P.K. Dick è ormai un autore di culto.
Se lo merita per averci fatto l’ambiguo regalo del dubbio. Ci ha mostrato quant’è sfilacciato il tessuto del nostro mondo quotidiano, ci ha fatto sospettare che esistano altre realtà nascoste sotto e oltre quella che conosciamo, ha risvegliato la nostra paranoia. Per molti di noi il mondo, dopo aver letto La svastica sul sole, Scorrete lacrime…, L’Uomo dai giochi a premi, è diventato diverso.
Ma ridurre l’ispirazione di Dick a questa visione paranoica che affonda oltre la quotidianità quasi senza vederla, non gli fa giustizia. Peggio, non ci permette di vedere il filo rosso che unisce i suoi romanzi mainstream a quelli di genere, e li riduce a opere suggestive ma un po’ imbarazzanti, che vanno incastrate a forza in una scatola di misura diversa.
Due romanzi, L’uomo dai denti tutti uguali, pubblicato daFanucci e tradotto da Vittorio Curtoni, e In terra ostile, pubblicato da Einaudi e tradotto da Daniele Brolli, sono vittime significative di questa tendenza. Entrambi sono stati scritti prima del 1960 – come altri non di genere che Dick non riuscì a pubblicare – ed entrambi sono ambientati alla fine degli anni ’50.
L’uomo dai denti… si svolge a Carquinez, una delle tante cittadine satellite della grande San Francisco, arrampicata in mezzo al verde, a due passi dall’oceano. Lo scontro tra Leo Runcible – l’agente immobiliare venuto dalla metropoli, deciso a guadagnare vendendo case ai cittadini in cerca di una sana comunità di provincia – e Walt Dombrosio – grafico creativo e competente pieno di domande su se stesso e i propri moventi – ha un’origine assurda: di slancio Walt invita a cena Charley, il meccanico nero che si occupa della sua auto. A causa del passaggio di Charley in una comunità rigorosamente bianca, Leo litiga con un cliente e lo accusa di razzismo e nazismo. Appena spenta l’indignazione, però, lo rinfaccia a Walt, coinvolgendo nella contesa la moglie Janet, una casalinga fragile di nervi che sta scivolando nell’alcoolismo, e Sherry, la brillante moglie di Walt, che mal sopporta di aver dovuto rinunciare alla professione dopo il matrimonio. Cominciata con una telefonata di insulti, la lite si ingigantisce, dispetti e ritorsioni coinvolgono altri abitanti e alzano sempre più il livello dello scontro; le conseguenze per i due – che si intrecciano ai rispettivi problemi di coppia – saranno la perdita del lavoro per Walt, che non perdonerà a Sherry di riuscire a mantenerlo, e un perfido scherzo giocato a Leo, che lo spingerà a indebitarsi sino al collo per difendere il proprio punto di vista.
In terra ostile inizia con la sosta di Bruce Stevens, giovane ma abile venditore di Reno, a Montario, il brutto paese dell’Idaho dov’è nato. Qui Bruce incontra Susan, una donna affascinante di dieci anni più vecchia, che è stata sua insegnante di scuola media. Presto i rapporti tra i due si approfondiscono e Susan, sola a occuparsi della figlioletta e di un negozio di forniture per ufficio, si rivela poco abile negli affari, desiderosa di essere affiancata in entrambe le responsabilità. Bruce si adatta facilmente al suo ruolo di gestore e di compagno: sposa Susan e si occupa con competenza del negozio, spinto dal desiderio – prima sconosciuto – di avere una famiglia sua, di dirigere la propria vita, di fermarsi dopo aver percorso gli Stati Uniti in lungo e in largo alla ricerca di merci convenienti. Ma Susan ha un carattere difficile, insieme pessimista ed eccessivamente controllato e, nonostante il suo desiderio di affidarsi, trova difficile – anche per la differenza di età – lasciar prendere le decisioni a Bruce. I rispettivi ruoli di un tempo – alunno e insegnante – complicano le cose, suscitando domande e dubbi rispetto al loro rapporto d’amore attuale, su cui getta un’ombra la presenza sfumata di Milt Lumky, uno strano e ironico rappresentante di commercio, solo e incapace di stabilire relazioni durature.
P.K.Dick |
Entrambi i romanzi sono ottimi esempi di attenzione lucida e rispettosa per i moventi personali, della capacità di Dick di costruire trame complesse intorno a piccoli eventi quotidiani. Lo stile – che Brolli nella postfazione definisce «ordinario e spesso minato da un lessico limitato e da un linguaggio anonimo» – è in realtà adeguato alla narrazione, volutamente dimesso, felicemente inavvertibile; e permette al lettore di scivolare nella storia senza rendersene conto.
A prima vista i romanzi non sembrano collocabili nel filone dickiano: qui non ci sono gli infiniti livelli del reale, ma soffocanti rapporti di buon vicinato, party di fine anno dove strisciano vecchi rancori travestiti da confidenza e da scherzi bonari, vere strade che non finiscono mai, gente stanca che scende di macchina solo per riposare due ore in un motel e servirsi del bagno, in una efficace rappresentazione on the road lontanissima dal mito di Keruak.
Ovviamente la tentazione di entrare in questi romanzi con la chiave che apre le porte degli altri romanzi di Dick è forte: né Brolli né Voltolini (l’altro postfattore) vi si sottraggono, interpretando lo scenario come «un sistema deterministico in cui la fuga può essere tentata solo attraverso l’intuizione (…) la realtà (…) è una trappola da cui non si esce. (..) lo sbocco di un mondo che non finisce oltre le quinte è l’integrazione.» (Brolli); «A Dick basta deviare di qualche grado la direzione del racconto per farlo avvampare in questo falò dell’orrore puro (…) la possibilità dell’orrore alla fine diventerà, in un modo o nell’altro, la realtà dell’orrore. (…) L’orrore è una caratteristica del futuro, del luogo in cui tutti stiamo andando.» (Voltolini). So bene che estrapolare alcune frasi non è un’operazione completamente corretta; personalmente ritengo l’interpretazione di Voltolini più condivisibile e meno forzata di quella di Brolli, ma il punto non è questo. Spinti dalla lettura di altri (forse non molti) romanzi di Dick, entrambi hanno sottovalutato le tante parziali realtà in cui i personaggi delle due vicende frantumano e rispecchiano la loro quotidianità: a Carquinez e a Montario i livelli molteplici del reale non stanno uno sotto l’altro, uno dentro l’altro, ma convivono nelle menti dei personaggi come nelle menti nostre e dei nostri vicini, amanti, figli. Nessuno comprende fino in fondo ciò che provano – ciò che vivono – gli altri. È questa incapacità di sforare la propria realtà, la vera trappola, ciò che determina a priori e rende inevitabilmente tragico il destino di tutti.
Eppure nemmeno dire questo è sufficiente: debolezze, squallori e piccoli eroismi, egoismo, insensibilità, empatia, tutti i moventi e le emozioni dei personaggi coesistono, si mescolano, sfociano in alcune inaccettabili crudeltà, in qualche consolante dimostrazione di tolleranza, tutto può diventare – senza arbitrio – il proprio opposto. E nei romanzi di FS di Dick che ho amato di più, come Scorrete lacrime…, Un oscuro scrutare, La svastica sul sole – al di là della paranoia e in mezzo ad essa – esistono il medesimo rispetto e la medesima curiosità per le persone, che non giunge ad essere speranza ma è ugualmente struggente. La gente di Carquinez e di Montario che non riusciamo ad apprezzare fino in fondo, che ci suscita l’imbarazzato desiderio di volgere lo sguardo, di smettere di leggere, potremmo essere noi.
Un’ultima notazione: la postfazione di Brolli contiene il riferimento obbligato a L’Uomo dei giochi a premi, scritto nel medesimo anno deIn terra ostile, più volte ripubblicato da Sellerio in questi mesi, e ripreso liberamente nel film Truman show. Mi chiedo perché invece non citare un romanzo realistico come Confessioni di un artista di merda, dove Dick fa un altro efficacissimo ritratto di donna, degno di Susan e di Sherry. È un peccato che nemmeno Voltolini lo citi, o faccia riferimento a un romanzo poco noto come L’Occhio nel cielo dove sono messe in scena fino alle estreme conseguenze e con effetti parodistici, che non sono estranei nemmeno a L’uomo dai denti tutti uguali, le visioni del mondo – radicalmente inconciliabili – di sette differenti personaggi.
P.K.Dick
L’uomo dai denti tutti uguali
Fanucci, 2006
pp. 331, € 14,00
Cur. C. Pagetti
Trad. M. Nati
P.K.Dick
In terra ostile
Einaudi ET Scrittori, 1999
pp. 267, € 7,75
Trad. D.Brolli