È stato ripubblicato nel 2013 L’uccello che girava le viti del mondo, edito da Einaudi Tascabili (ed. orig. 1994, trad. di Antonietta Pastore).
Come per gli altri romanzi di Murakami anche qui protagonista è un trentenne e la narrazione è in prima persona. Meno consuete le dimensioni del romanzo, ben 840 pagine. Okada Tôru, il protagonista, sposato con Kumiko, è un disoccupato e mentre cerca un nuovo lavoro si dedica all’attività casalinga. Vive con qualche disagio la sua condizione, ma sempre più spesso si trova ad interrogarsi sulla reale necessità di trovare un altro impiego. Lo stipendio della moglie, infatti, è sufficiente per entrambi, e la loro qualità della vita, con una persona perennemente a casa, è nettamente migliorata.
Ma non tutto sembra funzionare perfettamente nei suoi rapporti con Kumiko, che negli ultimi tempi si è fatta evasiva, distante, poco disponibile ad avere rapporti sessuali. Tôru non pensa alla cosa più ovvia in questi casi, anzi non sembra neppure cogliere la crisi imminente e il molto tempo disponibile diventa per lui l’occasione per contrarre singolari amicizie e ancor più singolari abitudini. Il racconto, particolarmente crudo e feroce, di un sopravvissuto alla guerra contro i sovietici in Manciuria, lascia in lui profonde tracce, spingendolo ad interrogarsi sul senso delle scelte compiute fino a quel momento, sul limite sottile che lo separa dal vuoto, dal completo annullamento di sé, di pensieri, ricordi e percezioni.
Il consumarsi della crisi con Kumiko e la sparizione di lei accelerano e rendono ancora più urgente la ridefinizione della sua personalità, gli fanno riconsiderare le scelte compiute e, nel contempo, gli permettono di mettere a fuoco la figura del cognato – che ha sempre detestato – e di comprendere finalmente il suo ruolo nei confronti della sorella Kumiko, di cogliere la vanità e la follia della sua vita, interamente tesa al successo.
Nel corso del romanzo Tôru farà diversi incontri, ciascuno a suo modo rivelatore, e diverrà il custode di curiosi, bizzarri o crudeli ricordi narratigli da estranei. Finirà così per essere il centro inconsapevole di una ragnatela di vite e fatti, coagulatisi intorno alla sua ordinaria vicenda di uomo senza qualità e senza ambizioni.
Tôru sarà chiamato a partecipare dell’angoscia, dello smarrimento e del dolore di coloro che incontra, ma riuscirà a giungere al termine del suo processo di maturazione più conscio della propria e dell’altrui esistenza, dopo essere sopravvissuto a un esperienza estrema ed autoimposta di privazione delle percezioni.
Il romanzo ha la struttura di un percorso, durante il quale il protagonista acquisisce un nuova nozione dell’esistere. In questo senso si tratta di un’opera intensamente mistica, che riesce anche a rendere ragione dell’andamento erratico di talune pagine anche dei romanzi precedenti.
L’Uccello che girava le viti del mondo si candida ad essere metafora dello scrivere, intesa come attività che restituisce tempo e realtà a ricordi e percezioni confuse, ma è anche un invito, per il lettore, a meditare i propri giorni, ad accettare e persino gioire per il vuoto che accompagna, così intimamente vicino, le nostre vite.
Curioso come l’opera probabilmente più matura di Murakami sia così profondamente segnata dalla tradizione religiosa buddhista e dal ritorno alle radici della cultura nipponica. Ma la semplicità della forma e la tensione mistica che attraversano il libro escludono il dubbio che si tratti di un’accorta scelta in odore di New Age, dettata da banali motivi commerciali.
Tra i motivi del successo di Murakami vi sono probabilmente la leggerezza e la scioltezza dello stile (ben reso anche in quest’occasione dal lavoro di traduzione). Si tratta di una forma di semplicità che non ha nulla della piatta assertività di molta letteratura contemporanea. Murakami non cerca di essere maestro del lettore o di suscitarne l’ammirazione, semplicemente si sforza di esserne compagno. E in questo romanzo mi pare sia riuscito nel suo intento.
Murakami Haruki, L’uccello che girava le viti del mondo
Einaudi Super ET, 2013, pp. 840, € 17,00, trad. Antonietta Pastore
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