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    Golem

    Noi non ci saremo

    • di Davide Mana
    • Gennaio 31, 2013 a 9:23 am


    L’ipotesi della scomparsa dell’umanità è un vecchio cavallo di battaglia della narrativa fantastica e fantascientifica – da The Last Mandi Mary Shelley a La Nube Purpurea di Matthew P. Shiel, passando per Earth Abides di George R. Stewart (28 edizioni dal 1949 al 2008), giù giù fino a Io Sono Leggenda di Richard Matheson e oltre.
    Quella che preferisco, fra tutte le variazioni e permutazioni del tema, è il classico Qualcuno bussò di Fredric Brown.

    L’ultimo uomo sulla terra era solo nella sua stanza.
    Qualcuno bussò.

    L’autore è talvolta mosso da sentimenti di malinconica reminiscenza, in altri casi da una feroce vena satirica o da un nichilismo variamente espresso, sentimenti che trovano una risonanza potente fra i lettori, che da sempre amano questo tipo di narrativa.
    Si tratta sempre, come si può facilmente capire, di estinzioni necessariamente imperfette, condizionate dalla necessità di un narratore, di un punto di vista principale.
    Rimangono perciò qua e là solitari sopravvissuti, sospesi fra la malinconia byroniana del narratore della Shelley e l’ipertrofia nichilista di Mad Max.
    O resti consistenti della nostra presenza permangono a interpretare una eterna pantomima priva di significato (Engine Summer, di John Crowley), a darci una seconda possibilità (Per un respiro io indugio, di Roger Zelazny), a obbligarci a espiare i nostri peccati collettivi (Non ho bocca e devo urlare, di Harlan Ellison), a trasmettere di noi una dubbia memoria a visitatori alieni perplessi (Lezione di storia, di Arthur C. Clarke, in cui tutto ciò che rimane a testimone del genere umano è una bobina di cartoni animati di Topolino).

    Alan Weisman

    Non ci sono potenziali visitatori a bussare alle porte di Alan Weisman, autore del succoso Il mondo senza di noi.
    Non c’è un ultimo uomo che possa rabbrividire nel veder girare il pomo della porta, non c’è un solitario sopravvissuto braccato dai vampiri, non ci sono robot malinconici e meditabondi o alieni disorientati.
    Come Brown nelle due righe qui sopra, anche Weisman non si dilunga sul come e sul perché l’umanità scompaia.
    Nel costruire il suo bel saggio scientifico, ipotizza semplicemente che, da domattina, i sei miliardi e rotti di esseri umani su questo pianeta cessino di esistere.
    E poi?

    Per capire cosa accadrà dopo, per descrivere come, cessate le nostre interferenze, lo stato naturale delle cose potrebbe tornare a instaurarsi, Weisman esplora i luoghi ancora (relativamente) incontaminati dalla presenza umana, percorrendo a ritroso il cammino che ne potrebbe causare la distruzione.
    Foreste primeve nell’Europa centrale, isole faunistiche al confine fra le Coree…
    Weisman parla con ingegneri ed esperti in manutenzione.
    Biologi e conservazionisti.
    È necessario costruire una esatta immagine del mondo quale questo è, per poter proiettare verso il futuro che cosa questo diventerà, ed è necessario avere ben chiaro quali siano gli effetti della presenza umana per poterli togliere dal quadro complessivo e poi vederlo evolvere.
    Che cosa si inceppa, se togliamo l’umanità dal quadro generale delle cose?
    Quanto la nostra quotidiana manutenzione mantiene il mondo in uno stato di disequilibrio?


    Il panorama del futuro senza di noi che ne emerge è poco lusinghiero: sopravviveranno più a lungo le opere antiche di quelle moderne.
    I nostri animali domestici si inselvatichiranno, i gatti torneranno a dominare la notte, i cani scivoleranno nuovamente nel pool genetico dei lupi.
    La vegetazione colonizzerà le macerie bruciate e si scatenerà forse una guerra silenziosa fra le flore endemiche e quelle importate dagli scomparsi esseri umani.
    Resteranno strati di sacchetti di plastica biodegradabile (che sono tali solo se lasciati all’aperto, ma che sepolti possono durare millenni), un po’ di ceramica, e gli inquinanti più «duri».
    Perché se gran parte di ciò che creiamo è labilissimo (mille anni per cancellare completamente i nostri artefatti architettonici), lo stesso vale fortunatamente per gli effetti più deleteri delle nostre attività.
    L’elettrosmog scompare completamente in quarantott’ore dalla nostra rimozione.
    L’eccesso di metano in atmosfera scompare in dieci anni.
    Cinquant’anni per ripulire i mari, cinquecento per ripristinare le barriere coralline erose dall’attività umana.
    L’elenco dei fenomeni che tornerebbero a instaurarsi in nostra assenza è anche, naturalmente, un lungo elenco di ciò che abbiamo perduto, grazie al nostro entusiasmo per il motore a scoppio e la carne di vacca.
    Leggere Weisman è quindi un buon esercizio in umiltà e un’utile lezione su come si scriva un buon saggio scientifico, affrontando in maniera rigorosa un argomento apparentemente eccentrico, collegando eventi ipotetici a reali contingenze.
    Il volume non si abbandona a moralismi e melensaggini.
    Non dice – ma ci fa capire – che sarebbe il caso di cominciare a vivere come se non ci fossimo.
    In modo da riavere le barriere coralline non in cinquecento, ma anche solo in mille anni.

    Il mondo senza di noi sarebbe selvatico, pulito, e molto silenzioso.
    E assolutamente desiderabile.

    Alan Weisman
    Il mondo senza di noi
    Einaudi, 2008,
    pp. 376, € 14,50
    Trad. N. Gobetti

    idem 
    Einaudi Et Pop, 2010
    € 11,00 

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