Questa breve antologia di Parrella è un buon esempio di «dignità del racconto», ovvero di come con una raccolta di racconti è possibile esprimere e narrare ciò che un romanzo, legato all’intreccio e alla cronologia, difficilmente potrebbe. Sono storie raccontate laconicamente ma con precisione. È importante la precisione, in Parrella: la volontà di rappresentare gesti inconsci, esitazioni, silenzi. Napoli in queste storie è un interlocutore silenzioso: il respiro, i luoghi, le storie, la lingua. Una metropoli nella provincia europea, superata da una modernità mai raggiunta.
Parrella è distaccata e ironica, un’ironia che fa parte dello sguardo, senza cattiveria e senza volontà di riscatto. È un raccontare leggero, inavvertibile, lunare. Raggiunge i suoi migliori esiti in Quello che non ricordo più, storia di una rottura familiare nata da una diversa visione della superstizione e nell’ultimo, Il passaggio, il racconto più lungo e, a suo modo, più sorprendente.
La raccolta è stata accolta con un peana di consensi, a cominciare dal risvolto di copertina della prima edizione di Peppe Lanzetta, davvero ai limiti dell’agiografia. Ma è del tutto senza difetti il libro di Parrella? No. All’interno di un debutto comunque felice non mancano limiti: qualche scivolamento nella lingua napoletana forse non così indispensabile, un’eccessiva stringatezza (inevitabilmente?) «carveriana», descrizioni minime e una scrittura a tratti scheletrica come una sceneggiatura, finali rattrappiti, bruciati e accartocciati come fotografie passate accanto a una fiamma. Limiti relativi, ovviamente, leggibili come altrettanti pregi, perlomeno in rapporto al sistema di riferimenti scelto.
Valeria Parrella, mosca più balena
minimum fax, 2003, 2009, pp. 129, € 13,00
introduzione di Loredana Lipperini
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