Un libro che racconta la storia della chimica procedendo attraverso tutto il secolo scorso offre troppi spunti, porte aperte verso piani di discussione diversi, intrecciati in una costruzione vastissima. Partiamo allora dal titolo: Bella e potente. La potenza è sotto gli occhi di tutti e il racconto di Cerruti, fatto di storie di donne e di uomini, ne offre una testimonianza esauriente. Riguardo alla bellezza il discorso è diverso e sarebbe necessario parlare del linguaggio della chimica, della ricerca, della visione della realtà offerta da una scienza rivolta verso la molteplicità e occorrerebbero molte pagine per farlo: la bellezza della chimica
è ancora velata, nascosta quasi a tutti, per via di una certa torpidezza culturale dei chimici, che non sono stati ancora in grado di innescare una tradizione di storia, filosofia e divulgazione della propria disciplina come hanno fatto da tempo i fisici e, in anni più vicini, i biologi.
Se il pensiero corre a libri che uniscono la fisica a religioni orientali o a saggi sulla biologia che diventano trattati filosofici, allora il confronto con la chimica risulta deprimente per chi si trovi a stare per professione o interessi personali da questo lato del confine.
Il racconto di Cerruti segue un ordine cronologico e utilizza una ulteriore divisione per argomenti: da un lato si circoscrive un campo, dall’altro non si vuole perdere contatto con un filo continuo che lega la storia della chimica lungo tutto il secolo e la narrazione riesce a intrecciare in maniera feconda storia ed epistemologia. La chimica non produce solo conoscenze, ma anche sostanze: l’autore evidenzia più volte la ricchezza del ragionamento chimico che si trova sempre immerso in una realtà contrassegnata dal molteplice e che per propria natura si oppone a qualsiasi tentativo riduzionista. Gli individui chimici per struttura, forma e relazioni ampliano il panorama conoscitivo. Da questa massa di dati deriva la capacità di adattarsi al reale. Ad esempio Bohr applicando il suo modello atomico, in tempi pioneristici in cui la strumentazione era sostituita dai salti dell’intuizione, aggiusta i suoi dati sulla base delle conoscenze chimiche e per il metano propone «un modello molecolare che è corretto perché non dedotto a livello di calcolo, ma assunto sulla base della stereochimica». Una scienza che predilige la rappresentazione topologica a quella matematico-geometrica riesce a descrivere meglio le relazioni e le interazioni come nella semplicità di una formula chimica e qui, come nella sintesi di sostanze, è lo stesso linguaggio che deve trasmettere un significato a produrre nuovo significato.
Il saggio di Cerruti mette in rilievo idee e problemi con un discorso che è sempre legato alla storia e quindi alle persone: le due guerre mondiali scandiscono i capitoli centrali del libro e la chimica è raccontata in tutte le sue trasformazioni. Quando si parla del cambiamento prodotto sulla ricerca dall’introduzione di nuove tecnologie, la narrazione è attenta ai dettagli (dagli spettrofotometri Beckman DU agli apparecchi Perkin-Elmer Model 21) ed evidenzia tutte le ricadute sulle attività all’interno di un laboratorio e non solo, in quanto questa trasformazione è assai più profonda e fa parlare l’autore di un superamento della chimica classica che era stata dominata da un’indagine strutturale mediante reazioni («una prassi che era ad un tempo una sintesi materiale, fra molecole, e una sintesi intellettuale, fra gli elementi di una grande tradizione scientifica»). Le innovazioni aprono nuovi orizzonti: una conseguenza naturale, verrebbe da pensare, in una scienza contrassegnata dalla trasformazione, dalla molteplicità e dalla sintesi.
Il Novecento pur essendo «un solo» secolo rappresenta per la Chimica «almeno la metà della sua vita disciplinare», Cerruti infatti si attiene a un rigido principio che definisce la chimica come entità autonoma e seguendo il quale si può indicare l’inizio della storia della chimica nei primi anni dell’Ottocento. Il modello autopoietico, discusso nell’introduzione e che serve all’autore a individuare posizione e rapporti tra le varie discipline, acquista chiarezza nel corso della lettura e riguardo alla relazione che lega scienze diverse come la fisica, la biologia, la chimica risulta evidente che «le discipline interagiscono tra di loro secondo perturbazioni e non mediante istruzioni, così la chimica non ammaestra la biologia, e la fisica non determina il modo di conoscere della chimica». La maniera in cui la strumentazione fisica ha cambiato i laboratori chimici è una conferma del modello autopoietico costituito da un sistema vivo, capace di sentire, rielaborare e trasformarsi.
Al termine della lettura del libro colpiscono la passione che lo anima e le energie profuse per comporlo. Sono state consultate le fonti più svariate e in questa storia della chimica i protagonisti parlano, dove è possibile, con la propria voce. L’interpretazione nasce dalla disposizione degli argomenti trattati e il racconto non si interrompe mai. Questo risultato appare ancora più notevole considerando i temi esposti e una lettura dell’indice del libro è sufficiente a chiarire le difficoltà che si sono dovute superare, ma il mondo è qualitativamente ricco e nell’approccio a questa ricchezza risiede la bellezza della chimica.
[Nota della redazione]
Questa recensione ha inevitabilmente provocato qualche discussione in redazione. Luigi Cerruti, infatti, oltre che storico della scienza e autore del libro presentato, è anche da anni membro dello staff di LN. «Ohibò!», si è detto, «che facciamo, ci recensiamo i libri tra noi? Bella roba!».
Vero. D’altro canto ci è parso sinceramente filisteo – o peggio, ipocrita – far finta di nulla o segnalare il libro all’interno di uno spazio recintato e segnalato. Così ha prevalso il buon senso, anche alla luce dell’indiscutibile importanza del testo.
Luigi Cerruti
Bella e potente, la chimica del Novecento tra scienza e società
Editori Riuniti