La lotteria di Shirley Jackson, pubblicato da Adelphi nella collana PB, è una piccola raccolta di quattro racconti. L’autrice, nata nel 1916 a S. Francisco da una famiglia di ceto medio colto, e morta a 48 anni nel 1965, era piuttosto popolare in vita ma è stata riscoperta dalla critica in anni recenti, come autrice di alcuni dei migliori racconti gotici del Novecento, apprezzatissima da King e da Matheson, per citare due maestri. Molti dei suoi racconti sono stati messi in scena più volte. I due più famosi sono un romanzo: The Haunting oh Hill House, (l’Incubo della casa sulla collina) e La lotteria, appunto.
Nonostante questa fama da regina del gotico, se qualcuno leggesse i racconti della raccolta lasciando la Lotteria per ultimo non li riterrebbe certo racconti fantastici. Strani, certo, con qualche elemento fantastico, ma solidamente piantati nell’humus del realismo.
Il secondo, ad esempio, Lo sposo, racconta l’inutile attesa di una donna in realtà ancora giovane ma un po’ sfiorita, che col passare delle ore comincia affannosamente a cercare le tracce del suo innamorato interrogando negozianti, edicolanti e portinai mentre il lettore già intuisce lo sviluppo della storia e gli interpellati la compatiscono un po’ malignamente. Sulla base delle loro risposte vaghe la donna ricostruisce (forse sbagliando completamente) i passi e la vera identità di lui. Non vi sarebbero elementi fantastici nel racconto, solo un po’ di umane miserie, se non fosse per la porta sempre chiusa di un appartamento in un condominio povero, alla quale la donna si ostina a bussare giorno dopo giorno: dentro si odono voci, forse quella di lui e forse quella di una donna… Più che di fantastico si tratta di improbabile, anzi di un sogno impossibile. Come tanti. Perché ci piace illuderci e le donne sono, molto spesso, le più vulnerabili.
Il quarto, poi, racconta la cena di due amiche di mezza età, molto per bene e molto decorose, in un ristorante per bene e decorso che offre buona cucina e uno spettacolo d’intrattenimento. Musica, ballerini, cantanti, persino un ventriloquo. Proprio il fantoccio del ventriloquo, che dà il titolo al racconto ed è l’elemento spiazzante della storia, a provocare una reazione inusuale in una delle due matrone. E devo dire che leggendo il finale vien da dire: “signora Wilkins, sarai anche perbenista, ma sei grande”.
Se il terzo racconto è un apologo brevissimo, che piazza qualche colpo sull’incomunicabilità ai nostri giorni, La lotteria è uno dei racconti più inquietanti letti che nella mia lunga carriera di lettore di fantastico. È la storia, daprima sommessa, rurale, bozzettistica di un rito di potere celebrato in un villaggio della provincia americana. Un villaggio di trecento persone, retto da un’etica del lavoro fortissima, ma moderno, con la sua banca, il drugstore, l’ufficio postale, l’impresa mineraria. Ma sopravvive una strana lotteria, che va assolutamente celebrata ogni anno in prima estate, pena l’impoverimento della comunità, la carestia, il crollo della gerarchia sociale.
Il racconto, e soprattutto il finale, che ovviamente non vi svelerò, resiste a letture molteplici: una parabola sull’innata violenza della natura umana, una metafora del bisogno dell’essere umano di rendere vittima qualche suo simile…
Persino, e devo dire mi è parsa la lettura più sofistica e convincente, una complessa, efficacissima rappresentazione del potere capitalista. Qualcosa di sorprendente, considerando che Shirley Jackson non è mai stata ritenuta marxista.
Ma è questo il grandissimo pregio del racconto, quello che voglio sottolineare: Come disse una volta Russel Banks, chi scrive onestamente scopre di sapere più di quanto credesse. Scopre, proprio scrivendo, come forse ha fatto la Jackson, la propria visione del mondo. Mentre lo rappresenta. La scrittura consente di operare sintesi illuminanti saldando elementi apparentemente lontanissimi. E ogni autore “onesto” lo fa per, insieme con, i propri lettori.
Shirley Jackson
La lotteria
Adelphi
€ 8,00
trad. F. Salvatorelli
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.