Sarà una buona idea quella di inserire già in prima di copertina i consueti – enfatici, esagerati – commenti dei soliti quotidiani americani? O sarà un autogol, l’ennesimo che la sf infila nella propria porta? Già perché leggere: «In questo esaltante romanzo, Morgan ci fa immaginare un xxv secolo colorato di noir, “The New York Times”» non fa nascere un desiderio insopprimibile di leggerlo, «l’esaltante romanzo». Un po’ perché di queste trombonate sono pieni tutti i romanzotti presunti best-seller che l’industria editoriale anglosassone produce in modo seriale, un po’ perché il riferimento al noir sembra davvero troppo modaiolo per essere credibile. Già troppi indizi che sconsigliano il sacrificare € 17,50 (lit. 33.884) sull’altare della dea Curiosità. Poi la mancanza di alternative e la possibilità di leggere a man salva in quanto collaboratora di codesta rivista han fatto sì che iniziassi e portassi a termine il lungo viaggio attraverso le 509 pagine di Bay City. Adesso il libro è a casa mia, regolarmente acquistato e pagato. E non perché ci ho versato sopra la salsa di pomodoro o il tè. Vorrà ben dire qualcosa questo epilogo, no?
Richard K. Morgan non è un innovatore. Il suo romanzo ha ingredienti poco originali: l’ex delinquente e veterano di guerra che diventa investigatore privato, gli immortali – ricchi e immorali – contrapposti alla gente comune, una società ad altissima connettività, un universo virtuale luogo di incontri e di pericolosi confronti, corporations criminali, altissima diffusione di droghe, fondamentalismi religiosi, possibilità di replicare all’infinito la propria personalità su supporti artificiali. Ma se Morgan non offre, a ben vedere, spunti e invenzioni davvero originali si rivela eccellente nell’organizzarli e nel creare un universo coerente. Non solo: il suo romanzo cybernoir (definizione di mio conio, maneggevole anche se un po’ sommaria, lo ammetto) riesce a riutilizzare per la forma narrativa (riciclare suona meno bene, ma sarebbe il verbo adatto) suggestioni e atmosfere tipiche del film di fantascienza contemporaneo. E per riuscire in questa operazione di riciclaggio, contrariamente a quanto si crede, bisogna saper scrivere piuttosto bene. Le specificità dei due mezzi – cinema e narrativa – sono alquanto diverse e ciò che molti tendono a fare è limitarsi a un riferimento filmico lasciando che sia il ricordo del lettore a fare il resto. Morgan no, le sue scene d’azione mostrano un debito verso il cinema nel montaggio adrenalinico ma tempi e descrizioni sono schiettamente narrativi e non permettono troppo facili riferimenti filmici. Un esempio? Quanti tra gli autori di sf che conoscete (ma anche di thriller) sono riusciti a «giustificare» narrativamente lo slow motion tipico del cinema d’azione? In genere bisogna mettere in campo personaggi un po’ suonati, drogati, bevuti o quasi in coma. Solo in questo modo il ralenti esasperato di azioni e movimenti risulta credibile. Morgan se la cava brillantemente immaginando mediatori chimici sintetici che moltiplicano la rapidità di esecuzione, rallentando – nel contempo – quella di percezione. Takeshi, il protagonista, un uomo con alle spalle una lunga attività prima da militare più (chi ha letto Uomo Più di Frederick Pohl sa di che cosa sto parlando) e poi da criminale, riesce a sopravvivere essenzialmente grazie alla capacità di moltiplicare le proprie forze e di percepire i fenomeni che lo riguardano in un modo quantomeno singolare. Takeshi non è originario della Terra. È nato su Harlan’s World, un mondo coloniale dove la vita non è facile. Massacrato nel corso di una rapina finita male viene «immagazzinato» per un paio di secoli, ovvero registrato su supporto artificiale e messo a dormire. Ma un riccone terrestre praticamente eterno paga per farlo riversare nel corpo di un altro, un ex-poliziotto condannato per corruzione. Takeshi ha il compito di scoprire chi ha ucciso il magnate terrestre che, reincarnatosi in un corpo di riserva, ha un buco di una dozzina di ore nel back-up della propria vita. Proprio le ore nelle quali è avvenuto l’omicidio. O il suicidio, secondo la tesi preferita dalla polizia. L’avventura di Takeshi parte da qui: un incarico ambiguo da un personaggio non troppo limpido, una moglie della vittima – un corpo giovane e una mente plurisecolare – doverosamente pericolosa, un gruppo di poliziotti onesti ma isolati, qualche pollastra ingenua che fa una brutta fine e, sullo sfondo, i giganteschi interessi intoccabili di gruppi industriali fatalmente contigui al crimine organizzato. Un canovaccio ben noto ma rivisitato con intelligenza per estrarne un libro decisamente godibile. Particolarmente godibile per la cura dei piccoli e piccolissimi particolari che segnalano il romanzo scritto con cura e onestà. Non un testo d’avanguardia né una pietra miliare ma un buon romanzo. Di questi tempi, sinceramente, non poco. Il libro è il primo di una trilogia dedicata a Takeshi Kovacs, I volumi successivi, Angeli spezzati (2006) e Il Ritorno delle Furie (2008), anch’essi nell’ottima traduzione di Vittorio Curtoni, sono però difficilmente reperibili.
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Richard K. Morgan, Bay City
Nord 2004, ed. or. 2002, pp. 509, € 17,50
Trad. Vittorio Curtoni
Idem, TEA 200, pp 514, € 8,60
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