Tutto sommato deludente il secondo volume della tetralogia dei robot di Rudy Rucker, Wetware gli uomini robot, Mondadori Urania, ed. or. 1988, trad. di Daniele Brolli e Margherita Galetti ripubblicato nel 2015 da Urania.
Può essere utile ripescare la recensione al primo volume della tetralogia – che riprendo qui sotto – dove sono presentati per la prima volta i simpatici (ma goffi) bopper, robot senzienti che, liberatisi della schiavitù loro imposta dagli esseri umani, si sono resi indipendenti e vivono sotto la superficie lunare.
In questa seconda parte – presentata in splendida solitudine – i bopper non hanno abbandonato il loro disegno di uguaglianza e libertà e organizzano una forma inusuale di invasione, creando i meatbop (robot di carne), creature contemporaneamente biologiche e artificiali. Ma il tentativo non ha successo. Non solo: la risposta umana è apparentemente tanto definitiva da eliminare una volta per tutte il problema dei bopper. O almeno, così pare. Già, perché sulla Terra esistono ancora gli asimov, bopper resi schiavi grazie a una complicata programmazione, una programmazione che è però possibile alterare…
Protagonisti della vicenda un clone robotico di Cobb Anderson, il creatore dei bopper, Berenice, bopper dotata delle fattezze di una playmate dalla pelle argentata, il pronipote di Cobb, hacker adolescente, Manchile, meatbop seduttore e una mezza dozzina di umani e bopper più o meno fissati e sballati.
Un mix accortamente cyberpunk, molto concitato e molto pasticciato e che ha il grosso difetto di non funzionare, nonostante le innumerevoli invenzioni e trovate. Il problema è che Rucker non abbandona mai il registro superficiale e cocciutamente divertito scelto già nel primo volume della tetralogia. I personaggi, poco più che dei nomi appesi alla pagina, sono costretti a ubbidire ai capricci di un intreccio involuto, con il risultato che anche i passaggi più significativi e drammatici del romanzo risultano sfocati e confusi. La satira politica, la commedia, la citazione si rubano continuamente il posto sul palcoscenico e al lettore, chiamato ad ammirare, viene irresistibile la tentazione di chiudere il libro e fare qualcosa di meglio. Poi si resiste, giusto per vedere quale sarà la prossima diavoleria che Rucker tirerà fuori dal cappello. Quanto basta per finire un libro, non certo per ritenerlo memorabile.
Come sempre volenterosa ma approssimativa e in qualche caso sciatta la traduzione. È molto probabile che una traduzione meno abborracciata avrebbe almeno in parte dissipato la sensazione di futile chiacchiericcio da genio-che-fa-dello-spirito che si coglie in diverse pagine.
Rudy Rucker (Rudolph Von Bitter Rucker per l’ateneo di Oxford e l’Università di Heidelberg dove insegna storia della scienza) è un autore “classico” del cyberpunk, ma questo suo Software, i nuovi robot, edito da Mondadori Urania è nel complesso un’opera deludente, indecisa tra la parodia e il dramma e troppo affrettatamente chiusa.
Dando un’occhiata al copyright si apprende che il romanzo è stato pubblicato la prima volta in edizione originale nel 1982 e rivisto dall’autore e ripubblicato nel 1995 e poi ancora nel 2000. Costituisce la prima parte di una Tetralogia dei Robot che comprende Software, Wetware (ed. orig. 1988), Freeware (ed. orig. 1997) e Realware (2000) dei quali Urania ha acquistato i diritti e che è già uscita integralmente come Software, i nuovi robot (Urania 1382, febbraio 2000), Wetware. Gli uomini robot (Urania 1418, luglio 2001 e Settembre 2015), Freeware. La nuova carne (Urania 1428, dicembre 2001) e Realware, la materia infinita (Urania 1497, 2004).
Se qualcuno sa spiegarmi la politica editoriale di Urania Mondadori gliene sarò grato…
Una delle passioni di Rucker è da sempre il rapporto tra l’intelligenza umana e quella artificiale e sicuramente uno dei suoi miti è l’Isaac Asimov delle tre leggi della robotica. In Software introduce i bopper, megacomputer autoreplicanti e autoprogettanti, forme di intelligenza artificiale caratterizzate da un rapporto problematico con la specie umana e anche con le altre forme di intelligenza artificiale. Scopo dei grandi bopper è quello di giungere ad una forma collettiva e condivisa di intelligenza che comprenda anche gli esseri umani, presumibilmente poco entusiasti della prospettiva.
Come avveniva anche nelle storie di Isaac Asimov, i Calibani della situazione, ovvero i robot, si dimostrano sistematicamente più simpatici e sardonicamente gradevoli degli esseri umani, che al confronto, mostrano tutta la loro insulsaggine. Rucker non pesta troppo sull’acceleratore per accentuare queste inevitabili caratteristiche umane, anzi, introduce il personaggio di Cobb Anderson, il creatore dei bopper, uomo modesto, scettico e saggio, ma il risultato è comunque che il romanzo prende un po’ quota giusto quando entrano in scena i robot veleggiando, in loro assenza, tra il racconto metropolitano e la consueta storia di sballati più o meno geniali.
Ahimé discutibile la traduzione di Daniele Brolli, un uomo che ha il grosso difetto di appassionarsi per autori e storie che appassionano anche me, con il risultato di trovarmelo perennemente tra i piedi, armato di tutto il suo entusiasmo fumogeno e la sua mancanza di orecchio al ritmo dei testi.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.