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    Interzona

    Sconfitto o perdente?

    • di Massimo Citi
    • Ottobre 9, 2012 a 8:12 am

    Biblioteca. 
    I libri ritrovati

    di Massimo Citi


    Che differenza c’è tra sconfitto e perdente?
    Apparentemente nessuna, tanto più in questi tempi quando l’essere «vincenti» è divenuto l’unico modo di proporsi e presentarsi.
    Eppure si tratta di una domanda non così oziosa e che sorge spontanea dopo la lettura di Addio ciliegi in fiore, di Yoshida Mitsuru, Piemme edizioni.
    Yoshida Mitsuru fu tra i pochissimi sopravvissuti della missione suicida della corazzata Yamato, affondata nell’aprile del 1945 con oltre tremila marinai a bordo. Yoshida partì ventenne con la certezza di non ritornare e solo per un caso fortuito non fu tra i morti. Il libro, il racconto in prima persona della missione, fu scritto nell’ottobre del 1945.
    La Nobiltà della sconfitta di Ivan Morris, titolo di un libro pubblicato in Italia da Guanda, fornisce un’interessante definizione di sconfitto:

    L’uomo al quale la profonda onestà vieta le manovre e i compromessi, tanto spesso necessari alla gloria terrena […] Lanciandosi nel suo doloroso destino sfida i dettami della convenzione e del buon senso fino al momento estremo in cui sarà sconfitto dal suo nemico.

    La sconfitta diviene così prova di innocenza, capace di suscitare rispetto per «quegli uomini che non possono o non vogliono inchinarsi davanti alla degradata divinità del successo (ibid.)».

    La corazzata «Yamato»

    Questa concezione dell’esistenza e del destino che unisce il tradizionale romanticismo nipponico con l’insegnamento buddhista della caducità di ogni cosa ha costituito il principale riferimento ideale per molti giovani giapponesi vissuti negli anni trenta e quaranta del secolo scorso. Innocenza qui intesa come disinteresse, coraggio, sprezzo del pericolo: una concezione mistica della vita e della realtà che, non casualmente, è almeno in parte substrato dell’ideologia dell’estrema destra «spirituale» anche qui in Europa.
    Di fronte al brutale materialismo yankee descritto dalla propaganda di guerra, capace di degradare qualsiasi individualità fino al suo semplice valore economico, molti tra questi giovani «istruiti, motivati e realisti sulla probabilità, o meglio la certezza, della sconfitta del Giappone» accettarono di incarnare il ruolo dell’eroe «innocente» chiamato ad adempiere il proprio destino di sconfitta.
    Per l’occidente divennero «Kamikaze» o, più raramente «Shimpu», all’epoca presentati come esponenti tipici del pensiero orientale per il quale, come dichiarò il generale Westmoreland «la vita non ha lo stesso supremo valore […] la vita è abbondante e costa poco, in Oriente».
    Il libro di Yoshida Mitsuru fa giustizia di queste e altre osservazioni razziste o superficiali dando un ritratto vivo e dinamico dei supposti «fanatici».
    A bordo della corazzata Yamato marinai e ufficiali – fratelli, mariti e padri – sono convinti che il sacrificio sarà per le loro famiglie la garanzia di una vita migliore dopo la sconfitta. Soltanto una tenace resistenza, infatti, permetterà al Giappone di ottenere condizioni di pace accettabili. Ma le discussioni a bordo della nave, anche vivaci e in qualche caso violente, non mancano. A dominare gli uomini a bordo è un sentimento grave, di responsabilità, talvolta minato dal dubbio che la loro missione sia in realtà il modo più facile per uscire di scena, abbandonando i loro congiunti al destino difficile del dopoguerra.

    La morte è facile.
    Voi che non avete la fortuna di morire, voi che siete ancora condannati a vivere. Come farete a sopportare tutti i giorni che verranno dopo domani?

     


    Gli ultimi giorni a bordo della nave sono fatti di riflessioni e interrogativi senza risposta. Nel poco tempo libero Yoshida legge una biografia di Spinosa rammaricandosi perché non riuscirà a terminarla e si rivolge alla famiglia: i genitori e la sorella. Yamato è già una nave di fantasmi ma la voglia di discutere, anche di bere o di scherzare non si spegne.
    Le concitate fasi della battaglia finale, due ore di lotta impari contro centinaia di aerei, non permettono che frammenti di pensieri, attimi di dolore ingoiati in fretta per amici e compagni straziati dalle esplosioni. Grazie a una serie di casi fortuiti Yoshida sopravvive all’esplosione della Yamato e viene salvato da un cacciatorpediniere di scorta.
    Singolarmente efficace per lo stile, secco ed essenziale ma ricco di risonanze poetiche, Addio ai ciliegi in fiore è stato ed è considerato un capolavoro della letteratura di guerra.

    Cosa sarebbe successo se avessi avuto occasione di fuggire, possibilità di scelta, indipendenza, responsabilità?
    […] Se fossi stato semplicemente una vittima qualsiasi?
    Morire in un attacco speciale è molto più semplice.
    Nessuno al mio posto avrebbe agito diversamente.
    Vale per tutti: vecchi, bambini, ragazzi, donne.

    L’edizione italiana è stata condotta sull’edizione in lingua inglese. Postfazione e note sono a cura di Richard H. Minear, traduttore dal giapponese per l’edizione statunitense.

     Yoshida Mitsuru
    Addio ciliegi in fiore
    Editore Piemme, 2002
    pp. 200, € 12,90
    trad. dall’inglese: Carena  A.
    ed. fuori commercio

    da LN-LibriNuovi 22, giugno 2002

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