Tra le tante iniziative – questa meritoria, altre decisamente meno, della Newton Compton editori – voglio segnalare LivE, una collana di volumetti al prezzo di € 0,99. LivE ospita veramente di tutto, da Freud a Seneca, da Scott Fitzegerald a Dostoevskij da Virginia Woolf a Sun-Tzu, passando per Pirandello, Stevenson e Bulgakov. Un’iniziativa, credo molto appetibile per giovani lettori curiosi e con budget limitato, che ai miei tempi avrei molto gradito. Purtroppo, non essendo più un giovane lettore, ormai ho letto la maggior parte dei titoli… dei pochi rimasti, due o tre continuano a non interessarmi, e un paio li ho comprati. Questo, di H.P. Lovecraft, ad esempio, che contiene due racconti che sono quasi certa di aver già letto (ma in quale scaffale saranno finiti?): La casa stregata, che dà il titolo al volume, e L’orrore a Red Hook. Il libretto è smilzo, pesa pochissimo, si può portare in borsa e leggere arrivando in anticipo a un appuntamento (evenienza per me molto improbabile, direbbero i miei congiunti), font agevole e interlinea non assassina permettono la lettura senza occhiali, un vantaggio che per me – che ho sempre letto ovunque e vorrei continuare a farlo – può costituire la differenza.
Ho fatto bene a comprarlo. La traduzione di Gianni Pilo è integrale e abbastanza curata [1], i racconti sono preceduti da una prefazione, sempre di Pilo, e da una cronologia di vita e opere. Complessivamente la lettura fornisce spunti di riflessione e solleva curiosità che possono essere soddisfatte in Internet, soprattutto in vacanza quando, una volta tanto, dedicare tempo a piccole questioni non di primaria importanza non è un lusso impossibile da soddisfare.
Ecco perché ho dedicato qualche ora a documentarmi e scrivere un post per la La casa stregata. Qui mi limiterò alle questioni principali, chi volesse soddisfare ulteriori curiosità può cliccare qui e leggere la versione più lunga del post nel mio sito. Esercizi di dubbio
Innanzitutto le trame
I due racconti non appartengono al corpus dei «Miti di Chtulhu»: gli Antichi non vi sono nemmeno nominati, i riferimenti a libri malvagi sono ridotti al minimo, il Male incontrato dai protagonisti è senz’altro maiuscolo ma ancora compatibile con un universo (quasi) a misura umana.
Un aspetto interessante (non insolito per l’autore) delle due storie è la particolare inclinazione di Lovecraft verso l’architettura urbana. In molti suoi racconti ho imparato che esistono angoli impossibili, forme non per occhi umani, e via orripilando, ma qui c’è una descrizione puntuale e perfino pistina delle case e dei quartieri.
Con un po’ di pazienza (ma dove comincia davvero questa storia di paura?), leggendo il primo racconto ho imparato diverse cose sulla costruzione delle case e dei quartieri settecenteschi e ottocenteschi di Providence. Chi se ne frega, si potrebbe dire. E invece no, la casa in questione è il personaggio principale, e Lovecraft sostiene che proprio davanti ad essa, Poe fosse passato diverse volte durante un soggiorno in città. Insomma la descrizione non è affatto fuori luogo:
La casa […] aveva infatti il grande tetto aguzzo, l’entrata georgiana, e la tappezzeria interna dettata dal mutamento di gusto dell’epoca. Si affacciava a sud, ed era interrata fino alle finestre del piano inferiore nel fianco est della collina, mentre la facciata posteriore guardava sulla strada […] All’inizio il muro ovest era stato eretto su una prato inclinato di circa settanta metri rispetto alla strada, ma l’ampliamento di questa al tempo della Rivolta, tagliò la maggior parte dello spazio circostante cosicché, davanti alla cantina, non ea rimasto che un piccolo riquadro della pavimentazione stradale […]
Per farla breve, La casa stregata è un racconto compatto, ben congegnato, col suo bel crescendo orrorifico; la descrizione dell’entità maligna, chiamiamola così, è suggestiva e ben preparata nei capitoli precedenti. La storia si conclude con la vittoria umana, anche se pagata a caro prezzo.
Anche il secondo racconto, L’orrore a Red Hook, mostra una certa maniaca attenzione architettonica ai luoghi
Red Hook è un agglomerato di sordide miserie a ridosso del vecchio porticciolo […] con strade luride e pontili che si inerpicano verso la collina […] I caseggiati, prevalentemente di mattoni, furono costruiti tra il 1915 e il 1920, ed i vicoli e le stradine meno illuminate rievocano un piacevole sapore di antico [N.B. L’autore la visitò nel 1925!) che si può definire “tipicamente dickensiano” […] In questo quartiere , in passato, lo scenario era molto più ameno […] villette di buon gusto si ergevano dove adesso i caseggiati costeggiano la collina. Anche oggi si possono ritrovare tracce di quella tramontata serenità nello stile armonioso degli edifici, nelle minute chiesette che spuntano qua e là, […] ogni tanto tra le miriadi di finestre , spunta un guglia […]
Una descrizione francamente suggestiva, che si dipana dettagliata, con tanto di nomi di vie e di edifici. La storia è una delle poche a cui Lovecraft abbia dato un’ambientazione quasi interamente urbana, scegliendo come set proprio Red Hook, allora un vero e proprio slum del dipartimento di Brooklyn, abitato da una comunità composita e interraziale, visitato da Lovecraft durante il suo unico soggiorno a New York. Per informazioni più dettagliate sulla storia del quartiere e sulle ragioni della visita di Lovecraft cfr. Esercizi di dubbio
La trama del racconto – più sgangherato del primo e decisamente più urticante – è abbastanza complicata. Il protagonista, Thomas F. Malone, è un poliziotto quarantenne newyorkese di origine irlandese, dotato «della facoltà tutta celtica di percepire da lontano qualsiasi elemento occulto e magico, ma anche l’occhio acuto del logico che scarta quanto non è convincente». In congedo temporaneo per motivi di salute (ha vissuto un’esperienza terribile e misteriosa che è costata la vita a molti fedeli colleghi), Malone, armato del proprio sesto senso celtico, individua il Male antico annidato in Red Hook, che agisce attraendo perdigiorno e piccoli delinquenti di varia immigrazione, ma soprattutto un eccentrico studioso di esoterismo.
Questo amalgama di putridume materiale e spirituale scagliava verso il cielo bestemmie pronunciate in cento dialetti diversi. La gente brulicava […] facce colpevoli e fosche […]
Usando invece il proprio occhio acuto e logico, Malone sa che:
… l’uomo moderno, quando non esistono leggi, tende a sfogare gli istinti più tenebrosi, che risalgono ai nostri scimmieschi, primitivi antenati, nella vita ordinaria, e nelle manifestazioni di culto.
I soggetti che inquietano Malone sono «giovani dalla faccia rovinata e dallo sguardo torbido» che passano il tempo libero davanti ai portoni delle case, a «suonare musiche incomprensibili con strumenti rimediati chissà dove» (che suonassero, dio-non-voglia del jazz?) e soprattutto li tiene d’occhio perché
… credeva di percepire in loro l’orrida minaccia di una continuità nascosta, un qualche piano infernale insondabile e primitivo […] intuiva, che in qualche modo perpetuavano un culto selvaggio e osceno, retaggio di pratiche e rituali più antichi dell’umanità stessa.
Inutile dire che Malone aveva ottimi (anche se un po’ confusi) motivi di temere.
Di buon impatto, soprattutto grazie ad alcuni dettagli ben piazzati e a una descrizione di prima mano del quartiere (visitato da Lovecraft nel marzo del 1925), la vicenda mescola, come dimostrano le poche citazioni, un po’ di tutto: la realtà, tuttora riscontrabile, di un qualsiasi slum o favela, dove la legalità è per molti un lusso, un’evenienza ben di là da venire e per pochi un limite facilmente valicabile con tanti soldi e pochi scrupoli; la difficoltà, sempre attuale di far convivere molte etnie differenti; la paura degli stranieri, che fin troppo facilmente diventano «estranei»; alcune questioni decisamente attuali sulla realtà dell’immigrazione:
Li avevano trasportati delle vaporiere che assomigliavano più che altro a vecchie navi merce, e il loro sbarco era avvenuto di notte, quando non c’era la luna, mediante barche a remi che partivano da un molo designato […] Alla domanda da dove venissero, gli informatori diventavano reticenti, e non si sbottonavano mai sino al punto di rivelar il nome di chi le aveva contattati e aveva provveduto alla loro immigrazione.
E questi aspetti, occorre ammetterlo, sono pregi, a loro modo, e costringono i lettori – a cominciare da quelli italiani – a confrontarsi con l’orrore del mondo là fuori, non quello cosmico degli Antichi, ma quello quotidiano più o meno vicino ai quartieri tranquilli dove abitano molti di noi.
Devo riconoscere che le mie letture del Solitario di Providence fatte in troppo verde età non mi avevano preparato a queste riflessioni.
Scritto questo, resta un problema alquanto imbarazzante, costituito da quella che anche i più fedeli e appassionati fan di Lovecraft sono costretti a chiamare la xenofobia – il razzismo, detto in modo più esplicito – del loro autore. Ad esempio, continuando la lettura chiunque può rendersi conto che per l’autore le pessime condizioni di viaggio e di arrivo rendono gli sventurati immigrati più e non meno colpevoli, è un’aggravante a loro carico. Io, comunque, non mi aspetto che i grandi autori siano anche grandi esseri umani, quindi non mi acciglio e non sobbalzo leggendo certi passaggi del racconto, però sono curiosa e ho cercato di conoscere la storia delle storia. Potete trovarla in Esercizi di dubbio
È risaputo quanto Lovecraft fosse a dir poco un conservatore, si considerasse un fedele suddito di Sua Maestà inglese, e che, come scrive Gianni Pilo, detestasse «fino al limite della ferocia, ogni intrusione straniera nell’integrità culturale del suo amato New England». Devo confessare che l’origine intensamente puritana di questa «integrità culturale» mi fa un po’ rabbrividire, ma posso comprendere. Red Hook è una buona testimonianza del pensiero «politico» di Lovecraft e suscitò polemiche già al tempo della sua pubblicazione: Lin Carter chiamò la storia «un pezzo di vetriolo letterario», S.T. Joshi, nella sua biografia H. P. Lovecraft: A Life, la definì «orrendamente cattiva» e Peter Cannon affermò che «il razzismo è una povera premessa per una storia horror». Concordo, ovviamente, anche perché sarebbe troppo banale – nella narrativa fantastica – appiccicare l’etichetta di «cattivi» a tutti i non-umani. Ma, secondo me, in Red Hook c’è anche altro.
Nel racconto ci sono, ad esempio, la cultura dell’autore, ampia e composita e, soprattutto, profondamente «libresca», cioè imparata in lunghe ore trascorse nella biblioteca del nonno, la sua scrittura elegante e aristocratica e soprattutto le sue conoscenze scientifiche, vaste e ovviamente libresche, il suo fondamentale razionalismo, che non è in contrasto ma semmai completa e rafforza la natura onirica del suo orrore.
Leggendo Red Hook mi è tornato in mente che proprio negli anni Venti l’Europa e gli Stati Uniti furono percorsi da un tipo di pensiero che – mal mescolando un evoluzionismo che distorceva il pensiero di Darwin, la boria colonialista e la peggiore eugenetica – giustificava la cacciata di un gran numero di immigrati (ivi compresi tantissimi italiani) sulla base di test inappropriati e razzisti (spiace dirlo ma proprio in Red Hook Lovecraft plaude alle ingiustizie perpetrate a Ellis Island, il porto nel quale sbarcavano gli immigrati). Le medesime classificazioni venivano abitualmente applicate agli americani indigenti, con azioni anche legali che portarono alla sterilizzazione di un gran numero di donne.
Per una documentazione sull’argomento niente di meglio di Intelligenza e pregiudizio, un grande saggio di Stephen J. Gould.
Leggendo in Red Hook, passi come questo:
In quel luogo fermentava un contagio che avrebbe infestato e inghiottito tutte le città, ammorbando le nazioni intere col lezzo pestilenziale di un morbo ignoto. I peccati dell’intero universo si erano concentrati lì e, al pulsare di crescenti ritmi blasfemi, era iniziata la danza macabra della morte che avrebbe corrotto tutti gli uomini, fino a degradarli a fungosità giganti, troppo mostruose persino per essere accolte nei sepolcri.
mi è tornato in mente un racconto di Leigh Brackett – il titolo sfortunatamente non lo ricordo, ma forse qualcuno vorrà aiutarmi – nel quale una certa Lady Fans, nobile e fascinosa marziana, tra gli ultimi discendenti di un popolo ormai decaduto, partecipa a riti che forse Lovecraft avrebbe definiti «perversi e innominabili», a base di una certa droga che provoca una sorta di evoluzione alla rovescia – chiamiamola devoluzione (un termine che, preso alla lettera, farebbe sobbalzare qualunque moderno evoluzionista, perché sottintende che il percorso evolutivo è una via lineare percorribile esattamente nelle due direzioni) – fino a ritornare creatura primordiale e invertebrata.E questo ricordo mi ha condotto a un racconto di Machen, La polvere bianca, che ruota intorno a un’idea abbastanza simile.
Va da sé che i due (bei) racconti non hanno alcuna base scientifica, dal momento che la «de-voluzione» qui è riassunta in un solo individuo della specie. Un’idea a suo modo suggestiva ma (fortunatamente) del tutto sbagliata, che circolava all’epoca, nel milieu culturale della letteratura fantastica.
Infine, leggendo Red Hook ho anche ricordato un dettaglio della vita di Lovecraft: sua madre, non troppo equlibrata, per tenersi il figlio accanto, gli «ricordava» quanto fosse brutto e quindi possibile vittima di scherzi e discriminazioni da parte dei coetanei. Meglio starsene a casa e non mettersi in gioco.
In realtà non si tratta affatto di un dettaglio, ripensando alla misantropia di Lovecraft, e me lo ha fatto sentire più vicino.
1. Ad ogni modo qui potrete trovare quasi l’opera omnia di Lovecraft in versione originale, compresi La casa stregata (The Shunned House) e L’orrore a Red Hook (The orror at Red Hook)
Qui troverete numerose fotografie dell’autore e dei luoghi in cui visse
Howard P. Lovecraft La casa stregata
Newton Compton,«LivE», pp.124, € 0,99
Trad e cura di G. Pilo
Stephen J. Gould Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo
Il Saggiatore, «saggi tascabili», pp. 382, € 11,00
Disponibile in e-book
Trad. A. Zani
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