Joe Sacco
Palestina
A. Mondadori
€ 12,00
trad. D. Brolli
La rivolta dei Territori ebbe inizio circa quindici anni fa: nei mesi a cavallo tra il 1991 e il 1992, un giornalista americano di origine maltese, Joe Sacco, circolava con matita e blocchetto per gli appunti tra le catapecchie dei campi profughi palestinesi del West Bank e di Gaza, raccogliendo testimonianze e facendosi egli stesso testimone diretto delle misere condizioni dei loro abitanti. Ne ricavò non articoli per giornali o documentari televisivi, bensì un lungo fumetto in più puntate, che ora Mondadori ripubblica in oscar, dopo una prima edizione del 2002. Il fumetto, grazie alla commistione tra parola scritta e immagine che gli è propria, è particolarmente efficace come veicolo di documentazione storica e informazione, eppure non è ancora sfruttato molto in tal senso. Ne è stato un ammirevole precedente Maus, l’opera a fumetti di Art Spiegelman, pubblicata prima da Rizzoli in varie edizioni e più recentemente ripresentata da Einaudi Stile Libero (se non l’avete ancora letta, vi consiglio caldamente di farlo ora). Ma se in Maus la tragedia dell’Olocausto, per quanto descritta in maniera cruda e non retorica, era comunque trasfigurata attraverso la rappresentazione degli ebrei come topi e dei tedeschi in forma di gatti, in Palestina i personaggi sono rappresentati realisticamente, e nulla è lasciato alla fantasia del lettore. Joe Sacco rappresenta se stesso mentre raccoglie interviste di casa in casa, aiutato da alcuni volenterosi giovani palestinesi che si prestano a fargli da interpreti: inizialmente carico di preconcetti, con il passare dei giorni l’autore, incontro dopo incontro, entra in empatia con quel popolo povero ma generoso, che si toglie il pane di bocca per l’ospite. I campi profughi di Balata, Jabalia, Nuseirat sono luoghi che si somigliano tutti, con le strade non asfaltate e butterate da mucchi di rifiuti, che a ogni pioggia si tramutano in paludi fangose; muri fatiscenti, tetti coperti di lamiera tenuta ferma da blocchi di cemento, bambini che giocano tra rottami di automobili e cassonetti dell’immondizia, giovani disoccupati, vecchi disillusi, donne che piangono i figli uccisi da una pallottola vagante; luoghi dove quasi ogni famiglia conta un morto o un ferito nel corso degli scontri con i militari, così come annovera un parente passato per le carceri israeliane. Intorno ad un bicchiere di the sempre troppo zuccherato, i vecchi rammentano i giorni in cui sono stati cacciati dai loro villaggi 50 anni prima, e i giovani esibiscono le cicatrici delle ferite subite come fossero medaglie. E allo straniero raccontano storie di pestaggi, irruzioni, posti di blocco, torture, soprusi, disoccupazione. Non si aspettano niente da Joe, hanno narrato le loro vicende a troppe persone prima di lui senza che cambiasse nulla: sono rassegnati, ma non si arrendono, e anche il solo tirare una pietra a un carro armato può restituire loro un po’ della dignità perduta. Il disegno di Sacco, privo di preziosismi estetici, è funzionale alla narrazione, ed è soprattutto efficace nella descrizione degli esterni, che trasmettono al lettore tutto lo squallore di una vita vissuta sotto tutela armata. La situazione descritta nel libro riproduce eventi di quindici anni fa, ma nulla è cambiato nel frattempo, se non in peggio mentre il fondamentalismo religioso cresce. Fino a quando Israele potrà permettersi di pagare questo prezzo? Un libro-denuncia che lascia il segno senza urlare slogan, valendosi della forza persuasiva dei fatti.