di Massimo Citi
Credo di avere letto praticamente tutto quello che J.G.Ballard ha scritto ed è stato tradotto in italiano. L’ultima lettura è stata quella di di tre grosse antologie uscite da Fanucci che raccolgono i racconti pubblicati tra il 1956 e il 1992. Una «fatica» considerevole, soprattutto tenendo conto che Ballard ha alcune «fissazioni» narrative – la solitudine autoimposta, taluni allucinati personaggi femminili, una natura e un’ambiente definitivamente deformati dalla presenza e dal passaggio dell’uomo – che fatalmente tendono a ripetersi nelle antologie. Con tutto ciò una lettura comunque felicissima e feconda. Ovvio che mi sarei impadronito e avrei letto anche la sua biografia appena uscita da Feltrinelli, I miracoli della vita, uscito poco prima della morte dell’autore. Morte alla quale Ballard accenna verso la fine del libro:
Nel giugno del 2006, dopo un anno di dolori e di disagio che attribuii all’artrite, uno specialista mi confermò che soffrivo di un cancro alla prostata a un cancro avanzato. […] Jonathan Waxman [il mio medico curante] è molto intelligente, premuroso e sempre gentile, e ha la rara abilità di riuscire a vedere il decorso della cura dal punto di vista del paziente. Sono molto grato che i miei ultimi giorni trascorrano sotto la cura di questo medico risoluto, saggio e benevolo.
È un libro di poco più di 200 pagine diviso (o divisibile) in due parti abbastanza simmetriche, visto che la prima parte termina a pagina 100. Nella prima parte Ballard racconta la sua vita fino al 1945. L’infanzia felice seguita da un’adolescenza profondamente segnata – in positivo e in negativo – dagli anni di reclusione con la famiglia, prigionieri dei giapponesi, nel campo di Lunghua. Nella seconda Ballard racconta della sua vita in Gran Bretagna, del suo inizio come autore, degli amici, del suo breve matrimonio e del ricco e felice rapporto con i figli.
Ed è inevitabile che la parte davvero appassionante del libro finisca per essere la prima. Il motivo? Beh, innanzitutto per il luogo «spielberghiano»: la Shangai degli anni Trenta. In secondo luogo per l’oggettiva complessità della situazione: il giovanissimo Ballard – occidentale perduto nel vasto e non del tutto comprensibile mondo dell’Estremo Oriente – che cerca di comprendere modi e gesti dei – per lui – enigmatici cinesi e dei cupi e rabbiosi giapponesi, i loro guardiani.
L’immagine di Ballard che gira per il campo a bordo della sua bicicletta cercando (quasi sempre inutilmente) di «fraternizzare» con gli invasori nipponici rimane a lungo impressa nella memoria, provocando nel lettore una curiosa emozione, a metà tra la riprovazione e la simpatia. Un sentimento non troppo diverso che coglie nel sentire raccontare dei suoi rapporti «freddi e formali» con i genitori, così tipicamente inglesi. Il giovane Ballard cresce così, tra una lunga, spensierata passeggiata nel campo e gli improvvisi accessi di violenza, condotti talvolta fino alla morte, ai quali i guardiani giapponesi ricorrono senza scrupoli nei confronti di contadini e sbandati cinesi. Il giovane inglese finisce con l’imparare a ignorare gli accessi di violenza, a «voltarsi dall’altra parte» senza però riuscire a dimenticare, tanto che uno sfondo di violenza silenziosa finirà per diventare una costante di molti suoi brani.
La seconda parte, ambientata nell’Inghilterra dal dopoguerra fino ai nostri giorni, racconta più modestamente la vita quotidiana di uno scrittore di fantascienza poco tradizionale, «fissato» con lo spazio interiore – l’inner space – all’inizio poco apprezzato dagli editori del genere e soltanto in seguito stimato in tutto il suo valore. Ballard racconta del suo rapporto con la prima moglie, morta prematuramente, e di quello con i tre figli – due femmine e un maschio – che decise di allevare da solo nonostante il parere negativo delle «donne» di famiglia, dell’amicizia con Michael Moorcock e con Kingsley Amis, della genesi de La mostra delle Atrocità, di Crash e della mostra nata insieme al romanzo, de L’Impero del Sole, il suo unico best-seller. Inevitabile una leggera sensazione di già visto e già letto, essenzialmente per l’esistenza di altri libri (Fine millennio, istruzione per l’uso, Baldini e Castoldi / Re-Search interviste, critica e saggi inediti dedicato a J.G.Ballard) nei quali l’autore ha dedicato spazio all’esame e all’analisi della propria estetica.
Colpisce, inevitabilmente, l’assenza di ogni riferimento agli ultimi titoli dell’autore, Super-Cannes, Millennium People, Cocaine nights, Il paradiso del diavolo, dimenticati, rimossi o forse semplicemente scivolati sullo sfondo di un’autobiografia necessariamente personale. Un libro piacevole e a tratti divertente, anche se a tratti forse troppo superficiale per l’appassionato della produzione narrativa di Ballard.
J.G. Ballard
I miracoli della vita
Feltrinelli, pp. 228, € 9,00
Trad. Antonio Caronia