Elfriede Jelinek
Le amanti
Frassinelli
€ 10,50
trad. V. Bazzicalupo
Un libro che fa male. Si comincia col comprarlo perché le motivazioni del premio Nobel all’autrice sono intriganti. E anche se il primo tentativo di lettura su un testo più recente non aveva sortito grossi risultati, da qualche parte pungeva una curiosità inappagata, come una voce ossessionata a ripetere che quell’autore può essere approfondito, lo merita. Così grazie al Nobel c’è un sacco di scelta adesso, hanno ristampato tutto della Jelinek. E la copertina è davvero splendida, tanto da farti cercare l’autore, e che sia Giorgia O’Keeffe è un piacere in più. Il libro è del 1975. Non so bene perché ma mi fa un certo effetto notarlo. Quel libro ha trent’anni. Se fosse una donna sarebbe all’apice del suo splendore. E lo è pur senza essere una donna. Ho iniziato dicendo che è un libro che fa male. Fa male perché non lascia scampo, questa è Paula, questa è Brigitte, questa è la loro triste vita, questo il percorso inevitabile, non c’è riscatto possibile, non c’è spazio per voli pindarici. È un libro pesante, pesante perché capisci in che direzione va, l’autrice non si nasconde dietro un dito, non nasconde nulla, anzi a tratti anticipa perfino ciò che accadrà, sfilaccia segnali che preannunciano gli eventi, crea un’atmosfera cupa, claustrofobica, e tagliente. La scrittura è aguzza come schegge di vetro, implacabile come il fato, e più di una volta affiora la voglia di posarlo lì quell’accidenti di libro. Ma insomma, non dico le barzellette di Totti, ma non si può farsi del male così. E invece secondo me è doveroso leggerlo. Magari scegliendo accuratamente il momento, quello sì, ma va letto. Va letto perché ha una struttura forte, perché ha un alone onirico, perché ti porta dentro le viscere e il tempo e lo spazio di Brigitte e Paula e di Susi e di quanti vivono intorno a loro. Va letto perché sembra scritto a voce, come dire, sembra scritto a voce, esatto, non si può dire in un altro modo, perché inciampa e si rialza e corre e si ferma, e stacca un battito e diventa tachicardico e affannoso e sospeso. Ha ritmo, ha un ritmo incredibile, ecco cos’ha, ha un linguaggio asciutto, pulito, senza fronzoli e senza sbavature, legnoso come quando il legno è stagionato per bene. E va bene così, perché forse un modo così duro è l’unico per raccontare questa storia, o comunque è il migliore, il più efficace. A volte, raramente accade che i personaggi prendano vita sulle pagine, forse l’unico riscatto per questi personaggi è l’avere avuto la migliore espressione possibile.
da LN-LibriNuovi 32 – primavera 2005