di Massimo Citi
C’era una volta la fantascienza che urlava e stupiva, le astronavi scintillanti, gli intrepidi cosmonauti e gli alieni minacciosi, le colonie spaziali illuminate da stelle dai colori esotici. Insomma, lo spazio infinito e insondabile e i piccoli, miserabili umani che partono alla sua conquista.
La fantascienza è stata, fra le altre cose, l’ultima grandiosa incarnazione del racconto ottocentesco di avventure di viaggio. Romanzo dell’ultima frontiera in senso proprio. Adesso che il massimo di avventura di viaggio consiste nell’evitare di farsi grattare il bagaglio in aeroporto è normale che la fantascienza letteraria vivacchi tristemente anche se «là fuori» l’universo si dimostra persino più vario e interessante di quanto sarebbe stato possibile credere anche solo vent’anni fa.
Ma apparentemente di questo a nessuno, autori e lettori di fantascienza in testa, importa nulla.
Questo curioso romanzo di Jonathan Lethem, scritto nel 1998, nasce da qui, dalla normalità un po’ deprimente e un po’ pantofolaia alla quale è approdato il romanzo fantascientifico. Si svolge in un futuro abbastanza prossimo, nel quale la Terra è diventata un luogo sostanzialmente invivibile ed esistono comunicazioni interstellari, tanto che è diventato possibile andare a vivere sul pianeta degli Archisti, un pianeta piuttosto diverso dalla Terra ma perfettamente abitabile. Sul pianeta vive anche una specie aliena, gli Archisti, così chiamati dagli umani per le loro fissazioni architettoniche.
Un tema e un’ambientazione che sembrerebbero appartenere a pieno titolo alla tradizione del romanzo fantascientifico.
Ma, come vedremo, Lethem ha ben altro per la testa.
Il racconto si apre con una gita familiare sulla spiaggia, una corvèe allucinante nella quale difendersi dall’esposizione alla luce solare sembra essere la principale preoccupazione della famiglia. Una ventina di pagine strepitose per l’invenzione e il sottile umor nero che permea la situazione.
Protagonista del romanzo è Pella, un’adolescente quattordicenne cresciuta in un mondo nel quale la luce solare diretta provoca devastanti tumori alla pelle, moderatamente curiosa, ma senza particolari ardori, di vedere il nuovo mondo sul quale i genitori hanno deciso di trasferirsi. Una decisione che lei sospetta sia soprattutto una conseguenza del fallimento della carriera politica del padre. A essere poco entusiasti per il trasloco sono anche i suoi due fratelli minori che, tutto sommato, preferirebbero rimanere sulla Terra. Una famiglia normale, anzi normalissima per i nostri tempi, nella quale i giovani sono anche più abitudinari e accidiosi dei genitori.
Il pianeta degli Archisti si rivela un luogo poco entusiasmante. Privo di luna, zeppo di rovine o forse di costruzioni non terminate ha il grosso pregio, grazie all’antica ed efficientissima industria OGM degli archisti, di fornire cibo senza che sia necessaria alcuna fatica. In quanto agli alieni sono pochi e, per lo più, non paiono tipi troppo svegli. Esiste il sospetto presso gli umani residenti sul pianeta che siano in realtà i più stupidi, lasciati sul posto dai loro fratelli più attivi e geniali che hanno abbandonato il pianeta per esplorare lo spazio.
Jonathan Lethem |
Gli umani che vivono sul pianeta, dal canto loro, hanno grossi problemi di ambientazione e di convivenza. Tirano a campare in una sorta di villaggio residenziale che ha finito con l’assomigliare sempre di più alla tipica cittadina di frontiera americana, provinciale e dimenticata, dove sotto uno strato sottile di annoiato spleen covano violenze, gelosie e intolleranze.
Difficile immaginare un’ambientazione più lontana dalla tradizione del romanzo di sf.
In questo ambiente marginale e deprimente la giovane Pella, chiamata a incarnare il ruolo della madre morta poco prima della partenza, realizza dolorosamente il suo passaggio all’età adulta, dopo aver conosciuto la rabbiosa, meschina e autodistruttiva follia dei suoi simili.
Prima di giungere al termine del romanzo Lethem scopre una alla volta le sue carte, ribaltando più volte il senso del suo romanzo. Nulla rimane a lungo fedele alla sua immagine, in Ragazza con paesaggio. Efraim Nugent è il villain della vicenda ma può in realtà essere l’unico individuo sano di mente in una comunità che va rapidamente alla deriva, gli Archisti sembrano individui fatui e infantili ma forse la loro è soltanto l’abile rappresentazione di creature praticamente immortali decise a investigare i misteri della psiche umana, i piccoli cervi domestici che frequentano le case degli umani possono apparire come creature innocue, ma nella loro natura enigmatica può essere celato un segreto fatale. Ed è infine possibile che gli umani debbano alla fine comprendere che il luogo nel quale vivono ha regole e condizioni che impongono loro di cambiare profondamente.
Lethem ha saputo utilizzare strutture narrative normalmente separate – il romanzo di fantascienza, il romanzo di formazione e il romanzo di frontiera – per creare un’opera unica che riesce a conservare gran parte del fascino dei tre filoni narrativi ai quali è ispirato. E ai lettori di sf di vecchia data come il sottoscritto resta comunque la sensazione sempre più rara di avere davvero visto e abitato il remoto pianeta degli Archisti per il tempo della lettura. Lethem non ha bisogno di descrizioni esasperate volte a creare stupore. Il suo narrare è aguzzo, rapido, estremamente preciso, i modi scarni, distaccati. Il risultato una scrittura che lascia una traccia nei sogni. E soprattutto negli incubi.
Jonathan Lethem
Ragazza con paesaggio
Marco Tropea
€ 13,00
trad. A. Buzzi
da LN-LibriNuovi on line
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