Natsume Sôseki (1867-1916), da molti considerato il più grande romanziere moderno giapponese capace di influenzare tutti i successivi maestri della letteratura nipponica a partire da Kawabata Yasunari per arrivare fino a Mishima Yukio, dopo essere stato ignorato in Italia per quasi un secolo pare stia ora finalmente ottenendo quel successo di pubblico che giustamente merita.
Con Il signorino Natsume raggiunge, con un’incisiva semplicità di linguaggio, uno dei suoi momenti più alti di critica dei costumi della società umana.
Il protagonista del romanzo difficilmente può risultare simpatico. Convinto assertore della superiorità degli abitanti della capitale su quelli delle province (in effetti, si tratta di una mentalità ancora presente tra i cittadini di Tôkyô) paragona ogni cosa che vede a quella della sua città natale trovandola inferiore; è irascibile e litigioso ed il suo modo di fare non si può certo definire dei più accattivanti. Come si evince facilmente dal titolo, è cresciuto in un ambiente molto protetto, non privo comunque di alcuni problemi familiari, viziato dalla vecchia domestica Kiyo, personaggio dal carattere semplice, fisicamente poco presente nel testo ma figura cardine modello di virtù tradizionale contrapposta all’arrivismo e meschinità dei mediocri arrampicatori sociali cui ha dato spazio la modernizzazione del paese – si manifesta qui l’ambivalenza dell’autore, profondo conoscitore della letteratura inglese vissuto anche dal 1900 al 1903 in Inghilterra, tra ammirazione per il passato e per il presente, per la cultura straniera e per quella autoctona –; ciononostante conserva una sua schietta lealtà e coerenza di comportamento che controbilanciano ampiamente le sue caratteristiche negative.
Il romanzo è ambientato in una scuola dell’isola di Shikoku dove il protagonista, il cui vero nome non viene mai menzionato, assume l’incarico di docente di matematica. La scuola diventa quindi un microcosmo in cui si riflettono i vari rapporti di forza presenti nella società e il protagonista affibbia ad ognuno degli insegnanti un soprannome indicativo dei vari caratteri: Porcospino, Zucca acerba, Camiciarossa, Buffone. Se Porcospino, il cui vero nome è Hotta, rappresenta l’individuo leale e sincero, privo di malizia ed in possesso di una forza fisica non indifferente, il vicepreside Camiciarossa è la sua nemesi. Astuto e subdolo, agisce alle spalle del prossimo pur di raggiungere gli scopi che si è prefissato. Persone che ognuno di noi ha certamente incontrato nella vita di tutti i giorni. Ed è proprio qui che troviamo la grandezza di Natsume che lascia nei suoi lavori una freschezza immutata dopo oltre un secolo ed un’internazionalità in grado di superare le barriere del tempo e dello spazio, spesso limite di molti volumi. Lo sconcerto dell’autore di fronte ai mutamenti della sua era non è dissimile da quelli degli uomini di oggi messi di fronte a cambiamenti rapidi e radicali. Inoltre Natsume è capace di inserire nelle storie una sottile vena umoristica che vivacizza ulteriormente le vicende narrate.
Nel libro sono presenti molte dicotomie tra cui spicca quella in bilico tra un disgusto per il modo di agire tipico dei burocrati e dei politici e l’ammirazione per un comportamento più istintivo e fisico, potremmo dire quasi militare se non si corresse il rischio di essere fraintesi.
Il romanzo inoltre lascia intravedere alcuni squarci storici relativi al periodo come, ad esempio, le celebrazioni per la vittoria nella guerra russo-giapponese (1904-1905).
Il signorino è quindi un romanzo fondamentale non solo per la letteratura giapponese ma anche per quella mondiale. Con Sanshirô e Il cuore delle cose, entrambi tradotti in italiano rispettivamente da Marsilio Editore nel 1990 e sempre da Neri Pozzi nel 2001, può essere considerato parte integrante di un’ideale trilogia composta dall’autore.
Da segnalare, infine, l’ottima traduzione di Antonietta Pastore.
Sôseki Natsume
Il signorino
Neri Pozza
€ 14,50
trad. A. Pastore
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