione. All’alba il messaggio ipnotico riportava come unica variante la percezione del rumoreggiare dell’acqua – il corso del fiume sembra insomma mutare man mano che la barca lo risale. Il pensiero di Mina corre a Jonathan, e ai pericoli che può correre.
Sera. Hanno viaggiato tutto il giorno, e attraverso la campagna ora i picchi dei Carpazi “ora sembrano torreggiare davanti a noi e circondarci da presso” (“now seem to gather round us and tower in front”). Probabilmente per tenersi su a vicenda, i due viaggiatore riescono a essere di buon umore, e Van Helsing pensa di arrivare a Borgo Pass per il mattino. Ormai le case sono poche, e sarà impossibile cambiare i cavalli – ne ha procurati un paio in più e così dispongono di un tiro a quattro. Visto che non ci sono altri viaggiatori a rendere il traffico complicato, anche Mina guida senza problemi: in ogni caso non vogliono arrivare a Borgo Pass prima della luce, per cui se la prendono comoda con turni di riposo.
Certo, Mina ha chiarissimo che stanno andando nel luogo terribile in cui suo marito ha tanto sofferto, e chiede ancora la protezione di Dio sui propri cari. Per quanto invece la riguarda, si sente indegna di presentarsi “a Lui. Ahimè! Io sono infetta [/impura] ai Suoi occhi, e tale sarò fino a che Egli non si degnerà di ammettermi alla Sua presenza al pari di chi non sia incorso nella Sua ira [/sdegno]” (“As for me, I am not worthy in His sight. Alas! I am unclean to His eyes, and shall be until He may deign to let me stand forth in His sight as one of those who have not incurred His wrath”). Considerazioni che, tanto più a questo punto della vicenda, a noi paiono pazzesche: Mina, infettata da Dracula, è evidentemente una vittima incolpevole – e del resto già si è analizzato come ciò che Stoker porti provocatoriamente in scena sia un assurdo teologico. Ma non importa, perché questa è letteratura fantastica: e quindi guarda non alla metafisica ma al linguaggio dell’animo umano e ai suoi imbarazzi irrisolti, alle sue crisi in atto, al teatro di attese e angosce di una società. È fin dal momento dell’antisacramento di Dracula che Mina ha proclamato la propria desolata impurità: e ora questo richiamo allo sdegno di Dio non rappresenta che l’esito estremo di tutta una ruminazione interiore. Con ampia libertà fantastica, attraverso un linguaggio biblico sulla purezza ancora una volta provocatoriamente riconoscibile dai lettori, Stoker dà voce a tutto un perturbante rapporto d’epoca col piacere, la sessualità e le componenti più segrete dell’animo umano – e finisce col richiamare in queste ossessive considerazioni di Mina, con un realismo psicologico agghiacciante, certi oscuri sensi di colpa di vittime di stupro. Dove però l’accettazione, da parte di Mina, della categoria che lei chiama impurità non ne determina la resa: e in questa catabasi verso un Est che è in qualche modo un Es, Mina si sforza verso il cuore del male per poi poterne finalmente uscire.
4 novembre
Quello che segue è un Memorandum di Van Helsing – un personaggio che, lo sappiamo, finora ha scritto poco, visto che in termini di economia narrativa la sua eccezionalità emerge meglio filtrata dalla “normalità” degli altri. Ma per raccontare ciò che è accaduto con lui quale unico testimone – e si parla di scene fondamentali – Stoker sceglie l’eccezione: e motiva il Memorandum con l’avvertenza che è “per il mio vecchio e vero amico John Seward, M.D., di Purfleet, Londra, nel caso che io non riesca a vederlo”. Alla luce della già rilevata dialettica poliziesca dell’opera, e della riscontrata affinità tra le coppie Holmes/Moriarty e Van Helsing/Dracula, inevitabile pensare al messaggio lasciato dall’Arcidetective a un altro “M.D.”, l’amico Watson presso l’abisso di Reichenbach. Salvo il fatto che qui il memoriale ha un’altra ampiezza: e inizia con annotazioni prese la mattina (“It is morning”) accanto a un fuoco tenuto acceso tutta la notte con l’aiuto di Mina, mentre “Fa freddo, freddo” e il cielo incombe grigio e pesante di neve. Qualcosa che è sembrato influire su Mina, che “sleeps, and sleeps, and sleeps!” (notiamo le ripetizioni enfatiche dello stile di Van Helsing, ne troveremo ancora): “per tutto il giorno” (il precedente, 3 novembre) “ha avuto testa pesante”, perdendo appetito e non facendo nulla – neppure scrivere sul suo piccolo diario, come di solito si affrettava a fare a ogni sosta. Qualcosa gli sussurra che non va affatto bene… A quel punto, però, ristorata dal lungo sonno, la sera è più vivace, “dolce e brillante come sempre”: e se al tramonto lui non riesce più a ipnotizzarla, non può che farsene una ragione. Si noti la formula “il mio potere è diminuito giorno dopo giorno, e stasera è mancato del tutto” (“The power has grown less and less with each day, and tonight it fail me altogether”): in più casi in precedenza era emerso questo tema del potere di Van Helsing su Mina, in riferimento ovviamente alla funzione di ipnotista ma con un linguaggio sottilmente più forte, e in contrapposizione a un potere ben diverso e di segno opposto. Una considerazione che d’altro canto fotografa i limiti paralleli dei due anziani avversari – un Van Helsing più fragile e il vecchio Conte in fuga. Mentre l’icona di Van Helsing cocchiere qui alla fine del romanzo costringe a pensare all’ennesima immagine speculare, quella di Dracula camuffato da conducente della carrozza che ha condotto Harker al castello all’inizio della storia e sul medesimo percorso. Visto che ora Mina non stenografa (così scopriamo in quale forma la giovane avesse preso gli ultimi appunti), tocca a Van Helsing registrare i fatti nella sua scrittura più tradizionale: e racconta che a Borgo Pass erano arrivati la mattina precedente, “subito dopo il sorgere del sole” (attraversi un tragitto, si è calcolato, di circa 45 chilometri su 113). Per la sessione d’ipnosi avevano fermato la carrozza, e a terra Mina si era sdraiata su un giaciglio di pellicce: il tutto era stato più breve che mai, e la risposta “Buio e mulinelli d’acqua”. Al risveglio però la giovane era vivace, e presto sono arrivati al Passo – dove accade qualcosa. “In questo esatto tempo e luogo lei si infiamma tutta di zelo; un qualche nuovo potere si è manifestato in lei, come a dirigerla”, per cui all’improvviso indica una strada (“At this time and place, she become all on fire with zeal. Some new guiding power be in her manifested, for she point to a road and say, “This is the way.“”). Alla domanda del professore su come leio conosca la via, risponde: “”Of course I know it,” she answer, and with a pause, add, “Have not my Jonathan travelled it and wrote of his travel?“” Dove volutamente ho citato l’originale per l’ambiguità che mantiene – e tale da spiazzare Van Helsing, che inizialmente pensa “qualcosa di strano”. È davvero di Mina quello strano tono, e quella conoscenza dei luoghi? Poi però il professore si rende conto che si tratta dell’unica “stradina possibile. È poco praticata, e molto diversa dalla strada che va dalla Bucovina a Bistritz, che è più larga e battuta ed evidentemente più trafficata”: così la imboccano, e ad ogni incrocio (siano o meno vere strade, quelle che vi s’innestano velate dalla neve) “i cavalli, e loro soli” sanno dove andare. Van Helsing si fida, e “Di tanto in tanto troviamo tutte le cose che Jonathan ha annotato in quel suo meraviglioso diario” (“By and by we find all the things which Jonathan have note in that wonderful diary of him”) – plausibilmente in riferimento allo scenario naturale, le gallerie di alberi che si chiudono ad arco sopra la strada, le “grandi e arcigne rocce che ci spiavano minacciose da entrambi i lati” (cap. 1)…
Avanzano per ore. Van Helsing ha esortato Mina a riposare: ma poi lei continua a dormire, e il professore che preoccupato cerca di svegliarla – senza esagerare, per non allarmarla e ricordando comunque i benefici che il sonno le reca – non riesce in alcun modo. “Credo di essermi assopito anch’io, perché improvvisamente mi sento colpevole, come se avessi io fatto non so cosa; mi ritrovo sballottato, con le redini in mano, mentre quei bravi cavalli vanno avanti, cloppete clop, come sempre” (“I think I drowse myself, for all of sudden I feel guilt, as though I have done something. I find myself bolt up, with the reins in my hand, and the good horses go along jog, jog, just as ever”) – ed è una confessione interessante. Dove il senso di colpa provato da Van Helsing (qui, e di nuovo più avanti in simili circostanze) è certo legato al colpo di sonno e alla responsabilità per un eventuale incidente, doppiamente devastante per le sorti di Mina – oltre che alle ombre proiettate dalla stanchezza. Ma la frase suggerisce qualcosa di persino più profondo: quelle oscure perturbazioni sull’animo che, complici le sensazioni oniriche, il mondo di Dracula suscita nei comuni mortali. Mina e Van Helsing avvertono entrambi, in modo diverso, questo sfuggente senso di colpa legato all’orizzonte del vampiro – la creatura che fa dolere l’anima di richiami a una torbida dimensione di piacere, che mette a nudo le grida di eros e thanatos, che strappa per derive oniriche dove chi si sente infettato dispera di recuperare una trasparenza.
Comunque Mina dorme ancora, stanno salendo per i ripidi pendii delle montagne “e tutto è così selvaggio e roccioso come se fosse ultimo lembo di mondo”. Manca poco al tramonto, Van Helsing riprova a svegliare la giovane che ora riapre gli occhi senza problemi, e tenta di ipnotizzarla: “Ma lei non dorme [del sonno ipnotico], e fa come se neanche io ci fossi. Continuo a provare e a riprovare, fino che a un tratto ci ritroviamo – lei e anch’io – al buio; mi guardo intorno e vedo che intanto il sole è andato già. Madam Mina ride, e io mi volto a guardarla. Adesso è sveglia del tutto, e sembra che stia così bene come mai l’ho vista da quella notte a Carfax quando siamo entrati per la prima volta in casa di Conte” (“But she sleep not, being as though I were not. Still I try and try, till all at once I find her and myself in dark, so I look round, and find that the sun have gone down. Madam Mina laugh, and I turn and look at her. She is now quite awake, and look so well as I never saw her since that night at Carfax when we first enter the Count’s house”). Avvertiamo lo smarrimento di Van Helsing: Mina è ormai impermeabile all’ipnosi – certo, Dracula si è allontanato da lei, ma probabilmente non è solo questo a impedire la riuscita della sessione. C’è una sorta di bomba metabolica che sta esplodendo nel sangue di Mina; e c’è la strana reazione, per così dire, con il territorio in cui si trovano. Così prima Mina ignora il professore, poi troviamo questo inciso fortissimo, “I find her and myself in dark”, che spalanca una quantità d’implicazioni: la repentinità del calare delle tenebre, lo scoprirsi accomunati da una condizione interiore oscurata, l’aprirsi di fantasie torbide… e infine quel riso che segna ormai il limite dell’alterità per Mina, ripiena di una sospetta e rinnovata vitalità. Per Van Helsing è tutto un occhieggiare intorno: “so I look round”, “I turn and look at her”, “She […] look so well as I never saw her since…”, cercando freneticamente di capire come muoversi. Queste sono nuovamente pagine fortissime sulle quali non sempre il lettore si sofferma con adeguata attenzione.
“Io resto un po’ a bocca aperta, e non mi sento a mio agio; ma lei è così vivace e tenera e premurosa con me, che io dimentico tutte paure” (“I am amaze, and not at ease then. But she is so bright and tender and thoughtful for me that I forget all fear.”) – ma nel registrare questi eventi il giorno dopo avvertiamo un’inquietudine e un sospetto. Comunque Van Helsing accende il fuoco – dispongono di una scorta di legna anche senza necessità di raccoglierne – e Mina prepara da mangiare mentre lui si occupa dei cavalli. Quando però il professore raggiunge il focolare, la cena è pronta per lui “ma lei sorride, e mi dice che lei ha già mangiato – che era così affamata da non poter più aspettare. [Una frase piuttosto inquietante, se ci pensiamo, e che viene in qualche modo lanciata lì.] Questo non mi piace, e ho dei forti dubbi; ma ho paura di farla spaventare, e così mi mantengo zitto. Lei mi serve e io mangio da solo” (“but she smile, and tell me that she have eat already. That she was so hungry that she would not wait. I like it not, and I have grave doubts. But I fear to affright her, and so I am silent of it. She help me and I eat alone”). Badiamo che nei capitoli precedenti a più riprese gli uomini della squadra, in particolare i due dottori, hanno sospettato di Mina: e Stoker, sempre un po’ spiazzando il lettore, ha mostrato di volta in volta che ciò che poteva far diffidare di lei si manifesta in realtà come prova dell’assoluta affidabilità della giovane donna – che prende precauzioni persino contro se stessa, e continua a fornire illuminanti imbeccate ai tardi uomini della squadra. Con abilità da affabulatore, ora Stoker sta riproponendo la stessa dinamica ma accentuando sui motivi di sospetto: e la situazione che costruisce è in effetti di grande tensione.
Van Helsing continua ricordando come, avvolti nelle pellicce accanto al fuoco, “dico a lei di dormire mentre sto di guardia. Ma a un certo punto mi dimentico di stare in guardia, e quando ogni tanto mi ricordo che sono di guardia, vedo sempre che lei è lì sdraiata tutta tranquilla, ma tutta sveglia, che mi guarda con occhi tanto lucenti. Questo succede ancora una volta o due, e io finisce che dormo molto prima del mattino” (“I tell her to sleep while I watch. But presently I forget all of watching. And when I sudden remember that I watch, I find her lying quiet, but awake, and looking at me with so bright eyes. Once, twice more the same occur, and I get much sleep till before morning”). In questa veglia un po’ fallimentare – le ripetizioni di Helsing (“I watch […] I forget all of watching […] I sudden remember that I watch”) ce ne restituiscono lo smarrimento un po’ buffo – si avverte tutta la fragilità del personaggio che in teoria sarebbe il più duro della squadra: certo, prima Stoker ha delineato una situazione di stanchezza assoluta, legata anche al freddo e al contesto straniante, per cui non è strano che persino Van Helsing ceda. Ma da un lato in questa incapacità di vegliare finisce col cifrarsi una serie di echi biblici – i richiami a vegliare e le miserie dell’assopirsi, dalle vergini stolte alla scena degli apostoli nell’Orto degli Ulivi – in relazione a una situazione emblematica di prova; d’altro canto una sonnolenza dell’anima è propria di chi è vittima del vampiro, esposto dunque alle tentazioni della notte e del rilasciarsi di ogni freno morale. Mentre la donna ormai immagine di un’indecifrabile alterità guarda a lui “with so bright eyes”: qualcosa di molto più forte, proprio perché non certo e cifrato da una tensione, che non un’esplicitazione in qualche modo attesa di connotati vampireschi. E del resto tutta questa narrazione è pervasa da uno sghembo sapore onirico, come se insonnolito fosse il lettore.
Al risveglio, comunque, Van Helsing tenta ancora di ipnotizzare Mina – che obbedisce e chiude gli occhi ma non riesce a raggiungere la trance. Poi il sole si alza, e a quel punto piomba sulla giovane un sonno invincibile – quello, verrebbe da dire, del vampiro che veglia di notte per riposare il giorno. Il professore deve dunque caricarsela in braccio e deporla nella carrozza; e continua a dormire anche quando ormai lui è pronto a ripartire: “e nel sonno è più colorita e meglio in salute che mai. E neanche questo mi piace. E io ho paura, paura, paura! – paura di tutto – anche di pensare; ma devo andare avanti per la mia strada. La posta in gioco è o vita o morte, o peggio ancora, e noi non dobbiamo cedere” (“she look in her sleep more healthy and more redder than before. And I like it not. And I am afraid, afraid, afraid! I am afraid of all things, even to think but I must go on my way. The stake we play for is life and death, or more than these, and we must not flinch” – per inciso, “stake” oltre a significare “alea/rischio” è anche il “paletto”). Se la chiusa del brano mostra il professore a muso duro che si sforza di andare avanti, si tratta appunto di uno sforzo persino più lacerante di quelli dei giovani sulla lancia o a cavallo, angosciati per Mina ma carichi della furia della propria missione: in aggiunta alle loro preoccupazioni, Van Helsing deve fronteggiare la propria paura. In quell’anti-Orto degli Ulivi che si trova ad attraversare con Mina, il professore manifesta a più riprese i propri timori (anche solo di pensare, il che gli spalanca tutto un teatro di fantasmi) e ora quei timori li sente deflagrare: in assoluto è anzi la figura che ha più paura in tutto il romanzo, perché sa cosa temere. Prima di Stoker, l’eroe anziano non aveva mai dovuto affrontare simili prove, e nessuno degli antenati di Van Helsing, dottori psichici più o meno credibili, aveva dovuto mettere a nudo la propria fragilità come accade a questo straordinario personaggio – lucido ma capace di crisi isteriche, coraggioso ma pronto ad ammettere la morsa del panico. E del resto Van Helsing sarà destinato a una mitopoiesi che avrebbe probabilmente stupito lo stesso Stoker.
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