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    TerraNova

    Un’innocenza letale

    • di Massimo Citi
    • Dicembre 28, 2012 a 2:23 pm

    di Massimo Citi


    Dallo stesso brano de La terra desolata di T.S.Eliot dal quale aveva tratto il titolo di un altro romanzo del ciclo della Cultura, Pensa a Fleba, Iain M(enzies) Banks ha ricavato il titolo di questo Volgi lo sguardo al vento che conclude simbolicamente il ciclo, ponendosi cronologicamente a otto secoli di distanza dalla guerra tra gli Idirani e la Cultura. 
     
    La guerra si era conclusa quasi ottocento anni prima e la vita era andata avanti. Eppure, la luce aveva attraversato lentamente lo spazio impiegando tutti questi secoli e soltanto ora, secondo i criteri della relatività, erano esplose quelle stelle. Tutti quei miliardi di esseri erano morti solo in quell’istante […]
    Per una società che ritiene di basare la propria politica su criteri etici come la Cultura la battaglia delle Novae Gemelle durante la quale erano stati distrutti due sistemi stellari, costituisce tuttora un elemento di riflessione e di giudizio sugli errori commessi. Ma gli errori della politica estera del sistema multisistemico umano, guidato e diretto dalle Menti, le Intelligenze Artificiali che controllano ogni aspetto della vita produttiva, economica e sociale umana, non si limitano alla guerra Idirana. In anni più recenti la Cultura, nel nome di un concetto di progresso e di democrazia che non è necessariamente condiviso da tutte le razze senzienti della Galassia abitata, ha provocato attraverso la sua influenza politica una profonda crisi nel sistema di Ghel, crisi che ha innescato una breve e sanguinosa guerra civile.
    Tra le conseguenze di questa guerra, la nascita, presso alcuni ambienti politici di Ghel, di un diffuso rancore nei confronti della «ricca, decadente e pagana» Cultura. Un rancore che conduce a progettare e organizzare un attentato contro un obiettivo civile di grande significato simbolico, pianificando la morte di qualche miliardo di persone.
    Il romanzo di Banks è stato pubblicato nel 2000, giova ricordarlo, non nel 2002. Come giova ricordare che la Cultura costituisce una forma del tutto peculiare di utopia, nella quale gli esseri umani hanno la possibilità di coltivare curiose manie o futili passioni ma non di dare un contributo essenziale alla conduzione politica, economica o sociale del sistema di governo.
    Le Menti che governano la Cultura sono per antonomasia entità innocenti, ma l’innocenza, come ci ha insegnato Chesterton, non coincide con l’ingenuità né, a maggior ragione, con la superficialità.

    Definita in vario modo – per qualcuno persino «comunista» – la Cultura inventata da Banks è un’entità politica ibrida, dove si ritrovano elementi di gran parte delle ideologie radicali che hanno attraversato il XX secolo, strappate al limbo dell’utopia con la pragmatica applicazione da parte di strutture senzienti non umane. L’elemento di particolare interesse del sistema politico della Cultura sta nel volgere in termini positivi un caratteristico incubo della sf (e non solo): la società dominata dalle macchine, ovvero da un determinismo meccanico che esclude radicalmente l’intuizione e l’emotività umana. E qui il primo riferimento che viene alla mente non è letterario ma cinematografico: il ciclo di Terminator.
    L’aver postulato un universo compiutamente postideologico (e in ultima analisi postumano) permette a Banks di giocare costantemente sulla linea d’ombra tesa tra l’utopia e l’incubo, moltiplicando, sovrapponendo e contrapponendo i punti di vista a proposito dello «stato delle cose» tra macchine, umani e alieni.
    Tuttavia per ottenere il migliore effetto di straniamento, come in questo Volgi lo sguardo al vento, Banks attribuisce il punto di vista principale sulle vicende a personaggi non-umani. Alieni come i Gheldriani e gli Homomda o artificiali come Il Mozzo, la Mente che governa l’obiettivo dei terroristi Ghel: l’orbitale di Masaq’. Un tipo davvero peculiare di Mente che ha conosciuto l’assurdo e la barbarie della guerra, tanto da aver sviluppato una concezione decisamente pessimistica della realtà.

    Corollario alla visione postideologica del mondo, un relativismo etico che obbliga il lettore a districare e risolvere i conflitti interiori nati dal provare simpatia e immedesimazione con il terrorista Ghel incaricato di portare a termine il massacro di civili e innocenti e contemporaneamente partecipazione con i membri di CS (Circostanze Speciali, la struttura deputata alla risoluzione di crisi interne e internazionali della Cultura) chiamati a salvare l’orbitale Masaq’ e, infine, selvaggia soddisfazione nell’assistere alla singolare punizione dei mandanti Ghel. L’etica delle Menti è, infatti, nuovamente, pragmatica. Crudele in maniera talvolta stravagante, ma perfettamente efficace nell’eliminare o neutralizzare i portatori di una minaccia, senza pietismi o superflui elementi di dubbio. Si assiste così al paradosso, attentamente orchestrato dall’autore, di una società che contemporaneamente incarna il più alto grado possibile di condotta etica (ripudio della guerra, rinuncia a una struttura militare stabile, cure mediche gratuite per tutti, altissimo tenore di vita, virtuale immortalità) mentre risolve i problemi di politica estera e di equilibrio internazionale con raffinata ed efficiente brutalità, secondo i parametri di una morale esclusivamente funzionale.
    Come dire: non vi ricorda nulla…?
    In questo senso parlare della Cultura come di un’utopia desiderabile è, forse, quantomeno impulsivo. Nell’«Universo della Cultura» si rispecchiano genialmente deformati e dislocati i tratti della politica interna e internazionale dell’ultima parte del secolo appena trascorso. Vi si incontrano simbolicamente l’assassinio politico come prassi abituale e la guerra etica, parti di un interminabile apprendistato alla comprensione del fenomeno «intelligenza naturale» da parte delle macchine.
    La società teocratica Idirana di Pensa a Fleba o il rigido mondo Ghel, diviso in caste, costituiscono in ultima analisi la parte compiutamente umana (e irrazionale) dell’Universo immaginato da Iain M. Banks. I mondi – o se si preferisce le forme sociali e produttive – destinati alla sconfitta di fronte alla generosa, tecnocratica e invasiva organizzazione dei mondi postumani. E l’etica della sconfitta onorevole, del nobile tentativo condotto in circostanze disperate, del coraggio e della rettitudine sconfitte infatti, caratterizza i personaggi più intensi e riusciti del ciclo della Cultura. Tutti alieni, peraltro…
    Ma Banks, autore immaginifico, raffinato e politicamente sensibile come pochi altri nella sf contemporanea, in definitiva, da che parte sta?

    Iain M. Banks

    È una domanda che i suoi lettori, e tra questi anch’io, devono essersi posti in più di una circostanza, ma si tratta di una domanda elementare, sono costretta ad ammettere. Il genere di domanda – di utilità nulla ai fini dell’analisi di una situazione – che può capitare di porsi leggendo il giornale o assistendo a un TG. Dividere il mondo tra amici e nemici è sicuramente una forma di conforto ma raramente aiuta a fare ipotesi ragionevoli sullo stato delle cose. Proprio ciò che autori come Iain Banks (con la M. o meno) e pochi altri sia nella narrativa sf sia nel mainstream cercano di evitare, rappresentando mondi complessi e (necessariamente) ambigui. Alla mia non più verde età debbo ammettere che è proprio di questo genere di letteratura e di autori che ho bisogno.

    Iain M. Banks
    Volgi lo sguardo al vento
    Fanucci, 2004, ed. or. 2000, pp. 437, € 17,00
    trad. Leonardo Rizzi
    (titolo attualmente fuori catalogo ma reperibile presso le biblioteche, o – ma a caro prezzo – presso ebay)

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